LA NOTA. Il primo morto a Caserta per CORONAVIRUS, chiuso l’ospedale. Le tante cose che non tornano su come Giuseppe Buonaugurio è stato assistito

6 Marzo 2020 - 19:14

SESSA AURUNCA (gianluigi guarino) – Avete visto? La notizia l’abbiamo seguita da ieri sera, auspicando sempre che per Giuseppe Buonaugurio, primo deceduto in provincia di Caserta per Coronavirus (QUI I PRIMI DETTAGLI), il tampone desse esito negativo. Ma troppe cose ci apparivano strane, anomale e il timore che il 46enne di Mondragone fosse la prima vittima casertana della febbre cinese ci aveva immediatamente toccato. Parlando, infatti, con alcuni componenti del personale interno dell’ospedale San Rocco di Sessa Aurunca, chiuso da qualche ora, c’eravamo accorti che la paura ormai serpeggiava nei reparti e che questo ospedale zonale, nelle sue strutture dirigenti, a nostro avviso (solita noiosa precisazione, non ce la prendiamo con le persone, ma con il modo in cui esercitano la funzione) aveva dato pessima prova di sé.

Se una persona ti arriva ad un pronto soccorso e ti dicono che da una settimana soffre di una febbricola persistente, poi esplosa in una febbre fortissima nelle ultime ore, aggravata da seri problemi respiratori, tu, medico, pur senza drammatizzare ma tenendo conto che siamo dentro a un momento di epidemia, ti muovi con prudenza rispettando dei protocolli che ormai sono conosciuti e consolidati. Secondo i suoi parenti, Giuseppe Buonaugurio è stato portato nel reparto di Medicina, dove usualmente si curano i cronici, non gli acuti, benché meno chi ha bisogno di terapia intensiva.

Attenzione, già immaginiamo l’obiezione: questa è solo la versione dei parenti, che non necessariamente corrisponde ai fatti così come si sono svolti realmente.

Giusto, rilievo appropriato e condivisibile Ma solo in linea di principio, però, perché noi possediamo degli elementi sicuramente più oggettivi alla ricostruzione tecnicamente id parte die congiunti dell’uomo deceduto. Vogliamo di nuovo, come abbiamo fatto stamattina (CLICCA QUI PER LEGGERE), porre l’accento sul comportamento che gli operatori dell’ospedale civile di Sessa, a partire dagli infermieri, hanno avuto nel trattare il paziente Giuseppe mandato nel reparto Medicina quando era, sostanzialmente, secondo i parenti, già in fin di vita. Intanto, il fatto stesso che qualcuno abbia disposto il ricovero in quel reparto già significa che non gli è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che ci potesse essere la necessità di muoversi diversamente con questo paziente, che potesse esistere un rischio, una lontana remota possibilità che Giuseppe Buonaugurio fosse stato colpito da quel particolare tipo di influenza, magari mandandolo in un ospedale più attrezzato, dove c’erano persone in grado di capire la necessità di sottoporlo immediatamente all’esame del tampone e con la possibilità di tenerlo in un’area protetta in Terapia Intensiva, cioè con un respiratore attivato, con il quale, probabilmente, avrebbe avuto qualche chances in più di resistere all’insufficienza respiratoria che l’ha ucciso.

Secondo punto: gli infermieri dell’ospedale di Sessa hanno assistito ad personam, a stretto contatto epidermico il povero Giuseppe. Lo hanno assistito in vita e anche in morte, attivando la normale procedura di traslazione del suo corpo ormai senza vita, dal reparto in cui era stato maldestramente collocato, alla camera mortuaria. Dunque, neppure quando è morto nessuno dei caporioni dell’ospedale San Rocco è stato attraversato dal sospetto (ripetiamo di nuovo, sospetto, non certezza) che quel decesso fosse dovuto ad una complicazione, non perfettamente soccorsa, da covid-19.

Onestamente, in considerazione del fatto che il San Rocco nei giorni scorsi aveva già trattato qualche caso sospetto, muovendosi in quei frangenti con normale diligenza, l’epilogo della vicenda terrena suscita più di qualche perplessità. E hanno completamente ragione i parenti di Giuseppe Buonaugurio a chiedere immediatamente l’apertura di un’indagine su questa morte.