LA SENTENZA. Primo processo Jambo. 113 anni di carcere per 12 imputati. Le pene, una per una
12 Settembre 2018 - 17:54
TRENTOLA DUCENTA – E’ stata pronunciata oggi la sentenza in Corte di Appello nei confronti di alcuni degli imputati del cosiddetto processo Jambo, frutto di una delle ordinanze più importanti scritte contro il clan dei Casalesi e i suoi interessi economici, nel caso specifico di quelli del mondo che operava nell’orbita del boss Michele Zagaria.
Ci sono delle differenze rispetto alla sentenza di primo grado, ma prima di darvene notizia va chiarito un aspetto di questa vicenda processuale per evitare di generare confusioni nei non esperti di procedura penale e in quelli che non hanno seguito questo caso giudiziario con assiduità. Coloro che oggi incassano la sentenza della Corte di Appello sono quelli che hanno chiesto e ottenuto, in sede di udienza preliminare, il cosiddetto rito abbreviato.
Che, come dice la parola, occupa tempi molto più brevi per arrivare al pronunciamento della sentenza.
Nel rito abbreviato non c’è bisogno che la prova venga riconfermata in aula attraverso le testimonianze di tutti coloro i quali, hanno parlato, come persone informate dei fatti, nelle fasi di indagine.
Questi devono tornare tutti quanti in aula e, sottoponendosi ad esame e controesame di accusa e difesa, hanno l’obbligo di ripetere quello che hanno dichiarato in istruttoria al solo cospetto dei Pm.
Nell’abbreviato, invece, la difesa ritiene che queste dichiarazioni preliminari, che hanno dato corpo all’ordinanza, possano essere confutate senza il bisogno di far ritornare sul banco dei testimoni chi le ha espresse.
Per questo motivo il processo dura veramente molto di meno.
E dunque, mentre gli imputati che hanno scelto il rito ordinario sono ancora in una fase non certo finale del dibattimento, davanti ai giudici del collegio di Santa Maria C.V., che li giudicano in primo grado, quelli dell’abbreviato sono arrivati già alla sentenza di Appello.
Partiamo con Gaetano Balivo. Per l’imprenditore di Trentola confermata la condanna a 14 anni di reclusione incassata in primo grado. Questo significa che tutte le aggravanti mafiose sono state riconosciute tali dai giudici napoletani.
Si aggrava la pena per il boss Michele Zagaria, che passa dai 18 anni del primo grado ai 20 comminati dai giudici dell’Appello.
Meglio è andata ai fratelli Garofalo, che un ruolo molto importante hanno avuto nella gestione degli affari di Michele Zagaria e anche nella protezione della sua latitanza. Per Giovanni Garofalo sconto di 8 mesi. In primo anno aveva preso 10 anni tondi, oggi 9 anni e 4 mesi.
Giuseppe Garofalo è quello più contento tra i due, visto che i giudici dell’appello hanno ridotto la sua pena da 13 a 8 anni.
Sicuramente contrario sarà l’umore di Carlo Bianco, che dai 10 anni del primo grado passa agli 11 anni e 8 mesi del secondo.
Sconto di 1 anno per l’ex vigile urbano Vincenzo Picone: da 10 a 9 anni.
Sconto importante anche per Francesco Cantone, alias “o’ malapelle”, il quale stranamente, da collaboratore di giustizia qual è, era stato condannato da un gup del Tribunale di Napoli a 20 anni. Pena quasi dimezzata oggi. Uno dei due “malapelle” incassa 12 anni di reclusione.
Per l’ex assessore, nonchè immobiliarista di casa Zagaria, Luigi Cassandra, anch’egli divenuto collaboratore di giustizia, sconto sostanzioso di pena, visto che passa da 10 a 6 anni e 6 mesi di reclusione. Conferma totale di pena per Vincenzo Di Sarno, condannato a 14 anni.
Sconto per Raffaele De Luca, difeso dall’avvocato Vittorio Giaquinto, che passa da 10 e 8 mesi a 6 anni e 8 mesi; 4 mesi “abbonati” anche a Giuseppe Petrillo: 2 anni e 8 mesi a fronte dei 3 anni del primo grado.
Per Tommaso Tirozzi 10 anni e 8 mesi. Diverso e particolare il discorso per i due super fedelissimi di Zagaria, Oreste Basco e Pasquale Pagano.
In primo grado i due erano stati condannati entrambi a 16 di reclusione. La Corte di Appello, accogliendo le tesi della difesa, ha riconosciuto che i due sono già stati condannati per lo stesso reato e per lo stesso contesto in cui questo si è manifestato, in un altro processo. Da qui la cancellazione delle condanne inflitte dal gup.