L’ARRESTO DEI FRATELLI DIANA, magnati dell’anti-camorra. Dal pm ci sono andati solo quando hanno saputo di essere indagati

17 Gennaio 2019 - 14:55

CASAPESENNA(g.g.) Il 29 febbraio 2016 Nicola Diana si presentò, insieme al suo avvocato, al cospetto di uno dei pm della Dda di Napoli. In quella sede dichiarò di aver subito per anni attività estorsive da parte di Michele Zagaria. Se c’era l’avvocato, vuol dire che Nicola Diana e, presumibilmente anche il fratello Antonio erano già indagati e vuol dire anche che i pubblici ministeri si mostrarono costruttivamente disponibili a raccogliere le loro dichiarazioni proprio mentre l’inchiesta era ancora in atto ed era diventata conosciuta anche a chi, all’interno di essa, aveva assunto lo scomodo ruolo di indagato.

I magistrati, già da allora, avevano in mano diverse dichiarazioni, rese da collaboratori di giustizia. Senza voler entrare nel merito delle ragioni, dei torti, della fondatezza o dell’infondatezza delle accuse, visto che di qui a qualche giorno il tribunale del Riesame ci illuminerà con un suo pronunciamento in proposito, va sottolineato che la richiesta di Nicola Diana di essere ascoltato dai pm avviene nel momento in cui lui e il fratello sono diventati consapevoli delle accuse formulate a loro carico dai pentiti.

Attenzione, nello stralcio che pubblichiamo qui in calce, il gip del tribunale di Napoli Maria Luisa Miranda, usa un aggettivo significativo, secondo noi che del tempo dei grandi eroi dell’anti-camorra, rivelatisi poi amici o non belligeranti rispetto ai boss, è rilevante: “(…)

dopo aver “ostentato” il loro impegno anticamorra…“. Dunque, il gip Miranda e, dobbiamo ritenere anche i pubblici ministeri della dda Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano, sono arrivati alla conclusione a cui il sottoscritto e noi di CasertaCe siamo arrivati da anni: l’anti-camorra non si pratica in silenzio, per carità. Ma una cosa è l’anti-camorra delle dichiarazioni stereotipate, convenzionali, delle parole d’ordine a buon mercato, che tutto sommato non fanno male a nessuno, men che meno ai boss, altra cosa è organizzare convegni, eventi o scrivere articoli giornalistici in cui si entra dentro, in cui si entra nel profondo della carne viva, degli interessi economici di chi la camorra la fa in prima linea e di chi la camorra l’assiste dalla postazione della politica, dei gangli più operativi ed incidenti della pubblica amministrazione e, perchè no, anche dentro alla comunicazione.

Ebbene, a Caserta e provincia, noi non ci ricordiamo un solo evento in cui si sia andati, nella esposizione di un intervento di un politico o di un imprenditore locale, al di la delle dichiarazioni di principio, che, nel caso dei Diana, rimbombavano ancora di più perchè questi imprenditori abilmente erano diventati dei veri e propri filantropi, dando soldi a tutti, finanche ai centri sociali. Legambiente premiò i Diana come esempio di imprenditoria ecologica, come se l’ecologia consistesse solamente nel fatto che le piattaforme di Erreplast fossero tenute in buono stato o consistesse nella disponibilità finanziaria di imprenditori con l’esigenza di fornire un’immagine diversa da quella degli altri che operavano nella zona dell’agro aversano.

Quanto ha inciso nella formazione di una vulgata sui Diana campioni dell’anti-camorra, fratelli orfani di padre ucciso in una circostanza che immancabilmente tutti, senza approfondimenti storici seri, hanno rubricato quasi per definizione come delitto consumato ai danni di un imprenditore, cioè Mario Diana, che non voleva piegarsi alla legge dei clan, la loro filantropia e quanto invece questa idea si è formata attraverso una seria, serena, laica valutazione del loro operato?

E qui CasertaCe deve autocitarsi di nuovo perchè nel 2012, consultando gli allucinanti bilanci dei comuni casertani che non ricavavano il becco di un quattrino dal conferimento delle frazioni riciclabili dei rifiuti, ci ponemmo più di un interrogativo, ovviamente con ampio supporto documentale, su come funzionassero i rapporti tra comuni, Erreplast e consorzi nazionali in cui le varie frazioni riciclabili andavano a finire, Comieco, Conai, Corepla eccetera.

Ritorniamo al pezzo di ordinanza che pubblichiamo in calce dopo aver letto con soddisfazione quell’aggettivo il quale dimostra che ormai anche i magistrati della dda e i giudici di un tribunale hanno ben capito, sulla scorta delle molte delusioni incassate, che a Caserta l’anti-camorra è stata una barzelletta ed è stata gestita da ambienti sicuramente non ostili alla camorra, se non addirittura contigui.

Il 5 febbraio 2016, cioè poco meno di un mese prima del momento in cui Nicola Diana si presentò negli uffici della dda, Massimiliano Caterino aveva dichiarato molte cose, con un approccio storico, espresso da uno come lui che le vicende di Casapesenna, le relazioni amicali e parentali le conosceva a menadito. Ebbene, Caterino dice chiaro e tondo che Michele Zagaria, la famiglia di quest’ultimo e la famiglia dei “repezzati” cioè dei Diana, erano legatissime e unite da vincoli di amicizia. Lo erano sin dai tempi in cui Mario Diana, cioè il papà ucciso di Nicola e Antonio, e duo fratello Armando Diana, anche lui arrestato l’altro giorno insieme ai nipoti, intrattenevano una relazione di grande cordialità con Nicola Zagaria, cioè col padre di colui che sarebbe poi diventato uno dei boss principale del clan dei casalesi.

Successivamente Caterino racconta il modello organizzativo, le interazioni che c’erano tra le varie famiglie nella gestione delle attività estorsive. Mario e Armando Diana, militarono a lungo nel settore dei trasporti (Scania eccetera). Dopo l’uccisione del primo, il secondo si collegò imprenditorialmente ai nipoti ed insieme fecero nascer,e negli anni 90, lo stabilimento di Gricignano d’Aversa. Quella era una zona controllata dalla famiglia di Peppe Russo, detto o’padrino e dunque da Schiavone. Abbiamo già scritto ieri e potrete rileggerlo di nuovo oggi il modo con cui venivano risolte questioni del genere: era Zagaria a corrispondere ai Russo i soldi della tassa per la tranquillità degli imprenditori a lui riferibili e, tra questi, spiega Caterino, i Diana, anzi, soprattutto i Diana, sin dall’inizio di questo secolo, era proprio Caterino a ritirare dei soldi, 45 mila euro in tre soluzioni da 15mila che venivano consegnate a Michele Zagaria.

Però, attenzione: Massimiliano Caterino afferma che questi erano i soldi attraverso cui gli imprenditori di Zagaria contribuivano alle spese per il mantenimento del clan a partire da quelle relative agli avvocati. Detto questo, c’era poi un altro tipo di rapporto, più imprenditoriale di autentica partnership. Un rapporto finanziario forte che esulava da queste dazioni quadrimestrali in cui si configuravano delle società di fatto delle quali Michele Zagaria diventava protagonista.

Caterino, che evidentemente, negli anni scorsi ha letto molto i giornali, ha mutuato un’espressione molto in voga ancora oggi ma soprattutto nell’epoca di Matteo Renzi. Ha definito il gruppo di imprenditori che si è collegato a Michele Zagaria e alla sua capacità di coordinamento, un vero e proprio “cerchio magico“. Un’espressione che fa la sua discreta impressione.

Il resto lo leggete nello stralcio e già da ora vi invitiamo al prossimo focus di approfondimento dell’ordinanza che leggeremo con gli occhi di chi ha raccontato molte cose di quegli anni, di cui ora riesce a comprendere una ragione che al tempo era solamente un sospetto.

 

QUI SOTTO LA PRIMA PARTE DELL’INTERROGATORIO DI MASSIMILIANO CATERINO