Le “verità” di Nicola Schiavone sul fratello Walter

25 Giugno 2021 - 12:22

Pubblichiamo e commentiamo le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia inserite nell’ultima ordinanza che ha coinvolto la famiglia di Casal di Principe

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Nella parte dell’ordinanza su Walter Schiavone che non decliniamo ulteriormente perchè non possiamo star qui a rievocare le puntate precedenti che, peraltro, sono a disposizione dei lettori all’interno di CasertaCe, tende a dimostrare il fatto che utilizzasse dei prestanome a capo di due importanti società la Bianco Latte srl e I Freschissimi srls, irrompono le dichiarazioni rese del collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, fratello di Walter e per qualche anno capo del clan dei casalesi, in tre distinti interrogatori, avvenuti, rispettivamente, il 19 luglio 2018, il 27 dicembre 2018, il 10 gennaio 2019 e quello più recente di circa un anno fa, del 16 giugno 2020.

Da un lato, le dichiarazioni di Nicola Schiavone vanno a confermare sostanzialmente il fatto che fosse il fratello Walter, a controllare le attività di impresa nel settore lattiero caseario, sviluppate grazie all’utilizzo del brand criminale di famiglia che induceva tanti o addirittura tutti a servirsi delle forniture di mozzarelle che venivano garantire, in tutto l’agro aversano, da consegne dirette effettuate da giovani al servizio di Walter Schiavone, il più delle volte a bordo di un Fiat Fiorino; dall’altro, sono, almeno per noi, ancora più significative come delineazione dello spaccato esistenziale della famiglia più importante di Casal di Principe da un punto di vista criminale, che poi ha coinciso per anni con il primato dell’importanza tout court, complessiva, cioè politica, economica e sociale.

Nicola Schiavone cerca di essere preciso nelle sue dichiarazioni, precisando sempre tutto quello che può affermare per averlo visto, vissuto direttamente, tutto quello che può dire avendolo appreso dai colloqui carcerari più complicati ai tempi del 41 bis e tutto quello che ha potuto apprendere da altri colloqui carcerari, successivi alla sua decisione di collaborare con la giustizia, dunque molto più agevoli e meno sorvegliati di quelli che si avevano al tempo del carcere duro.

E così, quando nell’interrogatorio del 2020, il magistrato gli chiede conto del sostegno economico che suo fratello Walter avrebbe garantito a Rossella Arrichiello, moglie del pentito, quest’ultimo pesa le parole: riconosce che la donna gli aveva accennato qualcosa sul fatto che Walter stesse dando una mano e che lo stesso stava facendo anche sua madre, Giuseppina Nappa. Da un colloquio avuto da pentito, Nicola Schiavone aveva appreso poi, sempre dalla moglie, dell’iniziativa decisa della compagna di allora di Walter che sua compagna è rimasta dandogli anche un figlio, Tania Vittorio. Questa aveva detto chiaro e tondo a Giuseppina Nappa e anche alla Arrichiello che essendo nato il bambino ed essendosi dunque sviluppati nuovi costi, nuove spese, Walter Schiavone non avrebbe più potuto garantire gli aiuti forniti fino ad allora e che presumibilmente erano frutto dei ricchi proventi dell’attività di distribuzione di prodotti lattiero caseari.

Noi riteniamo sia un passaggio importante perchè segna, in qualche modo, la presa d’atto, da parte di un pezzo importante della famiglia Schiavone, visto che Walter è uno dei 7 figli di Francesco Schiavone Sandokan. In effetti, queste dichiarazioni andrebbero approfondite per capire se, ancora fino al 2018, arrivassero soldi dalla storica cassa comune e se esistesse ancora una cassa comune. Probabilmente no e probabilmente ciò ha contato nel “liberi tutti”, nella decisione della maggior parte dei componenti del nucleo familiare di lasciare, come del resto Nicola Schiavone, prima del suo arresto, aveva consigliato a tutti, qualora le manette fossero state apposte ai suoi polsi, Casal di Principe per ricostruire da zero la propria vita altrove.

Chiaro che ricostruire da zero la propria vita altrove, diventa un sentiero percorribile nel momento in cui la vita di prima, quella in cui dalla cassa comune entravano decine e decine di migliaia di euro al mese agli Schiavone, solo per la quota relativa allo stipendio garantito al detenuto Francesco Schiavone Sandokan, finisce per un motivo molto semplice legato al cambiamento epocale e radicale dei flussi di danaro, provento di attività criminale. Cessando per necessità, a causa delle difficoltà che il clan ha incontrato per la durissima e riuscitissima attività di repressione operata dallo stato ai suoi danni, il modello che ha funzionato per un ventennio o forse più, i motivi per rimanere a Casal di Principe si sono drasticamente ridotti. Al netto di questa decisione che, ricordiamo, aveva riguardato lo stesso Walter Schiavone, il quale non a caso è stato arrestato in una località protetta, rimangono Ivanhoe, il quale, però, è forse quello con il carattere più debole, più sensibile, come riconosce lo stesso Nicola, il quale, in uno di questi 4 interrogatori dice che suo fratello minore era rimasto molto scosso per l’arresto subito, dimostrando dunque una non attitudine ad una situazione usuale che porta il camorrista a considerare il carcere una possibilità concreta, di stabile latenza della propria vita, ed Emanuele Schiavone che ancora oggi è in carcere, il quale ha subito ultimamente un ulteriore processo per una rissa, scatenatasi nel reparto di massima sicurezza del carcere di Benevento.

In prospettiva. va verificato cosa succederà quando Emanuele, di qui a poco sarà scarcerato e nel territorio dell’agro aversano incrocerà anche Gianluca Bidognetti, pure lui in procinto di uscire dal carcere, il quale, a differenza del primo, ha già un gruppo di bidognettiani storici o di nuovo conio, attivo sul territorio, a partire da Giosuè Fioretto, così come abbiamo scritto pubblicato un anno fa (LEGGI QUI)

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Ritornando agli “aiuti” dati da Walter alla famiglia della cognata Rossella Arrichiello, moglie di Nicola Schiavone, questi dichiara di aver chiesto espressamente e categoricamente alla sua consorte, nel corso di un colloquio avvenuto dopo il suo pentimento, “di consegnare gli orologi ed altri beni di valore, riferendo altresì, su tutte le circostanze relative ai suoi introiti da parte della mia famiglia. Naturalmente non conosco il tenore esatto delle dichiarazioni da lei rese alla AG.”.

Qualche rilievo a nostro avviso rivestono anche le dichiarazioni sulla passione originaria, antica che la famiglia Schiavone aveva avuto per l’allevamento delle bufale e per la produzione di mozzarella concretizzatasi poi nella nascita della società La Preziosa, con sede in via Vaticale, una sorta di bene simbolo, quintessenza di tutti i beni confiscati al clan dei casalesi, di cui erano soci i tre fratelli: Francesco Schiavone Sandokan, Walter Schiavone detto Scarface, zio di Nicola e di Walter junior e anche Antonio Schiavone, oggi a piede libero che è sempre colui il quale ha citato in giudizio il sottoscritto, che al tempo non si occupava nè di mozzarella di bufale e neppure della provincia di Caserta. Soci dei tre fratelli erano altri due fratelli, cioè i Cantiello, nipoti di Nicola Borrata.

Un passaggio anche su Antonio Iovine ‘o ninno, il quale ha dichiarato di essersi occupato di questioni riguardanti il settore lattiero caseario quando un suo amico di San Cipriano, cioè Rocco Cerullo, gli aveva chiesto una mano per impiantare un’attività di distribuzione della mozzarella a pizzerie ed altri esercenti. Iovine gli aveva detto di rapportarsi a Walter Schiavone in quanto questi era il punto di riferimento del clan dei casalesi in questo particolare settore. Un’operazione che non si realizzò in quanto le esigenze sempre più complesse della latitanza di Antonio Iovine rese necessario un ruolo impegnato ed impegnativo di Rocco Cerullo a protezione del super boss di San Cipriano che, al tempo in cui Cerullo voleva entrare nel business della mozzarella di bufala lo aveva sostenuto pienamente comprandogli un furgoncino.

Il resto (e ci sono diversi altri spunti interessanti) lo leggete negli stralci pubblicati in calce a questo articolo contenenti la versione integrale dei 4 interrogatori resi da Nicola Schiavone, nella parte relativa alle attività di suo fratello Walter e anche le dichiarazioni di Antonio Iovine.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA

Dall’interrogatorio di IOVINE Antonio del 24.7.2014

 

SCHIAVONE WALTER E L’IMPOSIZIONE DELLE MOZZARELLE

 

A.D.R. conosco SCHIAVONE Walter, è il secondo figlio di Francesco. Ho sempre avuto buoni rapporti con la famiglia SCHIAVONE e quindi conosco  bene anche i figli.

Rocco CERULLO mi chiese di iniziare una attività di fornitura di mozzarelle in particolare Fiordilatte alle pizzerie. Riferisco che il CERULLO è un mio affiliato e mi accompagnava negli spostamenti durante la mia latitanza sino al mio arresto. Nel 2009 – 2010 io gli comprai un furgoncino, e ricordo anche che lo stesso voleva da me un appoggio per acquisire un monopolio nelle forniture delle mozzarelle. Lui mi spiegò che nel settore era attivo SCHIAVONE Walter, figlio di Francesco Sandokan, e lo stesso attraverso alcuni furgoncini imponeva l’acquisto delle mozzarelle avvalendosi delle intimidazioni che scaturivano dalla spendita del nome SCHIAVONE. Le mozzarelle venivano prodotte da un caseificio che si chiama SCHIAVONE, il cui proprietario [era, n.d.PM] Giovanni SCHIAVONE, suocero di Walter SCHIAVONE, figlio di Sandokan.

Walter SCHIAVONE andava direttamente presso le pizzerie o i ristoranti spendendo il nome della famiglia SCHIAVONE e poi mandava 4 o 5 ragazzi a distribuire e vendere mozzarelle. Uno di questi ragazzi era di Frignano e girava con un pulmino. Le zone in cui veniva distribuita la mozzarella in questione era tutto l’Agro aversano e si trattava di una attività molto redditizia. Tutte queste circostanze mi furono riferite da CERULLO Rocco, il quale mi chiese di aiutarlo ad imporsi sul mercato con l’attività di distribuzione di mozzarelle che aveva impiantato, ma io mi rifiutai perché c’era il pericolo che si venisse a sapere che CERULLO Rocco era un mio uomo che mi accompagnava durante la latitanza. Io stesso alla fine dissuasi il CERULLO Rocco a proseguire la sua attività. 

 

Dall’interrogatorio di SCHIAVONE Nicola del 19.7.2018 

A d.r.: noi Schiavone, per quanto so, non abbiamo più ruoli di vertice nell’organizzazione, credo che il nome continui a girare nostro malgrado. Questo è quello che io ritengo, non avendo più diverse informazioni provenienti da Casale. 

A d.r.: mio fratello Carmine ha avuto effettivamente per un breve periodo la reggenza del clan nell’immediatezza del mio arresto e sino a quando è stato arrestato tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013.

A d.r.: quanto a mio fratello Walter non so cosa lui allo stato faccia, per quanto a mia conoscenza in passato, e mi riferisco all’epoca in cui ero libero, gestiva un “giro di mozzarelle”, nel senso che forniva a diversi commercianti le mozzarelle della cooperativa. Egli all’epoca era fidanzato con tale Giovanna SCHIAVONE, il cui papà aveva un’azienda bufalina ed era uno dei soci della cooperativa “LA SCHIAVONE”, che è attività diversa dal caseificio “SCHIAVONE” del quale siamo soci avendo la titolarità di una quota. Non sono in grado di quantificare le dimensioni di tale attività, e sebbene avessi più volte invitato Walter ad ingrandire l’attività lo stesso si è sempre sottratto preferendo mantenerla in termini più circoscritti. Non conosco il nominativo dei suoi collaboratori ad eccezione di un tale “Enricone”, e un tale Antonio BIANCO, il cui padre faceva il fisioterapista, né la consistenza dei mezzi a sua disposizione. Non conosco nei dettagli quale fosse il rapporto formale tra Walter e questi collaboratori, nel senso che non so se avessero costituito insieme una società. In ogni caso ricordo che il BIANCO e l’altro ragazzo avevano una certa libertà di movimento nella commercializzazione dei prodotti caseari. Mi ricordo che i soci titolari della cooperativa predetta si avvalevano di una rete di procacciatori ed è capitato che costoro spendessero il nostro nome di SCHIAVONE, inteso come clan, per risolvere problemi derivanti da malavitosi locali, come accadde in un’occasione a Sant’Arpino da esponenti del clan RANUCCI, i quali effettuarono la consueta azione di “fermare” i camion della cooperativa. In quell’occasione Giovanni SCHIAVONE, figlio di uno dei soci della cooperativa venne da me e riferì che l’avevano fermato e minacciato e che egli aveva risposto citando una presunta parentela proprio con me. Gli esponenti dei RANUCCI gli avevano replicato che, proprio perché era un parente degli SCHIAVONE avrebbe dovuto avvisarli prima dell’ingresso nel loro territorio.

Per quanto riguarda ancora questa attività di commercializzazione di prodotti caseari di mio fratello Walter non ne conosco ulteriori dettagli: non so se i prodotti venivano piazzati “a nero” o comunque imposti ai commercianti, non mi risultano episodi specifici di minacce a singoli commercianti, è certo però che la suddetta cooperativa era nota in provincia di Caserta per la sua rete di procacciatori, che le assicuravano un buon giro di affari. Per quanto riguarda i soci di mio fratello so che giravano con un Fiorino presso vari esercizi commerciali, so che lo facevano anche per conto di mio fratello Walter, tuttavia non conosco i dettagli dei loro rapporti interni né le modalità di approccio ai commercianti, come ho già detto, e non ho memoria di aver visto Walter girare anch’egli con il Fiorino. Vi posso spiegare questa scarsità di ricordi per le ragioni che questa attività a me non interessava ed anche perché non ho mai avuto uno stretto rapporto confidenziale con Walter, che in varie occasioni mi ha portato guai, come ho riferito ieri, e posso dire che vado molto più d’accordo con Carmine. 

A d.r.: i miei fratelli Carmine, Emanuele Libero, e più in generale la mia famiglia di origine, godeva del sostentamento che io fornivo loro derivante dalle attività del clan. Gli stessi nel periodo antecedente al mio arresto vivevano ancora tutti nella casa paterna ed avevano quindi diritto allo stipendio di mio padre ed in più come ho detto si avvantaggiavano di quanto io davo loro per eventuali ulteriori esigenze. Posso senz’altro affermare che gli stessi godevano di un ottimo tenore di vita. Come mio padre avrebbe voluto per me io mi prodigavo perché loro non facessero le mie stesse scelte e quindi gli errori che io ho compiuto, sono però consapevole del fatto che abbiamo un’eredità pesante e che qualunque cosa viene da noi ha una lettura diversa da quella di cui godrebbero gli altri. A tal proposito ricordo che proprio qualche tempo prima del mio arresto, durante la latitanza, incontrai Walter al quale dissi che se mi avessero arrestato sarebbe stato opportuno che loro, tutti, si fossero allontanati da Casale al fine di poter costruire una vita ed un futuro diverso. Lo avvisai in quella circostanza che se fossero rimasti al paese non avrebbero avuto speranze di fare una vita diversa. Proprio a questo proposito ricordo quanto mio fratello Ivanhoe abbia sofferto dopo l’arresto patito nella primavera 2011/2012 e, speravo che potessero apprezzare la libertà e fare scelte diverse. (…) 

 

Dall’interrogatorio di SCHIAVONE Nicola del 27.12.2018 

 

ADR: non escludo, ma non so con esattezza, che Roberto VARGAS abbia potuto introdurre mio fratello Walter nel mercato della distribuzione di prodotti caseari. Non credo che ci possa essere stato un collegamento tra l’inizio dell’attività in questo settore di mio fratello e la precedente analoga attività svolta in particolare da mio zio Walter senior, da mio padre e da mio zio Antonio SCHIAVONE, mediante la società “La Preziosa”, con sede a Casal di Principe, via Vaticale, con ciò perché tale attività fu svolta in precedenza, sto parlando degli anni ’90, e cessò negli anni 2000 per effetto di un sequestro giudiziario.  

 

Dall’interrogatorio di SCHIAVONE Nicola del 10.1.2019 

 

ADR: la S.V. mi chiede come mio fratello Walter abbia cominciato a lavorare nel settore della vendita di prodotti caseari. Mi pare che la fidanzata dell’epoca Giovanna Schiavone, fosse figlia di uno dei soci della cooperativa La Schiavona, e quindi avrebbe cominciato a farlo.

Devo dire che la mia famiglia aveva già una quota del caseificio La Preziosa, insieme a mio zio Antonio, Walter e ai fratelli Cantiello nipoti di Nicola Borrata. Il caseificio che aveva un grosso giro di affari, fu poi confiscato.

ADR: penso che Walter sia stato agevolato nell’attività dal suocero, il quale si era lamentato con me che, non avendo figli maschi, non era adeguatamente tutelato nella sua attività. Devo dire che lui aveva un piccolo giro di affari, contrariamente alle mie intenzioni che erano quelle di renderlo maggiormente remunerativo.

ADR: non ricordo se Vargas Roberto abbia aiutato mio fratello nell’intraprendere la sua attività, ma neanche posso escluderlo. 

  

 

Dall’interrogatorio di SCHIAVONE Nicola del 16.6.2020 

 

L’Ufficio dà atto che nel corso del procedimento sono state effettuate delle intercettazioni telefoniche ed ambientali riguardanti, tra l’altro, Vittorio Gaetana detta Tania, dalle quali emerge una attività di vendita di prodotti caseari, non intestata a Schiavone Walter, anche se a lui riferibile.

Nelle intercettazioni, tra cui la nr. 204 del 30.3.2018, RIT 877/2018, di cui si dà parziale lettura, Armando Diana parla dei proventi della attività di vendita prodotti caseari, e della loro destinazione a componenti della famiglia Schiavone, tra cui Rossella ARRICHIELLO, moglie del cdg, nella conversazione nr. 702 del 6.4.2018 RIT 205/2018, si fa riferimento, sempre da parte di Armando DIANA, alla consegna di denaro presso la rivendita di tabacchi gestita da ARRICHIELLO Lorenzo, suocero del cdg.

ADR: la S.V. mi chiede se i proventi di tale attività sono stati destinati anche a mia moglie. Tali circostanze mi sono state riferite da mia moglie non durante la mia detenzione al 41 bis o.p., ma solo in seguito alla mia collaborazione, allorquando sin dai primi colloqui le avevo chiesto di dare precise indicazioni su eventuali dazioni di denaro a lei destinate. A mia moglie ho detto di consegnare gli orologi ed altri beni di valore, riferendo altresì, su tutte le circostanze relative ai suoi introiti da parte della mia famiglia. Naturalmente non conosco il tenore esatto delle dichiarazioni da lei rese alla AG.

ADR: in sostanza, mia moglie mi disse, nel corso dei primi colloqui da collaboratore, di essere supportata economicamente anche da mio fratello Walter, oltre che da mia madre Giuseppina NAPPA. Ricordo che mia moglie mi riferì di una discussione avuta con VITTORIO Tania, compagna di mio fratello Walter, avvenuta in seguito alla nascita del figlio di quest’ultimo, in epoca sicuramente precedente alla mia collaborazione, sei o sette mesi prima. In particolare, durante la discussione la VITTORIO disse che, a seguito delle maggiori spese cui sarebbero andati incontro, non avrebbero avuto più la possibilità di elargire somme di denaro, come fino a quel momento avevano fatto con lei.

ADR: preciso di aver appreso che il sostentamento economico concesso a mia moglie derivasse dalla attività di vendita di prodotti caseari soltanto dopo l’inizio della mia collaborazione, in precedenza mia moglie era stata un po’ evasiva sul punto ed io avevo anche sospettato che questi soldi provenissero da attività illecite tipiche del clan, come ad esempio le estorsioni.

ADR: non posso riferire nel dettaglio sulle modalità della attività di vendita di prodotti caseari svolta da mio fratello e dai suoi collaboratori, tra i quali confermo esserci tale Enricone e BIANCO Antonio detto Mammut, poiché, essendo ristretto in regime di 41 bis, non ho avuto la possibilità di approfondire più di tanto tali argomenti nei colloqui registrati. 

ADR: non sapevo che Armando DIANA, nipote del noto Elio, collaborasse con mio fratello nella menzionata attività commerciale, ma tuttavia confermo che i due sono amici da sempre e si frequentano abitualmente, come ho avuto modo di sapere, sempre da mia moglie Rossella, collega della moglie di Armando Diana, anch’ella insegnante.

ADR: non ho altro da riferire in proposito, per i motivi che ho già indicato, posso solo supporre che il giro di affari di mio fratello, più che discreto, in Provincia di Caserta sia stato positivamente influenzato dalla nomea criminale della mia famiglia”.