L’EDITORIALE. Ma che bellezza: il cognato di Pasquale Scotti, primario all’ospedale da cui il boss scappò. Scusate, ma i tre commissari costati milioni, cosa hanno fatto in due anni, oltre ad alloggiare al Santa Lucia?

24 Luglio 2019 - 12:24

di Gianluigi Guarino

In tutte le ordinanze dell’autorità giudiziaria sull’ospedale di Caserta, abbiamo sempre constatato che, partendo da un dato di fatto, da una notizia di reato, le porcherie, la mala gestione, i reati si allargano a raggiera, in una sorta di multiforme e successivamente policentrico effetto domino incontrollabile. Questo fa pensare che ciò che è emerso in questi ultimi anni dalle carte giudiziarie, non rappresenta nemmeno una percentuale infinitesimale del marcio che c’è ancora in quest’azienda.

Un marcio antico, frutto di gestioni che, a partire dagli anni 80, si sono rappresentate come la quintessenza di tutti i difetti di un paese, come l’Italia, tra i più corrotti del mondo, aggiungendovi delle peculiarità territoriali, simboleggiate da un fatto unico, ma veramente unico in tutto il pianeta: l’ufficio che l’allora direttore generale Luigi Annunziata mise a disposizione di Francesco Zagaria, per gli amici, Francuccio la benzina, cognato defunto e plenipotenziario degli affari del super boss Michele Zagaria.

Oggi scopriamo che il cognato di Pasquale Scotti, di quello che grazie alle distrazioni e forse alle complicità interne all’ospedale civile di Caserta, riuscì a scappare dalla stanza in cui si trovava piantonato, in quanto esponente di spicco, killer e organizzatore di delitti in nome e per conto di Raffaele Cutolo e della nuova camorra organizzata ha fatto carriera non lontano da quella stanza fino a conquistare un posto prestigioso da primario.

Va bè, si dirà, salmodiando in una delle sue tante versioni possibili, un’antica regola liberale, mica le colpe dei boss e dei killer di camorra possono ricadere sui cognati? Non era detto e dunque non si poteva ridurre il suo diritto a concorrere, che il medico Angelo Costanzo fosse pericolosamente condizionabile direttamente o anche indirettamente da venticelli camorristici o più genericamente criminali. Però, quando succedono fatti come quelli di oggi, noi liberali purtroppo usciamo con le ossa rotte. E ancor “più purtroppo”, ciò capita sovente, quasi sempre, nella nostra provincia.

Dunque, il cognato di Pasquale Scotti è diventato primario. Sua moglie Vincenza Scotti, sorella del boss Pasquale Scotti, è titolare di un importante laboratorio di analisi in provincia di Napoli, convenzionato con la Regione Campania. Se in un anno, come sostiene la procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere, tutte le turpitudini verificatesi all’interno del laboratorio ospedaliero, hanno prodotto un danno erariale di un milione 800 mila euro, con le modalità che sono spiegate nel comunicato stampa, ampio ed esauriente, scritto dalla procura stamattina (LEGGI QUI), quanti milioni di euro hanno rubato o contribuito a rubare il primario dell’Unità Operativa Complessa Patologia Clinica, Angelo Costanzo e sua moglie Vincenza Scotti?

Oltre a questa, formuliamo un’altra domandina semplice semplice, o meglio, che sarebbe semplice in un paese serio, civile del nord Europa, che assomiglia molto a quelle, destinate a rimanere desolatamente inevase, formulate nei giorni scorsi all’amministratore giudiziario del Jambo, per la vicenda del contratto confermato al clan dei Casalesi per la gestione delle campagne pubblicitarie del centro commerciale: scusate, signori commissari di governo Cinzia Guercio, Michele Ametta e Leonardo Pace, quest’ultimo, a quanto ci risulta, ordinariamente in servizio da funzionario, presso la Regione Campania, quanto siete costati allo Stato italiano per i circa due anni durante i quali avete operato allo scopo di risanare moralmente l’ospedale, di monitorare, prevenire e denunciare eventualmente infiltrazioni camorristiche ma anche atti di criminalità comune?. Perchè, sia chiaro, era questa la vostra mission istituzionale. Era questo il motivo per cui il cittadino contribuente vi pagava profumatamente.

Si dirà: ma in quel merdaio ospedaliero era praticamente impossibile mettere le mani, tanto è diffuso il malaffare e tanto è diffusa la mentalità “malaffaristica”, una mission impossible? No, niente è impossibile quando ci si propone di realizzare l’obiettivo di legalità e lo si persegue con una passione univoca e stabilmente concentrata sul target.

Ma sicuramente, una missione difficile, speciale quella dei commissari. Come speciali sono stati i loro stipendi, come speciale è stata, dottoressa Guercio, si ricorda i nostri articoli, la sua residenza in Campania, dove ogni mattina, dalle finestre del bellissimo ed esclusivo Hotel Santa Lucia di via Partenope, ha ammirato il golfo, prima che un autista la venisse a prelevare. 

Comodità, agio che non è, in linea di principio, privilegio, ma una cosa accettabile di fronte ad un lavoro irreprensibile, attento, capace. Vogliamo andare a vedere quante denunce e quante segnalazioni produttrici di fatti concreti, di inchieste finite con l’individuazione di rei sono arrivate da quel sinedrio di irreprensibili castigatori della camorra e degli atti di criminalità?

Giusto per capire, dottoressa Guercio, lei che presiedeva il gruppo dei commissari del governo italiano, era a conoscenza (scriviamo questo perchè l’attività di informazione, di intelligence non è lesiva dei diritti di alcuno, ma è utile, anzi doverosa, da parte di un’autorità qual è una commissione straordinaria nominata dopo uno scioglimento per infiltrazione camorristica), del fatto che il cognato di Pasquale Scotti, scappato, non dall’ospedale di Vercelli, ma nel 1984 proprio da quello di Caserta, era diventato un prestigioso primario di questo stesso nosocomio dopo il matrimonio con la sorella del boss?

No, non lo sapeva. Altrimenti magari un’occhiatina ai budget del laboratorio ospedaliero ce l’avrebbe anche potuta dare. E allora ci chiediamo, come ci chiedemmo più volte al tempo in cui eravate insediati: ma che cosa avete fatto? Che cosa ci siete venuti a fare? Noi lo sappiamo bene cosa siete venuti a fare. Lo sappiamo oggi, e ne maturammo piena convinzione vedendovi all’opera (si fa per dire) per i primi 6 mesi. Fate parte di quella categoria di alti funzionari dello Stato che, con tutto il rispetto dovuto alle loro persone, rappresentano, a nostro avviso, una delle centrali del peggiore spreco di danaro pubblico. E se impropriamente possiamo permetterci di associare l’aggettivo “improduttivo” al sostantivo “spreco”, in modo da enfatizzare il concetto, la vostra esperienza da funzionari, sempre nel rispetto delle persone che voi siete, ha rappresentato, come mostra. secondo noi, indirettamente, l’ordinanza di stamattina, una delle forme di più deteriore “spreco improduttivo” che l’Italia ricordi.

Noi l’avevamo scritto in tempi non sospetti, quando eravate in carica e i tempi, oltre ad essere qualche volta non sospetti, più spesso, fortunatamente, diventano galantuomini.

Tutto quello che è accaduto e che è finito sotto la lente di ingrandimento della procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere, è stato frutto dell’attività, realizzata in prima battuta dai magistrati della dda, finalizzata a catturare Pasquale Scotti, latitante da 35 anni, perchè, ripetiamo per l’ennesima volta, scappato dall’ospedale di Caserta. Nel merdaio dove effettivamente una procura della repubblica ha difficoltà a capire da dove iniziare, con l’obiettivo di ripulire, questa azione investigativa, nata a Napoli e proseguita a Santa Maria Capua Vetere, si è rappresentata come un evento tutto sommato fortunato. Una coincidenza favorevole, visto che, probabilmente, il telefono della sorella del boss è stato, al tempo, monitorato.

Ma è chiaro che non si potrà contare sempre su coincidenze favorevoli. D’altronde, se lo stato ha speso milioni di euro per far campare alla grande, per due anni, tre suoi commissari che avrebbero dovuto aprire il varco di un risanamento morale attraverso un controllo ferreo e attraverso un’attività di intelligence che, invece, non c’è stata come è evidente dalle risultanze dell’inchiesta di cui stiamo trattando, allora non possiamo sperare in nulla di buono, se non affidarci a quella dea bendata che permetta ai magistrati di Santa Maria Capua Vetere, di agganciarsi a un carro investigativo realizzando un’inchiesta perfetta, come quella resa pubblica stamattina, attraverso l’emissione di provvedimenti cautelari.