MARCIANISE. L’ignoranza salva Velardi. Ma a proposito di Spasiano fai-da-te e di “dolo intenzionale”, leggete cosa disse il sindaco nel consiglio comunale del novembre 2016
11 Settembre 2019 - 19:08
MARCIANISE – Il sindaco Antonello Velardi è ignorante o in malafede?
Il dibattito intorno a questa domanda è diventato una cosa tremendamente seria nel momento in cui la posizione del punto di discrimine, il disegno del crinale che divide i due ambiti, non è stato più una semplice esercitazione giornalistica, un argomento affrontato da chi, da tempi non sospetti, da tanti mesi prima delle elezioni comunali del 2016, vaticinava – avendone cognizioni di causa – il destino gramo della città di Marcianise, qualora avesse eletto quale sua guida il citato Velardi.
No, stavolta lo stabilire se il sindaco è ignorante o in malafede appartiene alla delicatissima potestà di un tribunale il quale è stato chiamato a rispondere ad una richiesta presentata dalla Procura della Repubblica ad esso attinente, che riteneva fosse buono e giusto allontanare temporaneamente Antonello Velardi dalla città di Marcianise e dalla Provincia di Caserta.
Perché non c’è dubbio che la posta sia stata proprio questa, durante i mesi in cui il Gip Orazio Rossi è stato chiamato ad occuparsi dell’istanza della Procura,.
E non c’è dubbio, fanno fede le pagine dell’ordinanza da noi integralmente pubblicate nei giorni scorsi, che il Gip abbia detto che siccome Antonello Velardi e i suoi assessori sono ignoranti – attenzione, ribadiamo, “ignoranti” e non “degli ignoranti” – non meritano l’ostracismo, cioè la cacciata, per indennità, da una città che possono continuare ad amministrare.
Il giudice ha cercato, come si fa con un ago in un pagliaio, quella malafede che la Procura della Repubblica, invece, ha ritenuto esistesse. Ma non l’ha trovata.
Siccome Orazio Rossi è un asso del diritto, l’ha spiegato con grandissima capacità dopo aver lavorato mesi su una puntigliosa ricerca giurisprudenziale.
Dunque, Velardi non è stato cacciato da Marcianise perché è ignorante, perché viene considerata frutto di ignoranza e non di malafede la sua enunciata convinzione del valore provvedimentale, in pratica esecutivo, della delibera del commissario Reppucci.
E qui, non c’è partita. Il giudice dice di non aver elementi che non siano quelli documentali per ritenere il contrario, per ritenere che questa sia solo una sceneggiata, per dare l’idea che l’amministrazione uscita dalle urne nel 2016 non aveva fatto altro che vidimare, ratificare una decisine assunta dal commissario di governo e che rappresentava il viatico fondamentale per la stipula della convenzione con l’Ise e, conseguentemente, per l’emissione dei tre permessi a costruire che son costati i domiciliari, con l’accusa di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, al dirigente Gennaro Spasiano.
Il 9 novembre 2016, esattamente dieci giorni dopo quell’ormai famigerato 30 ottobre, data dell’approvazione in giunta della delibera 85, Velardi, pressato dai nostri articoli, da quella vera e propria full immertion della legalità attuati in quei giorni da Casertace, fu costretto a convocare il consiglio comunale per esporre delle comunicazioni su quell’atto deliberativo che dava la stura ad una convenzione che se fosse stata scritta dalla Banda Bassotti, a partire dalla questione della fideiussione che troneggia nella prima ordinanza sull’Interporto di alcuni mesi fa, avrebbe costituito un documento più corretto, più legittimo e più legale.
In quella occasione Vleardi afferma un paio di cose, tra le tante, che riteniamo interessanti alla luce di quello che è saltato fuori dall’ultima ordinanza. Prima di tutto conferma la cifra fondamentale rappresentata dall’importanza di stabilire se è ignorante o in malafede. Lo riportiamo testualmente: “Questo è un atto con valore procedimentale perché è meramente esecutivo di intese che sono state già raggiunte nella delibera del Commissario (…)”
Dunque, con voce stentorea Velardi ribadisce il contenuto fondamentale della narrativa della delibera approvata dieci giorni prima.
Un ignorante. E se lo deve tenere, non si deve agitare, perché la sua ignoranza, così percepita e sacramentata dal giudice, diviene il suo salvacondotto per uscire da questa storia per il rotto di una cuffia che tutto sommato tanto male non gli starebbe a protezione di tutta la scienza che abita nel suo prominente cranio.
Se lo deve tenere, perché se non fosse ignorante, allora sarebbe in malafede, come sostengono, non supportati dalla certificazione del Tribunale, i magistrati dell’accusa.
Dunque, il sindaco è ignorante.
Siamo d’accordo.
Sì, siamo d’accordo ma fino a un certo punto. Qualche secondo dopo le affermazioni appena pubblicate, Velardi, infatti, declama: “Abbiamo voluto che questa decisione fosse condivisa dalla Giunta Comunale, quindi avesse un marchio della Giunta, responsabilità che non siamo chiamati ad assumerci ma l’abbiamo fatto anche per una vicinanza al dirigente (…)”.
Qui si parte da un’affermazione in cui la considerazione di ignoranza prevale nettamente su quella di malafede e si arriva ad un’altra affermazione, che invece ci induce a riflettere.
Non sarà una roba sintomatica, come amano scrivere i giudici nei loro atti, però a noi fa pensare.
Andiamo per ordine. Secondo Velardi, l’aver portato in giunta l’approvazione della convenzione e dell’intera struttura degli obblighi vicendevolmente assunti dalle parti, cioè Comune e Ise, è stata una concessione non dovuta, ma offerta all’altare della trasparenza, in quanto, dice il sindaco, sarebbe bastato l’atto del dirigente.
Propendiamo per l’ignoranza perché tutto sommato non è che occorresse far passare questa tesi per precostituirsi una posizione di estraneità al meccanismo attivato dalla citata convenzione.
È ignoranza perché, come ha spiegato il giudice, non solo la delibera di Reppucci non ha alcun valore provvedimentale, ma il merdaio di abomini giuridico-urbanistici presenti in quella convenzione non sarebbero stati validi neppure se li avesse approvati il consiglio comunale.
Sarebbe occorsa, come scritto nel capo 1 dell’ordinanza, la riconvocazione di quel tavolo istituzionale, di quella conferenza dei servizi unico organismo che avrebbe potuto modificare ciò che lo stesso approvò nell’accordo di programma del 1996.
Dunque, a Velardi regaliamo una pernacchia con valore retroattivo.
Ma dato che non serviva neppure approvarlo in giunta, per quale motivo specifico questa fu convocata?
Lo dice proprio il sindaco nella seconda affermazione, cioè in quella che ci fa riflettere: “L’abbiamo fatto anche per una vicinanza al dirigente (…)”.
Beh, beh, questa impermeabilità, questi compartimenti stagni, queste linee parallele che dunque non si intersecano mai tra gli atti dell’amministrazione comunale attiva e quelli del dirigente Spasiano, non sembrano così evidenti come lascia pensare la struttura del ragionamento portato avanti dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Velardi, pur ritenendo di non aver nessun obbligo, convoca la giunta per attestare la piena condivisione politica e amministrativa degli atti del dirigente, che poi sono quelli per cui Spasiano è stato arrestato.
Ecco perché diciamo che noi, pur nella modestia delle nostre conoscenze giuridiche, non siamo affatto convinti che Spasiano abbia viaggiato autonomamente, all’insaputa del sindaco.
Questa nostra affermazione, molto seria, l’abbiamo espressa alla fine di un articolo faticoso, complesso e complicato ma che è tale in quanto noi che abbiamo il senso delle istituzioni riteniamo che formulare certe affermazioni è un atto di grande responsabilità, anche quando a farle è un giornale.
Occorrono argomentazioni specifiche e fondate su atti documentali, qual è, senza ombra di dubbio, il verbale di trascrizione della seduta di consiglio comunale del 9 novembre 2016.