REGIONE CAMPANIA. Ora è certo: da una lettera della Corte di Appello si capisce facilmente (?) che il consigliere regionale FdI Marco Nonno avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto già da un pezzo. Disarmante l’incompetenza degli uffici

26 Giugno 2023 - 10:02

Pensate un po’ che nonostante il pronunciamento chiarissimo, per noi illuminante, del presidente della Corte di Appello di Napoli, la presidenza del Consiglio Regionale sta lì a traccheggiare tenendo inspiegabilmente bordone alle pur comprensibili resistenze degli avvocati del condannato definitivo per danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale, nonché condannato in primo grado a otto anni e mezzo per devastazione e saccheggio

CASERTA (Gianluigi Guarino) – Come dice il proverbio “dove c’è gusto non c’è perdenza”. Nel senso che se Casertace operasse valutazioni esclusivamente votate alla conquista del click, non dovrebbe perdere tempo nel trattare un argomento che può interessare al massimo a Napoli, non certo a Caserta, visto che si tratta di un affare legato ad una disputa in corso riguardante la titolarità di un consigliere regionale a continuare a esercitare la propria carica, nonostante una condanna penale definitiva a due anni di reclusione per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamenti, che integra le previsioni della cosiddetta legge Severino che in casi del genere sancisce la decadenza dalla propria carica istituzionale di chi si trova nell’appena citata condizione.

La vicenda è quella, ormai nota ai nostri lettori, di Marco Nonno, eletto in consiglio regionale nella lista di Fratelli d’Italia alle elezioni del 20 settembre 2020 e sospeso dall’11 gennaio 2022, cioè da quando la Corte di Appello di Napoli ha comunicato al consiglio regionale della Campania, attraverso la Prefettura, la pubblicazione della sentenza di condanna a due anni.

Diciamo che fino ad oggi solo Casertace se n’è occupata in un certo modo, analizzando e approfondendo ogni centimetro quadrato di norma di fronte alle comprensibili resistenze di Marco Nonno e dei suoi avvocati, i quali ritengono che la recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato i due anni di reclusione per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamenti non sia passata in giudicato in quanto questo suo status sarebbe inficiato dal fatto che la stessa Corte di Cassazione ha annullato, sancendone il rinvio, il ritorno alla Corte di Appello di Napoli, naturalmente in una sezione diversa da quella che ha pronunciato la sentenza di secondo grado, dell’assoluzione di cui Marco Nonno ha beneficiato per il capo di imputazione più grave, quello di devastazione e saccheggio per il quale, invece, il Tribunale di Napoli lo aveva condannato, in primo grado, alla pena di 8 anni e 6 mesi.

La Cassazione, annullando questa assoluzione, ha accolto l’impugnazione presentata dalla Procura Generale, operante presso la stessa Corte di Appello di Napoli.

Un ricorso che ha l’obiettivo di cancellare definitivamente l’assoluzione e di ripristinare la dura condanna, irrogata in primo grado dai giudici partenopei.

Nelle scorse settimane, nell’ultimo articolo dedicato alla vicenda, abbiamo fatto cenno all’iniziativa, assunta dal presidente del consiglio regionale Gennaro Oliviero, il quale si è rivolto direttamente al presidente della Corte di Appello di Napoli affinché indicasse con chiarezza se, al netto dell’annullamento con rinvio, i definitivamente sentenziati due anni di reclusione con sospensione della pena rappresentassero una sentenza passata in giudicato e in grado di incrociare, dunque, la previsione della legge Severino sulla decadenza.

La Corte di Appello, considerando, evidentemente, l’argomento banale e scontato, ha scritto due o tre cose semplici semplici.

Massima concentrazione perché ciò che ha scritto il presidente del Tribunale di secondo grado ci ha fatto capire che tutti i protagonisti di questa storia, purtroppo anche Casertace, hanno male interpretato la vicenda.

L’abbiamo male interpretata perché siamo andati dritti dritti verso l’articolo 624 del Codice di Procedura Penale, ritenendo di trovarci di fronte ad un caso tipico di “giudicato parziale”.

Cos’è un giudicato parziale? Facciamo un esempio semplice: mettiamo che la Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli avesse presentato un ricorso più ampio, che investisse sia l’assoluzione per il reato di devastazione e saccheggio, ma che reputasse insufficienti anche i due anni di carcere con pena sospesa irrogati per i reati di danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale. Di fronte a questo ricorso, mettiamo che la Corte di Cassazione avesse annullato con rinvio alla Corte di Appello la sentenza di assoluzione per i reati distinti di devastazione e saccheggio, respingendo al contrario il ricorso della Procura Generale per i due anni relativi ai reati distinti dai primi di danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.

Apritevi un attimo l’articolo e ragioniamoci un attimo. Questo articolo si intitola “Annullamento parziale”. Cari lettori, concentrati: “Se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata”.

L’equivoco in cui siamo incorsi anche noi riguarda la prima parte: “Se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza”. Quando il codice parla di “tutte le disposizioni” si riferisce ovviamente alla parte della sentenza oggetto di analisi e di sindacato giudiziari della Corte di Cassazione.

Perché alla Corte di Cassazione arriva quello che arriva ed è su quello che arriva che i giudici supremi si pronunciano.

Nel caso di Nonno, cos’è arrivato? Un ricorso della Procura Generale contro l’assoluzione per il reato di devastazione e un secondo ricorso, del tutto distinto, distante e disancorato dal primo, presentato dagli avvocati difensori di Marco Nonno che hanno richiesto la revisione della sentenza di condanna a due anni pronunciata dalla Corte di Appello, avendo come riscontro l’impossibilità finanche di discuterne, dato che la Cassazione – di quest’ultimo ricorso – ha sancito l’inammissibilità.

Quando l’articolo 624 comma 1, nella sua parte finale, dice che la sentenza ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata.

Connessione essenziale. Quando la volta scorsa (CLICCA E LEGGI) abbiamo citato l’articolo 624 per avanzare qualche dubbio sul giudicato dei due anni di reclusione, non avevamo compreso che il Cpp associa la sentenza ad ogni singolo giudizio.

E tra l’annullamento con rinvio e l’inammissibilità non c’è alcuna connessione.

Non siamo dei geni, però lo scritto messo nero su bianco dal presidente della Corte di Appello di Napoli ci ha facilmente illuminati.

Si deve tener conto – scrive la Corte – dei seguenti elementi:

È questa l formula che ci fa capire che, seppur da un punto di vista sostanziale, concreto, pratico, siamo di fronte ad un giudicato parziale, questo non lo è strictu senso, perché abbiamo a che fare con la sentenza numero uno, quella che respinge per inammissibilità il ricorso dei difensori di Nonno e che sancisce, come dice la Corte di Appello, l’irreversibile passaggio in giudicato di questa condanna e poi ci troviamo a fare i conti con la sentenza numero due, che non c’entra niente con la prima, quella dell’annullamento con rinvio dell’assoluzione.

Per cui è mai possibile che alla Regione Campania non sappiano leggere neppure la chiara spiegazione della Corte di Appello, continuando a cincischiare intorno agli ovvi e, come detto, anche comprensibili tentativi degli avvocati di Marco Nonno di mescolare le carte?

Il ricorso all’articolo 624 invocato da Nonno è impossibile semplicemente perché, da un punto di vista tecnico-giuridico la questione non può essere inglobata nella fattispecie regolata dall’istituto dell’annullamento parziale, perché qui non c’è alcun annullamento parziale, che poteva sussistere solo se la Cassazione si fosse espressa in maniera difforme nell’ambito della stessa sentenza.

E d’altronde, se si vanno a controllare i numeri del protocollo giudiziario, vi renderete conto che uno si lega al verdetto sull’annullamento con rinvio, un altro diverso a quello sull’inammissibilità.

E siccome ciò significa che non esiste la “connessione” tra due segni differenti della stessa sentenza, non esiste nemmeno la possibilità di accedere a quello che l’articolo 624 comma 2 prevede quando la Cassazione non formula una specificazione del giudicato parziale già in sede di emissione del dispositivo, consentendo così alle parti, compresa quella rappresentata dal giudicato, di chiedere che i giudici della suprema Corte si riuniscano in camera di consiglio e producano un’ordinanza chiarificatrice.

Qui i giudici della Cassazione non si sono distratti, questo ce lo fa capire la Corte di Appello. Non avevano infatti nessun obbligo di chiarire, di specificare nel dettaglio quale fosse la parte della sentenza passata in giudicato, semplicemente perché le sentenze sono due e sono state emesse nello stesso giorno solo per un fatto di logistica giudiziaria, perché avrebbero potuto benissimo essere discusse ed emesse in giorni diversi.

Che dite, questo tormentone terminerà una volta per tutte? Non lo sappiamo, perché abbiamo la sensazione che in questo traccheggiare da parte della presidenza del Consiglio Regionale ci sia qualcosa di estraneo alla valutazione giuridica dei fatti. Di estraneo e di diverso.

D’altronde Nonno non ha nulla da perdere, né gli costerebbe granché fare una brutta figura davanti ai giudici della Cassazione, interpellandoli erroneamente ai sensi dell’articolo 624 comma 2 del Cpp. Non è che noi nutrissimo grande stima e considerazione nei confronti delle strutture burocratiche della Regione Campania, ma ci piacerebbe sapere quanti avvocati e quanti giuristi lavorano nel suo ufficio legislativo e quanto costa ai contribuenti questa struttura evidentemente inadeguata.