Pizzini del boss e dolci del clan, 2 CONDANNE
25 Giugno 2020 - 07:49

CASAPESENNA – E’ stata resa nota la sentenza sull’inchiesta relativa alla pasticceria Butterfly e al clan Zagaria, di cui ci siamo occupati in un lungo focus. I giudici hanno condannato in abbreviato Giuseppe Santoro a 7 anni e 10 mesi, 4 anni invece per il geometra Pasquale Fontana.
Assoluzione, come richiesta dal pm, per Daniele Cipriano Nusher.
Nel comunicato stampa diramato nel giorno dell’esecuzione dell’ordinanza si legge: “LâattivitĂ dâindagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea e condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia di Bologna e Firenze e dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta, ha permesso di svelare la partecipazione attiva del âclan dei Casalesiâ, e in particolare della fazione Zagaria, in importanti settori dellâimprenditoria, e in particolare, nella collocazione sul Territorio Nazionale di pasticcerie, rivelando sia il tentativo di infiltrazione nel tessuto economico-sociale dellâEmilia Romagna da parte di imprese nate e operanti in territorio campano, sia lâintestazione fittizia delle stesse a soggetti ritenuti gravitanti nellâorbita della cosca.
Lâindagine, condotta con lâausilio di attivitĂ tecniche di intercettazione, sia telefoniche che ambientali, corroborate da dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia sullâargomento, ha consentito di accertare che gli indagati organizzavano incontri riservati con Michele Zagaria e con altri affiliati al fine di pianificare le attivitĂ del clan e che Santoro Giuseppe, oltre ad ospitare Zagaria nella propria abitazione e in quella di suoi stretti familiari, metteva a disposizione di diversi affiliati il locale pasticceria âButterflyâ di Casapesenna per la consegna di âpizziniâ da destinare al capo clan durante la sua latitanza.
Secondo la Dda Santoro, inoltre, riceveva un grosso finanziamento da Zagaria, con cui era in societĂ , che gli consentiva di estendere lâattivitĂ commerciale della Butterfly s.r.l. aprendo vari punti vendita sul territorio campano e napoletano, presso i quali venivano, poi, assunti diversi parenti di affiliati al clan, al fine di procurare loro un lavoro apparentemente lecito.“