CAMORRA E GRANDI APPALTI. Ecco come parte dei soldi dei lavori Telecom ed Enel si spostarono dai sanciprianesi Giuseppe Caterino e Raffaele Diana, ai casalesi di Nicola Schiavone e Peppe Misso

10 Settembre 2021 - 13:12

Ci occupiamo di nuovo oggi dei contenuti degli atti giudiziari che danno forma e sostanza all’ordinanza, per effetto della quale furono arrestati, qualche mese fa, (poi scarcerati dal Riesame) l’imprenditore Giuseppe Iannone, suo figlio Mario Iannone e Mario Pellegrino

 

SAN CIPRIANO D’AVERSA – (g.g.) Giuseppe Iannone, imprenditore di grandi opere, intendendo per tali i lavori di infrastrutturazione digitale di cui erano titolari aziende di primissimo livello, Telecom in testa, era uomo che, secondo il pentito Nicola Schiavone, apparteneva, non casualmente abbiamo utilizzato questo termine, nella sua accezione dialettale, a quello che il figlio di Francesco Schiavone Sandokan definisce “il gruppo sanciprianese“.

Nel dettaglio, Iannone era a quei tempi, sempre secondo la narrazione di Nicola Schiavone, pienamente a disposizione e, oseremmo dire, componente della squadra di Giuseppe Caterino e di Raffaele Diana, cioè di due storici riferimenti della camorra sanciprianese che aveva in Antonio Iovine, detto o’ ninno, al tempo latitante, il suo vertice di potestà.

Iannone, però, a un certo punto, ha la sensazione che quel suo posizionamento storico non sia sufficiente per garantirgli lavori, soldi e soddisfazioni. E allora inizia la manovra di avvicinamento a Nicola Schiavone e alla sua famiglia. Quest’ultimo dichiara di non averlo, però, mai considerato un uomo della sua squadra.

Dice però che l’accordo imprenditoriale, grazie al quale Nicola Schiavone perorava, ovviamente a modo suo, la causa di Iannone, ci fu, fondamentalmente sancito in occasione di una riunione che si tenne a casa di Francesco Barbato detto o sbirro, alla presenza di Antonio Basco, del genero di Giuseppe Caterino detto Peppinotto, cioè di colui che aveva seguito direttamente la causa professionale ed economica di Iannone.

La costruzione di questo rapporto rafforzato tra Iannone e Nicola schiaone aumentò sicuramente la porzione a disposizione di quest’ultimo nella distribuzione dei lavori tra i componenti del cartello delle imprese, collegate al clan dei casalesi e di cui l’Alba90, cioè l’azienda della famiglia Iannone, era già presente, ma ovviamente in una posizione meno favorevole, toccando ad essa solo la parte di competenza dei sanciprianesi, cioè dei concittadini dello Iannone.

La prima questione affrontata da Schiavone che giovò alle prospettive dell’imprenditore, fu quella relativa alla determinazione di un punto di equilibrio tra Iannone ed un altro noto imprenditore, il cui nome però non viene reso noto, in quanto omissato. Da quello che si intuisce, era stato sempre questo signor omissis il punto di riferimento degli Schiavone. Ora, l’approdo di Giuseppe Iannone, avvenuto anche grazie alla mediazione di Giuseppe Misso, il quale a sua volta sarebbe divenuto collaboratore di giustizia, ridefiniva gli equilibri e anche il peso specifico dei vari attori del cartello.

In effetti, Misso conferma sostanzialmente la ricostruzione realizzata da Nicola Schiavone. Lo fa in un suo interrogatorio, reso ai magistrati della Dda, durante il quale conferma che una delle imprese più attive nel settore dei lavori di posa di ogni tipo di cavo da parte di Telecom ed Enel, era proprio Alba90, con sede a San Cipriano d’Aversa e di proprietà di Giuseppe Iannone, con un ruolo sempre più evidente da parte del figlio Mario Iannone anche lui arrestato e poi scarcerato dal tribunale della libertà.