LA NOTA. La figuraccia dell’evento di ieri sera alla Reggia. 700 persone spedite a casa. Ecco cosa è successo davvero. L’implacabile opera della “chiattilleria”

18 Luglio 2022 - 21:20

Aridatece, allora Mario Tartaglione e Rosario Patanè. Ci ritroviamo oggi a scrivere per la prima volta della Confcommercio di Caserta, targato Lucio Sindaco. Due o tre anni fa, non ricordiamo bene, gli pubblicammo un paio di comunicati stampa, da cui capimmo una cosa e ne stabilimmo un’altra: avrebbe avuto successo e mani in pasta qui da noi, ma i suoi interventi non sarebbero usciti mai, non per una valutazione ad personam, ma per una mentalità che gli affiorava, nelle colonne di questo giornale

 

CASERTA – (Gianluigi Guarino) A margine della notizia, da noi pubblicata stamattina (CLIKKA E LEGGI)

sulla tumultuosa cancellazione dell’evento organizzato alla Reggia di Caserta dalla Confcommercio, ospite Tony Servillo una delle pochissime glorie che questa città può annoverare, occorre che CasertaCe onori la sua storia e non faccia in modo che la riproduzione di una fredda e scarna notizia di “agenzia”, peraltro assorbente solo della tesi di una parte in causa, esaurisca il suo compito informativo.

Onorare la nostra storia significa ricordare una delle battaglie più dure condotte da questo giornale sulla gestione a compartimenti stagni che ha consentito, per anni e anni, a dirigenti e funzionari del massimo monumento della città e forse di tutto il meridione, di creare, diciamo così, delle autentiche rendite di posizione, delle economie personali, autoreferenziali attraverso la collaudata modalità del caseificio dei formaggi leggeri, meglio noti ai nostri lettori come “i ricottifici riuniti casertani”.

Però, come sempre capita nelle storie grandi e piccole, nel momento in cui una persona o, come nel nostro caso, un giornale, abitano il presente di questi racconti ci si convince che l’esposizione dei fatti sia talmente estrema da mettere il narratore o la narratrice al riparo dal pericolo che le parole della solenne e apparentemente definitiva, tombale, ineguagliabile riprovazione vengano spiazzate, ridimensionate da un futuro ancor peggiore del presente.

Al riguardo, chi scrive e il giornale che dirige hanno avuto, per diverso tempo, quali ospiti fissi di un particolare filone di articoli, i signori Mario Tartaglione da Marcianise, dirigente della Reggia e per molti anni responsabile dell’area vigilanza, sicurezza e salute e Rosario Patanè, che dirigente non era, ma che contava come e più di un dirigente. Memorabili restano le nostre campagne di stampa finalizzate a denunciare fatti, peraltro oggetto di indagini che la procura della repubblica di Santa Maria Capua Vetere aveva delegato ai carabinieri della Compagnia di Caserta.

Tra quei fatti attenzionati ce n’era uno particolarmente sconcertante: CasertaCe scoprì infatti che la società di professionisti a cui gli organizzatori degli eventi avevano affidato la redazione dei piani di sicurezza, cioè una serie di documenti che gli stessi organizzatori avrebbero poi dovuto sottoporre all’attenzione della commissione di vigilanza sui pubblici spettacoli che aveva come interlocutore il settore Sicurezza della Reggia di Caserta, gestito, manco a dirlo, da Mario Tartaglione insieme al Patanè.

Quell’indagine giudiziaria, come purtroppo spesso capita da noi, non produsse i risultati sperati da chi ritiene che l’applicazione integrale dell’etica dell’onestà, meglio sarebbe dire l’etica della integrale applicazione dei dettati normativi compresi quelli sulle incompatibilità parentali, dovrebbe essere sempre propulsore reale dei procedimenti amministrativi. I codici e le leggi questo ordinano di fare. E invece, l’approdo al proverbiale binario morto dell’indagine della magistratura ha consentito al duo più dinamico dai tempi di Batman e Robin, formato da Mario Tartaglione e Patanè di godersi, in relax, in letizia e sicuramente non afflitti da alcuno stento, una pensione che non ci permettiamo di affermare in questa sede se sia o meno meritata, tenendoci per noi un punto di vista che pur abbiamo maturato negli anni.

Quando, il 4 aprile del 2019 (CLIKKA E LEGGI) scrivevamo di questa indagine e della iscrizione nel registro delle informazioni di garanzia dei nomi di due funzionari della Reggia, ritenevamo che ogni articolo successivo, immediatamente successivo ma anche proiettato in un futuro maggiormente separato nel tempo da quei fatti, non sarebbe stato capace di evidenziare uno stato di degenerazione maggiore di quello descritto.

Più della mala gestio, però, riesce a fare quel mix micidiale tra ignoranza, nel senso letterale che questa parola significa, e presunzione che dalle parti di Caserta e Napoli declina, in meraviglioso suono vernacolare il termine “chiattilleria”, un atteggiamento cioè spavaldo interpretato da giovanotti o da giovanotti di mezza età, già stagionati ma che credono ancora di essere dei 25enni o dei 30enni, che hanno raggiunto degli obiettivi economici importanti nella loro vita, mettendo in sincrono con gli effetti premiali di tipo professionale e di tipo economico, l’attitudine per la chiattilleria che è una condizione umana in cui l’ostentazione cafonal del proprio status economico, è solo l’ultimo dei problemi, peraltro, configurato in scene che, tutto sommato, strappano un sorriso, ispirano un pò di simpatia per uno stile che se ha ispirato artisti, giornalisti (DAgospia dell”intellettuale Roberto D’Agostino) vuol dire che può essere anche un buon divertimento, intendendo per divertimento quella parola che in francese si scrive divertisement ma che ha uno specchio più ampio rispetto all’accezione italiana.

Ma la chiattilleria non fa danni se sta dentro a codici comportamentali che tutto sommato l’hanno determinata, configurandosi come sua causa. La chiattilleria vince nell’applicazione integrale del codice un pò cafonal, un pò disonesto dell’aum aum, del una mano lava l’altra; mo il timbro ce lo metto io, la firma di quello che sta in ospedale o al mare; la metto io per lui e poi glielo dico, io conosco quell’impiegato che mi fa saltare la fila o che mette la mia pratica presentata oggi, lunedì, sopra ai protocolli di quelli che l’hanno presentata due settimane fa.

Ma quando il chiattillo incontra il problema di dover superare, di dover andare materialmente al di là della marca rudimentale del proprio sapere e dei comportamenti usualmente esercitati, finisce per sentirsi spaesato, perchè si muove in un territorio per lui completamente estraneo.

Queste nostre osservazioni sono di carattere generale e da esse è possibile estrarre un archetipo napoletan-casertano esistente ed evidente, vivissimo, vegetissimo e soprattutto desolatamente influente, in un territorio in cui si cresce, ci si afferma, si ha successo, non per merito, non per una conoscenza, una preparazione conquistate grazie al sacrificio dello studio, dell’applicazione quotidiana, ma attraverso l’affermazione delle procedure materiali, in realtà delle vere e proprie prassi assolutamente anticicliche rispetto alle leggi, di quella che una volta si chiamava arte di arrangiarsi, ma che poi, deformandosi e trasformando l’intelligenza del bisogno che ne aveva giustificato moralmente l’esercizio, è diventata arte del prima citato caseificio dei formaggi leggeri.

Dunque, ieri sera 700 persone, che avevano acquistato il biglietto, sono state avvertite della cancellazione dell’evento con Tony Servillo alle ore 21, cioè quando si trovavano già all’ingresso del monumento e si avviavano dunque a prendere posto nel cortile già in passato teatro a cielo aperto di molti altri eventi simili o assimilabili. Ci parlano di proteste, di urla, di moccoli lanciati a destra e a manca. Ma questo non è certo il fatto più importante.

Lo sarebbe in un luogo in cui queste persone dopo essersi incazzate aprissero anche una riflessione con loro stesse, con i propri parenti, con i propri amici, con i propri conoscenti su quelle che sono le cause, tutt’altro che fortuite, di ciò che gli è accaduto. E invece, siccome questa riflessione non la fanno, anzi, anche loro oggi, domani e dopodomani, cercheranno, aum aum, di farsi stilare un certificato che magari non gli toccherebbe, hanno contribuito pure loro, puntellando, partecipando all’affermazione del pensiero debole di un modello di vita che manco in una giungla sarebbe accettabile, a che ieri sera succedesse quello che è successo.

In altri tempi, occorreva recarsi nello studio di un avvocato per recuperare i riferimenti normativi e giurisprudenziali, riguardanti una determinata materia. Oggi, invece, basta premere il touch screen del proprio telefono sull’icona di un browser a caso – se usi Chrome fai più in fretta perchè poi le informazioni le chiedi al suo papà cioè a Google – e trovi tutto quello che ti serve. Ci si mette un secondo a reperire le norme che regolano la realizzazione dei pubblici spettacoli, a partire da quelle contenute nel Regio Decreto numero 635 del 1940 nel testo unico delle leggi sui pubblici spettacoli, una roba di 82 anni fa che ha attraversato le generazioni e seppur con modifiche e adeguamenti, sopravvive per quanto riguarda la sua cornice normativa di carattere generale, ancora oggi.

E sopravvive il requisito fondamentale della autorizzazione per tenere un pubblico spettacolo da parte della massima autorità territoriale per la tutela, la difesa della pubblica sicurezza, cioè del questore.

Questi non è che legge così, velocemente, le tre righe di richiesta di autorizzazione e in base alla luna che gli gira in quel momento, autorizza o non autorizza. L’articolo 80 dello stesso Regio Decreto, infatti, contiene una prescrizione d’obbligo anche per il questore, il quale non potrà emettere un’autorizzazione prima che una commissione tecnica non verifichi la solidità dell’edificio e le uscite in caso di incendio.

Successivamente l’articolo 141 distingue tutto quello che serve nel caso in cui lo spettacolo preveda la presenza di un pubblico superiore alle 200 unità da quello che serve nel caso in cui il pubblico sia inferiore o pari alle 200 unità. Quando scriviamo “tutto quello che serve” ci riferiamo a ciò che serve al questore per firmare la sua autorizzazione.

Nel primo caso, entrano in gioco le cosiddette commissioni di vigilanza e dunque anche la potestà organizzativa della Prefettura. Queste verificano le condizioni di solidità, di sicurezza e di igiene dei locali o degli impianti di pubblico spettacolo e indicano le misure e le cautele necessarie sia nell’interesse dell’igiene che della prevenzione degli infortuni, inoltre, accertano la conformità alle disposizioni vigenti e la visibilità delle scritte e degli avvisi per il pubblico. Sempre le commissioni di vigilanza accertano inoltre, avvalendosi di personale di altre amministrazioni pubbliche, gli aspetti tecnici di sicurezza e di igiene, controllando anche che vengano osservate le norme e le cautele imposte e che i meccanismi di sicurezza funzionino regolarmente.

Nel caso in cui il pubblico presente è in numero inferiore o pari alle 200 unità, la procedura di rilascio dei pareri di cui sopra, è sostituita da una relazione tecnica di un professionista iscritto negli ordini degli ingegneri o degli architetti o dei geometri o dei periti industriali.

Il metodo Patanè di cui prima è in pratica una versione riveduta e….scorretta delle previsioni del Regio Decreto sugli spettacoli partecipati da un pubblico fino a 200 unità. Attenzione: non è che la Reggia ai tempi di Tartaglione e Patanè applicasse le norme per gli spettacoli under 200 a quelli over 200. La procedura veniva formalmente rispettata ma come scritto sopra, al titolare, agli organizzatori veniva “caldamente” indicato un gruppo di professionisti operanti in uno studio abilitato che, in cambio di un significativo corrispettivo, radunava in una cartellina tutti i documenti da esibire affinchè la commissione di vigilanza, nella quale, col passare del tempo hanno assunto un ruolo, un significato, un’importanza sempre maggiore i rappresentanti dei vigili del fuoco, ponesse nelle condizioni il questore di rilasciare l’autorizzazione.

La notizia, per come è uscita dalle agenzie, rappresenta, come pure detto, solo la versione dei fatti data dalla Confcommercio di Caserta che parla di non meglio precisate “questioni amministrative” legate alle dinamiche di potestà della commissione di vigilanza, attivata nei casi come questi dalla prefettura di Caserta.

Il presidente provinciale della Confcommercio si chiama Lucio Sindaco. Lungi da noi armare goliardia su un cognome che in altri luoghi evocherebbe prestigio, autorevolezza, ma che qui da noi associa l’idea di chi lo incrocia, sempre e solo  alle ricotte.

Lungi da noi, battute a parte, ritenere che Lucio Sindaco abbia attivato qualcosa di non chiaro nell’organizzazione del primo evento della rassegna Reggia Festival – Visioni Reali.

Premesso ciò, diciamo che, di Lucio Sindaco, abbiamo pubblicato, circa due o tre anni fa, due o tre comunicati, dai quali ci siamo accorti che lui, probabilmente subendo, passivamente, senza accorgersene, questa mentalità, appartenga proprio, speriamo suo malgrado, a quell’impasto di attitudini umane che scherzosamente la lingua napoletana ha riassunto in maniera tranchant, con il termine chiattilleria, nella sua versione espressiva delle tante parole, finalizzate ad ottenere visibilità, unico vero obiettivo del proprio agire, del proprio parlare e del proprio scrivere.

Da parte nostra, ovviamente, si registrò, davanti ai testi di quei comunicati, un immediato disimpegno avendo CasertaCe un dna, un’attitudine che la porta ad aver riguardo per valori diametralmente opposti a quelli che trasparivano dagli scritti dell’allora neo presidente provinciale della Confcommercio Lucio Sindaco.

Ora, non per dire, ma certi nodi vengono sempre al pettine. Per cui, se quella mentalità ha la necessità di misurarsi, anche una volta ogni “morte di Papa”, con la letteralità delle procedure, ecco che affiorano tutti i gravissimi limiti cognitivi e culturali.

Ma quali questioni amministrative! Se un questore, usando doverosamente l’autorità di pubblica sicurezza, assegnatagli dalla legge, blocca una manifestazione di grande visibilità, all’interno di un monumento mediatico  per antonomasia, qual è, senza ombra di dubbio, la Reggia di Caserta, con un pubblico di spettatori, con 700 persone già arrivate sul posto, è perchè questo spettacolo non era stato adeguatamente coperto dalla gestione professionale di una procedura che è quella che Benito Mussolini in persona, da presidente del consiglio dei Ministri, controfirmava in aggiunta al sigillo reale di Vittorio Emanuele III, 82 anni fa, peraltro come regolamento di un altro Regio Decreto, datato addirittura 1931, cioè 91 anni fa.

Questo è dilettantismo e basta. Non stiamo certo accusando Lucio Sindaco di aver compiuto degli errori volontari, ma in questa storia che sicuramente poi troverà una soluzione nel recupero della data e dunque della comunicazione a chi ieri sera aveva comprato il biglietto del giorno e dell’ora in cui l’evento sarà recuperato, abitano i soliti virus della inconsistenza, della superficialità che il sistema -Caserta propone continuamente nel momento in cui è chiamato ad esprimere azioni che prevedono una lettura di due o tre paginette di documenti digitali, per un tempo di 10 minuti.

Ecco cos’è la chiattilleria. E’ una categoria estrema e purtroppo contagiosissima, nefastamente emulativa, dell’arretratezza culturale di un sistema socio-politico-economico che trova nel sotterfugio e nelle scorciatoie il suo unico alimento.

E allora, trastola per trastola, e dato che ci troviamo anche in tema-Ventennio, anche in questo caso citiamo la famosa scritta comparsa sui muri di Roma: “Aridatece er puzzone” con cui il solito italiano demagogo e piagnone, arrivava addirittura a rivalutare Mussolini rispetto ai tempi che stava vivendo. Dunque, aridatece Mario Tartaglione, aridatece Rosario Patanè. Questi, almeno, a modo loro, le carte le sistemavano o le facevano sistemare.

Qui, invece, siamo al deserto totale che noi ci permettiamo sottolineare e stigmatizzare, visto che di mezzo c’è un’associazione di categoria come la Confcommercio, che non è certamente una bocciofila di paese e che deve essere rappresentata nei territori da persone che sappiano assecondare la storia e l’importanza.