Operaio muore cadendo da otto metri. Condanna definitiva per due imprenditori

19 Settembre 2022 - 21:11

La Cassazione ha confermato la decisione presa dalla Corte di Appello di Napoli, che aveva precedentemente ritenuto valida la sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere

MADDALONI – La corte di Cassazione ha condannato definitivamente Franco Santoro ed Enzo Farina, imprenditori originari di Nocera Inferiore e di Caserta, ritenuti responsabili, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme sulla sicurezza sul lavoro, dell’incidente che ha provocato la morte di Diodato De Angelis, dipendente dell’azienda di Santoro.

Il decesso è avvenuto nell’aprile del 2012 a Maddaloni, presso il cantiere dell’azienda di Enzo Farina.

In primo grado i due imputati sono stati condannati alla pena di due anni reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili e al pagamento di una provvisionale di 50 mila euro. Una decisione, questa del tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 19 giugno 2019, confermata poi dalla corte di Appello di Napoli nel maggio 2021.

De Angelis, dipendente di Santoro, si trovava presso il capannone della società di Farina per compiere la sostituzione della copertura, assieme ad un suo collega.

Ed è lì che avvenne il fatale incidente, con la caduta dell’operaio da oltre 8 metri di altezza.

I due imprenditori sono stati condannati per diverse motivazioni, tra cui la violazione degli obblighi relativi al coordinamento tra le due ditte, un’imputazione ai danni di Farina, mentre, per Santoro, l’omissione di un documento di valutazione dei rischi connessi alle attività e l’inadeguatezza ai dispositivi di sicurezza forniti agli operai.

Entrambi hanno presentato ricorso in Cassazione. E tra i motivi di doglianza di uno degli imprenditori viene segnalato anche il fatto che lo stato psichico di De Angelis non fosse ottimale.

La circostanza era stata segnalata anche dagli accertamenti tossicologici, che avevano accertato la presenza di un tasso alcolemico tre volte superiore alla misura consentita nel sangue dell’operaio.

La corte di Cassazione, però, ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso presentati dai due imprenditori, dichiarandoli quindi inammissibili e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, circostanza che avviene quando, di norma, viene confermata la sentenza impugnata.

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