CAMORRA & RFI. Niente aggravante camorristica e dunque niente carcere per Nicola Schiavone “Monaciello”: anche la Cassazione ha detto no. Una buona notizia per il suo impero patrimoniale

21 Ottobre 2022 - 17:02

I giudici della seconda sezione penale della Suprema Corte hanno rigettato l’impugnazione della decisione presa il 25 maggio scorso dal tribunale del Riesame di Napoli, presentata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. La conseguenza non è solo relativa al tipo di detenzione dell’imputato, ma investe anche l’altra decisione favorevole ad esso, assunta da un altro collegio del Riesame che nell’estate scorsa dissequestro beni mobili e immobili a lui e ad altre persone implicate nella stessa indagine

CASAL DI PRINCIPE (gianluigi guarino) – Il 3 maggio scorso, i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Caserta notificarono l’ordinanza che sanciva l’arresto e la carcerazione per Nicola Monaciello Schiavone, al tempo solo indagato, oggi imputato, per la notissima vicenda sulle presunte connessioni tra il clan dei Casalesi e l’azienda di Stato Rete Ferroviaria Italiana, di cui ci siamo occupati per mese, con decine e decine di articoli.

Gli avvocati di Monaciello presentarono ricorso al tribunale del Riesame.

Ora, a questo punto del racconto, vi invitiamo caldamente a CLICCARE QUI, visto che CasertaCe, oltre a dare le notizie nude e crude dell’attenuazione della cifra afflittiva del provvedimento cautelare e poi del dissequestro dei beni per

l’imprenditore di Casal di Principe trapiantato a Napoli e Roma, ha anche spiegato il motivo per cui la sezione del Riesame relativa alle libertà personali e quella dedicata alle misure patrimoniali hanno sentenziato a favore della tesi difensiva di Monaciello.

Il non riconoscimento dell’aggravante camorristica da parte del Riesame per le misure personali e l’atto del dissequestro dei beni, sono state decisioni intimamente collegate l’una all’altra.

Queste due decisioni, il non riconoscimento dell’aggravante camorristica da parte del Riesame per le misure personali e quella assunta da un altro collegio, che ha portato come conseguenza il dissequestro dei beni, erano intimamente collegate l’una all’altra.

Per cui, Nicola Schiavone, arrestato per le accuse di corruzione, falso ed altri reati, tutti aggravati dall’articolo 416 bis, comma 1 (già articolo 7), il 25 maggio scorso usciva dalla cella del carcere in cui si trovava e tornava a casa in detenzione domiciliare perchè il Riesame aveva considerato insussistenti le motivazioni del Gip del tribunale di Napoli, Giovanna Cervo, inerentemente alla contestazione dell’aggravante camorristica. E questo permetteva a Monaciello già di pregustare l’ulteriore pronunciamento favorevole che di lì a poco, ineluttabilmente, sarebbe arrivato, come effettivamente arrivò, sul dissequestro dei suoi beni e di quelli della sua famiglia

del resto da noi largamente preventivata in tempi non sospetti, ovvero da prima dell’udienza celebratasi davanti ai giudici del Riesame, e causata – secondo noi – da sconcertanti carenze avvenute durante l’indagine della DDA.

Questa indagine, in sé per sé, è stata svolta con grandissima dedizione dai già citati carabinieri del nucleo operativo di Caserta, assieme al sostituto procuratore Graziella Arlomede. Sulle loro intenzioni e sulle loro motivazioni non ci può accampare il benché minimo dubbio.

Detto questo, però, ovviamente dopo aver letto centinaia, centinaia e ancora centinaia di pagine di questa ordinanza, abbiamo maturato la sensazione che la Dda e conseguentemente i carabinieri siano stati rallentati, fermati da circostanze fortuite fino a prova contraria, ma che per noi restano sconcertanti, così come abbiamo scritto nell’articolo in cui, vi ripetiamo, potete accedere CLICCANDO QUI, all’indomani della decisione dei giudici della libertà, soprattutto di quelli chiamati a decidere sull’istanza di dissequestro.

E così, com’era scontato almeno per noi, altra giornata favorevole per Nicola Schiavone Monaciello, l’imprenditore che aveva messo sotto scatto e in pratica nel suo libro paga molti vertici e dirigenti di Rfi, dando ragione, in sostanza, alla decisione di puntare al tempo su di lui assunta dal suo mentore, Francesco Schiavone Sandokan.

Il capo e fondatore del clan dei Casalesi che, dopo esserne stato anche formalmente suo socio nell’anno 1993, l’ha lanciato nelle attività imprenditoriali e costruendo con lui un rapporto strettissimo, sancito dal tutt’altro che ininfluente evento del battesimo del primogenito di Sandokan, Nicola Schiavone Junior, primogenito di Sandokan, per il quale fu proprio Monaciello ad essere scelto come padrino.

Dunque, non nutrivamo alcun dubbio neppure sull’esito del pronunciamento della corte di Cassazione, a cui i magistrati della Dda si sono rivolti, impugnando la decisione del Riesame e chiedendo il riconoscimento dell’aggravante camorristica e conseguentemente la reintroduzione della misura cautelare in carcere a carico dell’imprenditore 68enne.

D’altronde, se quelle zone d’ombra, quei tentennamenti anomali e incomprensibili registratisi nell’inchiesta avevano offerto solidissimi argomenti giuridici – da noi, ripetiamo, individuati già da prima del pronunciamento del Riesame – per sancire la revoca dell’arresto in carcere per insussistenza della contestazione ai sensi dell’articolo 416 bis, comma 1, era impensabile che la Cassazione, che si muove, di solito, con un registro di garantismo ancora più marcato, accogliesse questo ricorso della Dda, che avrebbe, poi, aperto prospettive nuove per l’altro ricorso, riteniamo ugualmente e similarmente presentato, finalizzato al ripristino della misura del sequestro dei beni.

Respingendolo, la suprema corte ha chiuso definitivamente la partita dei titoli cautelari, delle restrizioni delle libertà personali a carico di Francesco Monaciello Schiavone, il quale, però, resta imputato davanti al giudice del tribunale di Napoli per diversi reati, quelli per il quale deve ancora sottostare alla detenzione domiciliare, che vanno dalla corruzione in corso, al falso e ad altro ancora.

Un processo in cui – udite, udite – e su questa cosa a breve dedicheremo un altro articolo, Rfi, difendendo con qualche sorprendete memoria i suoi dirigenti e i suoi funzionari imputati, si è costituita parte civile, nominando (a nostro avviso in maniera clamorosamente inopportuna per un’azienda di Stato che comunque dipende dal governo e di preciso dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) l’avvocato Paola Severino, che è stata ministra di questa Repubblica e non un dicastero qualsiasi, proprio quello della Giustizia, dunque anche competenze relative alla vita della magistratura, dunque anche di quella penale.

E se non andiamo errati, Severino, ministra lo è stata pure durante i periodi in cui si verificavano gli avvenimenti che hanno portato la Dda a chiedere e ad ottenere il rinvio a giudizio di Nicola Monaciello Schiavone, di suo fratello e di vari sodali, ma anche di alti dirigenti di Rfi, l’azienda che oggi, riteniamo pagando una parcella ragguardevolissima, ingaggia la Severino per rappresentare un proclamato status di parte lesa in questo processo.

Ma, ripetiamo, su questa specifica vicenda ritorneremo presto, fornendovi dettagli e informazioni ancor più precise.