LA NOTA. Ora ci mancava solo il “camorrista gentiluomo”: le piroette di Mastrone, il voto a Sandro, la sorella suora e i troppi anni da pentito che spersonalizzano
2 Luglio 2018 - 11:47
SANTA MARIA CAPUA VETERE – (g.g.) Ci sono dei collaboratori di giustizia che interpretano da molti, forse, da troppi anni, quella che dovrebbe essere una importante funzione etica. Capita dunque, a causa di questa routine abitudinaria, che la funzione scada in semplice ruolo. Ora, non è che esercitare un ruolo deve essere per forza un fatto negativo, che attesti l’espressione di valori non irreprensibili da parte di una persona. Ma ruolo è una parola a più ampio spettro che può riguardare manifestazioni di tipo differente e spesso di segno opposto.
Poi ci sono i casi in cui la parola assume un significato neutro. Se uno svolge un ruolo all’interno di un film o di una rappresentazione teatrale è un attore. Buono o cattivo che sia, professionista o dilettante che sia, è comunque un attore. Proprio questo legame tra la parola ruolo e l’espressione della finzione scenica, rende il termine uno strumento ambiguo. Nel senso che se l’attore uno lo fa in un film o in un teatro, allora il suo sarà un ruolo definito, chiaro, onesto ed onestamente comprensibile; se poi, al contrario, il ruolo di attore viene manipolato, impropriamente esteso ad altri contesti, allora la parola ruolo si avvicina pericolosamente a un concetto di finzione che non è più quello delle due arti figurative, ma si esplica nella vita e può determinare conseguenze gravi per le persone che questa vita normale conducono.
Massimiliano Caterino detto il mastrone è stato inserito nel programma di protezione da anni e anni. Sicuramente ha fornito un contributo utilissimo all’accertamento di tante verità nascoste sulle trame criminali del clan dei casalesi. Ma nell’ultimo periodo, questa lunga militanza nel “ruolo” di pentito, dà la sensazione di essere divenuta più che altro una rappresentazione di sé, più che della verità effettuale, quale protagonista di una stagione spettacolare e iper mediatica di arresti e di inchieste. Caterino, in poche parole, ha subito un processo di immedesimazione inconsapevole ed acritica. In pratica, ha rimosso l’identità di quella che è stata la sua persona per anni e l’ha sostituita con un’altra.
L’altro giorno, durante l’udienza del processo Jambo, l’avvocato Carlo De Stavola, gli ha posto alcune domande precise. Tra queste, una riguardante un presunto schiaffo, peraltro già citato in diverse ordinanze, assestato a Luigi Cassandra, che si era “allargato” un bel pò, acquistando un terreno a Frignano e facendo arrabbiare non poco Nicola Schiavone, il quale già aveva un’attitudine a crear tensioni con l’ala degli Zagaria, figuriamoci se un imprenditore di questo gruppo “sconfinava” nella zona da lui controllata.
Ebbene, Massimiliano Caterino ha detto di non ricordare se abbia dato o meno uno schiaffo a Cassandra. L’avvocato De Stavola gli ha, con sagace ironia, giustamente replicato che, uno come lui, che si schiaffi ne ha dati tanti nella propria vita, è anche umano che non se li ricordi tutti singolarmente.
Risposta piccata di Massimiliano Caterino: “Io nella mia vita non ho dato mai uno schiaffo. Ero unanimente considerato un ‘camorrista gentiluomo‘.” Ora, caro mastrone, intanto questo soprannome, tipicamente popolare, non si adice e non suono certo gentile rispetto alla fonetica del buon vivere e all’aplomb di un gentleman. Poi onestamente, dovrebbero parlare i periti che hanno tradotto dal dialetto all’italiano le tante intercettazioni che l’hanno riguardata e che non erano certo il compendio delle buone maniere o un estratto del galateo di Monsignor Della Casa.
Però, questa cosa del camorrista gentiluomo un pò ci fa sorridere perchè evoca vicende romanzate di antichi banditi gentiluomini che, però, non si erano mai macchiati di omicidi, perché Arsenio Lupin era un ladro di rara eleganza a cui non potevi non riconoscere, ovviamente nella finzione cinematografica e televisiva, almeno tre quarti di nobiltà.
A questo punto, ci può soccorrere solo un libro, l’ennesimo libro. Ci offriamo di scriverlo noi a 4 mani con il mastrone, occupandoci, però, non delle trame criminali che sono iper citate nelle tonnellate di pagine che costituiscono gli atti giudiziari del clan dei casalesi, ma degli scampoli di vita extra camorra in cui Massimiliano Caterino esprimeva a suo dire questo suo carisma fascinoso, quello di un camorrista gentiluomo, così come si è auto definito l’altro giorno in udienza.
E proprio al nocciolo più concreto di quest’udienza vogliamo andare per fornirvi qualche informazione aggiuntiva. Massimiliano Caterino ha ribadito una cosa che aveva già dichiarato ai magistrati nelle fasi istruttorie e cioè che nel 2005, il loro gruppo degli Zagaria non votò alle elezioni provinciali Nicola Cosentino ma Sandro De Franciscis. Per quanto riguarda la questione dello svincolo del Jambo, siamo già alla terza versione cambiata: Caterino disse che quell’appalto se lo sarebbe dovuto aggiudicare la ditta intestata alla figlia di Fontana, parente diretta insieme a suo padre, di Michele Zagaria. Poi successivamente parlò di un’aggiudicazione decisa a favore della ditta di Francesco Martino. Riconoscendo di aver avuto un annebbiamento della sua fertilissima mente, da vero gentiluomo cambia ancora idea e recentemente ritorna con la storia dell’ipoteca a favore della figlia di Fontana.
Per quanto concerne le elezioni di Trentola, l’avvocato De Stavola gli ha chiesto se lui, Caterino, fece campagna elettorale e se chiese un sostegno anche alla sorella suora. In prima battuta, Mastrone ha detto di sì con qualche forse. Lui avrebbe parlato anche con la sorella per appoggiare Griffo. Quando l’avvocato ha detto però che, a quel punto, sarebbe stato opportuno che rivelasse le precise generalità della congiunta in modo da poterla chiamare come testimone a riscontro delle sue affermazioni, Caterino si è rimangiato tutto.
Un vero gentiluomo.