PROVINCIALI. LA “SANTA ALLEANZA” TRA ZANNINI E MIRRA. Una poltrona in Consiglio regionale val bene una messa a Mondragone. I voti che puzzano? Ma chissenefrega
11 Dicembre 2023 - 15:15
Due anni fa il sindaco di S. Maria Capua Vetere si sfogava, naturalmente in privato, solo che Pasquale Crisci, poi manco a dirlo arrestato, li metteva alla porta dell’ente d’ambito dei rifiuti in nome e per conto del consigliere regionale, parlando di delinquenza, diciamo così, politica. Oggi si iscrive a quel circo, naturalmente in nome dei valori della “Grande abbuffata”.
S. MARIA CAPUA VETERE (Gianluigi Guarino) – L’accordo tra Giovanni Zannini e il sindaco di Santa Maria Capua Vetere, Antonio Mirra, contiene due ingredienti esemplari e fedelmente descrittivi di quella che è la politica in provincia di Caserta nel tempo presente. Il primo: Giovanni Zannini, con questo accordo, si sente più al sicuro, ritenendo, non sappiamo se a torto o a ragione, che i rapporti solidi, consolidati e diretti che Antonio Mirra vanta con alcuni ambienti della magistratura inquirente, possano migliorare le sue attuali prospettive in relazione all’esposizione a inchieste giudiziarie, che, peraltro, fino ad ora, non gli hanno provocato neppure un prurito e che, com’è pure largamente e conseguenzialmente possibile, esistono solo nella nostra immaginazione, che disegna e racconta spesso di comportamenti discutibili non irreprensibili e assertivamente sindacabili dello Zannini rispetto alle norme dei codici, rappresentandosi come viaggi onirici, realizzati, limone dell’invidia in mano, da questo giornale e da chi lo dirige, che, tra agrumi gialli e clochards (anche su quest’ultima cosa avremo tante cose da dire in questi giorni) vede fantasmi, streghe e criminali nell’invece immacolatissima azione di governo esercitata dalla politica nelle nostre contrade e, nello specifico, nell’attività di Zannini, che di questa è l’assoluto mattatore.
Il secondo ingrediente esemplare riguarda, invece, nel perfezionamento del reciproco interesse tipico di un negozio contrattuale, Antonio Mirra. Solo due anni fa, quando sfido’ Zannini e Magliocca, candidandosi per il Pd alla carica di presidente della Provincia, non ci fu giorno che non denunciò, ovviamente in via strettamente privata, quelle che anche lui definiva le nefandezze del comitato d’affari, del baraccone di nani, ballerine – di tante, proprio di tante ballerine – e di tanti altri personaggi con mansioni di approvvigionamento – provviste, una struttura, anti scienza e sostanza di questa vera e propria cittadella del potere ribaldo. Gli sfoghi, le accalorate, in qualche circostanza feroci denunce, ribadiamo, rimaste sempre in uno stadio strettamente privato, raggiunsero lo zenit, nel momento in cu quello che è lo status di alto borghese delle professioni, stampato negli occhi e nel resto della fisionomica di Antonio Mirra considerava al più un quisque de populo, denominato per incidente biologico Pasquale Crisci, poi casualmente colpito, solo lui, dagli strali della Dda, gli assesto’ poderoso un calcio in culo, sacrilegio del divario censuario, mettendolo alla porta, alla maniera dei “bravi” manzoniani e in nome e per conto del don Rodrigo mondragonese, dalla sede dell’Ente d’ambito provinciale di gestione dei rifiuti, di cui Antonio Mirra era presidente.
“Sono dei delinquenti”, tuonò e qualcuno pensò e sperò sentenziò con voce vibrante Antonio Mirra al nostro telefono che in quei giorni aveva preso per una stanza di psicoterapia. Ma no, Antonio, rispondevo io, non esagerare, quelli là sono solo il frutto del degrado culturale, sociale e, conseguentemente, politico, di questa terra con la sola variabile di un soggetto, come Zannini, caratterialmente granitico nella volontà che possiede di stare, al netto o al lordo di aiutini esterni, costantemente sul pezzo. La loro spregiudicatezza, continuavo illudendomi che, dall’altro lato del telefono, ci fosse una persona a cui questi discorsi interessassero, è solo una determinazione aritmetica della spregiudicatezza diffusa, in potenza o in atto, (Platone speriamo non si rivolti nella tomba) nell’ottanta per cento della popolazione indigena. Due anni dopo stiamo qui a parlare e a scrivere dell’accordo tra Antonio Mirra e Giovanni Zannini, che dovrebbe fare di Dino Capitelli una delle star delle elezioni provinciali di questa domenica. Domanda: cosa non torna nel corso storico di questi eventi? Quesito ozioso, perché torna tutto geometricamente, goniometricamente: Antonio Mirra ha, infatti, sempre considerato la carica di sindaco il passaggio di un divenire verso il suo unico vero pallino: la poltrona di consigliere regionale. Accettò di candidarsi contro Giovanni Zannini e Giorgio Magliocca a presidente della Provincia nel 2021, perché Gennaro Oliviero gli garanti’ la candidatura e, soprattutto, il suo appoggio, sicuro di un suo transito e di un suo approdo a Montecitorio o a palazzo Madama, alle elezioni regionali del 2025-26.
Oggi Zannini gli ha promesso la stessa cosa e cioè la candidatura nella sua lista alle prossime elezioni regionali, ma soprattutto gli ha promesso il suo appoggio, visto che lui non si candiderebbe, ma costruirebbe liste-Zannini in almeno tre provincem per portare minimo due consiglieri regionali, che lo trasborderebbero trionfalmente in carrozza nell’ambita stanza della giunta regionale, con un assessorato di gran peso.
Il fatto che Zannini abbia promesso la stessa cosa che ha promesso ad Antonio Mirra ad un’altra ventina di persone diventa fattore poco rilevante per uno come il sindaco di Santa Maria Capua Vetere, a cui non fa certo difetto l’autostima e che si sente, non sappiamo se a ragione o a torto, ma forse più a ragione che a torto, ancora blindato dai poteri forti, a cui Zannini guarda e che prova a curare molto in questo periodo della sua vita. Capitelli, di quei Capitelli che Mirra voleva “accoppare” imprenditorialmente fino a un paio di anni fa, durante la celeberrima vicenda della conferenza dei servizi e/o rotonda prospiciente alla concessionaria di famiglia, consentirà a Zannini di catturate una decina di voti di grandi elettori del Consiglio comunale di Santa Maria Capua Vetere, che valgono poco meno o poco più di 2500 voti. Qualche altro lo aggiungerà lui per blindare l’elezione di Capitelli. Sono voti che servono a Zannini per dire a De Luca che lui le raccomandazioni che servono ad alimentare la macchina elettorale, le assunzioni degli Innocenti, delle Turco, di una generazione intera della famiglia Sagliocco-Spezzaferri, per citare alcuni esempi tra tantissimi possibili, e ancora, le connivenze complici della Regione in porcherie impunite, come quella, appena consumatasi, della mancata fideiussione del Consorzio Idrico nella fase di trasformazione in Spa, (CLIKKA E LEGGI), Giovanni Zannini da Mondragone, li trasforma immancabilmente in voti, in moneta sonante e nell’unico propellente per mantenere e alimentare il potere, anche e soprattutto quello di De Luca, senza star lì a far gli schizzinosi nel verificare come arrivino e da dove arrivino questi voti. Se sono griffati, “da mister Scarola da Mondragone”, il camorrista che ha scortato passo passo il governatore nella sua ultima visita a Mondragone, oppure da mister Andrea Pirozzi da Santa Maria a Vico. Nel brodo di coltura di questa mentalità ha sempre vissuto, al di là delle apparenze l’esercizio politico – amministrativo, Antonio Mirra. Ci ha nuotato con sopraffina abilità, anche perché non ha avuto mai il problema di allearsi, in una condizione di subalternità, con il realismo plebeo di Zannini. Questo gli ha consentito di mantenere vivo quel suo aplomb che avrebbe stuzzicato l’interesse del grande scrittore, sceneggiatore e tante altre cose ancora, Vincenzo Cerami, autore di grandi sceneggiature, a partire da quella de “La vita e bella”, che gli valse, nel 1999, una nomination agli Oscar, ma anche del meraviglioso romanzo “Un borghese piccolo piccolo”, da cui Monicelli estrasse l’omonimo e celeberrimo film, in cui Alberto Sordi si produsse nella migliore interpretazione drammatica della sua formidabile vita d’attore. Vincenzo Cerami avrebbe trovato in Antonio Mirra una chiave di lettura diversa del conformismo borghese, in grado probabilmente di tenere al proprio individualismo al riparo dalla variabili casuali della vita, a differenza di quello che capita al protagonista del suo romanzo. Oggi, però, il tempo stringe anche per Antonio Mirra e allora, ma chissenefrega, siamo in ballo e balliamo. Chissenefrega. Da borghese sempre attento a tenere lucido l’involucro della reputazione, prorompe sulla scena di queste elezioni provinciali scoperchiando l’involucro e alleandosi con il più forte, ma, allo stesso tempo, con quello che i benpensanti e i perbenisti come Mirra considerano sotto sotto, il più “zozzo”, il più volgare, salvo poi andare, quatti quatti, a chiedere una “cortesia” o un posto di lavoro, per un familiare e, perché no, per un’amante. Pino Daniele avrebbe cantato: “Chi se n’ fott'”, io, Antonio Mirra mi cancello dal Terzo Stato, non sono più un borghese ma per un giorno mi sento addirittura un re, un re “fatti il culo”, parafrasando Fabrizio De André in “Coda di lupo”. Per un giorno mi sento Enrico di Navarra. E allora, un posto in Consiglio regionale, dunque Napoli, val bene un pellegrinaggio a Mondragone.