MADDALONI. ANATOMIA DI UNA SENTENZA. Assoluzioni e condanne, capo per capo, i casi della Gallo, di Cafarelli e dei Cerreto

5 Ottobre 2018 - 18:33

MADDALONI – Come vi avevamo promesso ieri, ci piace chiudere una lunga filiera di articoli che abbiamo dedicato alla vicenda giudiziaria del gruppo camorristico maddalonese, riferibile alla famiglia Lai, analizzando ulteriormente la sentenza pronunciata poco meno di 24 ore fa e collegandola all’ordinanza, eseguita il 9 novembre 2015.

Intanto, va precisato che alcuni di questi indagati, a partire dal boss Vittorio Lai, hanno scelto la strada del rito abbreviato. E con lui Giovanni Guzzo, Carlo Lai, Donato Esposito, Michele Lombardi detto o’cecato e Michele Madonna.

Degli 11 “superstiti” che, a quasi tre anni di distanza da quell’ordinanza, sono arrivati alla sentenza di primo grado con rito ordinario, ben 8 erano accusati del reato più grave, cioè l’associazione a delinquere di stampo camorristico, ai sensi dell’articolo 416 bis, tutti condensati nel capo A dell’ordinanza.

La sentenza ha riconosciuto la colpevolezza, per il reato più grave dei soli Giuseppe Lai, che non a caso ha rimediato 26 anni, Vincenzo Piscitelli, 16 anni, Vittorio Franceschetti, 14 anni e Mario Lai che ha rimediato 18 anni.

Gli altri indagati, solo realativamente a questo capo, cioè all’accusa più grave sono stati assolti.

Assolti Rosa Gallo, Rosario Cafarelli, Francesco, Pietro e Gaetano Cerreto. Beninteso, questi 5 imputati sono stati condannati per altri capi di imputazione, riscontrabili proprio nell’appena citata ordinanza.

Ma se Rosario Cafarelli può festeggiare per aver evitato una pena pesante grazie all’assoluzione dal capo A, festeggia di meno nel momento in cui il collegio lo ha condannato a 4 anni e 8 mesi per il capo I.

E andiamolo a vedere, o meglio a riguardare, dopo i lunghi racconti dei nostri articoli di fine 2015 e inizio 2016. Gli indagati per il capo I furono il citato Cafarelli e Giuseppe Lai. Il reato, quello di estorsione, aggravato dall’articolo 7. La vicenda quella delle minacce e anche delle percosse subite da Pietro Peruviano affinchè questi corrispondesse a Cafarelli la somma di 400 euro come una delle molte rate (rate da 250 euro) frutto di una truffa alle assicurazioni che Peruviano e Cafarelli aveva compiuto insieme.

Per i due Cerreto, cioè Gaetano e Francesco, pnea uguale: 5 anni e mezzo precisi. Condannati per un solo capo di imputazione, quello contrassegnato dalla lettera E. Anche qui siamo di fronte a minacce all’incolumità fisica. Il famoso falso finanziere Giuseppe Vinciguerra attraverso le sue truffe internet aveva accumulato 50 mila euro. Dal carcere, appena arrestato, Giuseppe Lai aveva mandato a dire ai due Cerreto di riscuotere la rata e di non andare per il sottile qualora Vinciguerra si rifiutasse. Di fronte ad una mazza di legno, brandita sotto il naso, il Vinciguerra tornò a più miti consigli e scucì i soldi.

Per questo capo, sono stati condannati anche lo stesso Giuseppe Lai e Mario Lai.

Pietro Cerreto, invece, è stato condannato per due capi di imputazione, M e N. Due anni precisi per il primo, altri 5 anni e 6 mesi per il secondo che poi nell’evoluzione del processo in Appello saranno rideterminati attraverso la continuazione. Per il capo M si tratta dell’episodio in cui Pietro Cerreto minaccia il già citato Pietro Peruviano affinchè non riveli ai carabinieri il motivo per cui lui rende questi soldi alla famiglia Lai, precisando solo che si tratta di corrispettivi per le spese fatte nel negozio di Rosa Gallo. Tutto questo indusse Peruviano a compiere a sua volta un reato, non denunciando alle forze dell’ordine di essere sottoposto al regime di usura da parte di Giuseppe Lai.

5 anni e mezzo per il capo N. In questo caso, Pietro Cerreto è condannato insieme a Giuseppe Lai. Si tratta degli interessi usurari al 30% al mese imposti a Michele Mataluno, carpentiere di Maddaloni. Per un prestito di 500 euro al mese, Mataluno ne restituiva 650, dunque proprio con il 30% degli interessi.

Anche in questa circostanza, viene contestato l’articolo 7 e cioè un reato, che attraverso la sua commissione, favorisce il clan camorristico dei Belforte e le sue “rappresentanze” maddalonesi.

Per il momento ci fermiamo qui. Vi diamo appuntamento a domani per un’ulteriore analisi approfondita della sentenza con cui ieri il tribunale di Santa Maria ha inflitto più di un secolo di carcere al gruppo camorristico dei Lai (CLICCA QUI PER LEGGERE IL NOSTRO ARTICOLO DI IERI).