I TENTACOLI DELLA CAMORRA NEL JAMBO. Manco una visura camerale “si è fidato” di fare l’amministratore giudiziario. In tre minuti avrebbe scoperto tutto
16 Luglio 2019 - 13:41
TRENTOLA DUCENTA – Ritenevamo che, dopo la profusione di parole sparse nella rete o impresse sulla carta dei giornali, oppure pronunciate da qualche speaker televisivo, fosse necessario entrare, come sempre facciamo noi, nelle viscere della pur breve ordinanza che ha portato a un nuovo arresto per il boss del clan dei casalesi Mario Iavarazzo e al coinvolgimento di gran parte della sua famiglia nella inchiesta effettuata dalla Dda che ha disarticolato la rete imprenditoriale ricostruita da Iavarazzo sulle ceneri di Publione, messa nel mirino e colpita, negli anni scorsi, dai provvedimenti di sequestro e da misure preventive di attacco ai patrimoni, frutto di attività camorristiche.
E invece, non serve entrare nella trattazione più tecnica di questa ordinanza.
I comunicati e le interpretazioni di ieri, infatti, non esauriscono ciò che la semplice lettura dei capi di imputazione provvisori offrono ancora stamattina all’attenzione di chi un po’ di storia dei rapporti tra clan dei casalesi e colletti bianchi la conosce.
Ieri abbiamo dedicato addirittura un’editoriale alle (dis)amministrazione giudiziaria del Jambo.
Nel ragionare sulle carenze evidenti dell’attività, ampiamente remunerata col pubblico danaro, dei rappresentanti dello Stato, messi a capo di Cis Meridionale (la società di gestione del centro commerciale Jambo), abbiamo posto un problema giuridicamente rilevante: escludendo, ovviamente, ogni eventualità dolosa, non ci siamo fatti mancare niente nel setacciare l’area perimetrata dei cosiddetti delitti colposi e delle attinenze, che poi coincidono con attività svolte senza esprimere una capacità di controllo e di sorveglianza in linea con il mandato e con il contenuto della funzione di amministratore giudiziario.
Culpa in vigilando, che non è un’invenzione di Casertace ma un importantissimo istituto del diritto pubblico e del diritto privato italiani.
Eh beh, leggendo il capo 3 dell’ordinanza, che non ha bisogno di ulteriori approfondimenti, quella nostra opinione viene rafforzata ulteriormente.
In principio era Publione. Con il clan dei casalesi padrone del Jambo, andava da sé, come si suol dire, che Mario Iavarazzo, uno dei “ministri dell’economia” più importanti della camorra dell’agro aversano, cassiere proprio negli anni di Nicola Schiavone, avesse il monopolio sulle attività di promozione pubblicitaria del centro commerciale, che ha avuto sempre la sua colpa nell’affissione dei manifesti 6×3 e affini.
Se questa “anormalità normale” aveva un senso nelle geometrie criminali, scompaginate dal blitz del dicembre 2014, ciò che è capitato dopo quella data, da quando lo Stato ha formalmente assunto le redini del governo di Cis Meridionale, è letteralmente folle, incomprensibile o fin troppo comprensibile.
Domanda: quanto è costata, fino ad oggi, alle casse pubbliche, l’amministrazione giudiziaria di Cis Meridionale?
Centinaia di migliaia di euro, forse milioni, visto che l’amministratore giudiziario molto si è dato in nomine di piccoli e grandi consulenti.
Ok, va bene, accettiamo, da cittadini, questo sacrificio.
Ma benedett’iddio, è mai possibile che un’amministrazione giudiziaria che, riteniamo, sia consapevole dell’identità di chi ha avuto in mano l’appalto della pubblicità per anni, cioè dell’identità di Publione di Mario Iavarazzo, non impieghi tre minuti (perché tanto occorre) per farsi stampare una visura camerale per capire chi fossero i successori del clan dei casalesi?
Se la pubblicità l’hanno fatta Sandokan e i suoi discendenti fino al 2014, se il sottoscritto, ‘sto coglione, va a fare l’amministratore giudiziario prendendo i soldi che prende, gli viene quantomeno la curiosità di sapere chi è stato il successore di Sandokan.
Una curiosità legata anche alla normale ambizione di dare un senso a sé stessi, alla propria funzione: prima c’era Sandokan, adesso c’è un’azienda pulita.
No, non l’hanno fatto, consentendo a Mario Iavarazzo di varare una nuova società, con un nome moderno, di trend, “Adv Comunication” intestata a un prestanome non di Londra ma di San Marcellino, il tal Nicola Sabatino, e – attenzione – con sede legale allo stesso indirizzo del mitico Corso Umberto di Casal di Principe che ospitava la sede di Publione.
Tre minuti sarebbero occorsi.
Parafrasando l’ottimo Sangiorgi, “solo tre minuti per…” capire l’inguacchio.
E invece gli impiegati che c’erano prima hanno tranquillamente affidato l’incarico alla società fondata da Iavarazzo e chi si è visto si è visto.
Cosa diciamo, vergogna allo Stato italiano, ai suoi alti funzionari?
Lo facciamo ogni giorno e a poco serve.
Ma non ci toglierete il piacere e il gusto, perché piacere e gusto sono cose molto più difficili da scalfire rispetto all’ambizione del soldo, di scrivere ogni giorno articoli come questo.