IL FOCUS. La famiglia Schiavone “si spacca”: i figli che stanno con Sandokan, e quelli che appoggiano Giuseppina Nappa
1 Agosto 2019 - 21:31
CASAL DI PRINCIPE (Tina Palomba) – Detenuto al 41 bis da 21 anni, Francesco Schiavone detto Sandokan, 64 anni, condannato a ben 12 ergastoli, continua ad essere un fattore della rete criminale del clan dei Casalesi. Lo confermano gli investigatori dopo le recenti accuse nell’ambito del processo per associazione camorristica con il gruppo Venosa che dovrà essere celebrato a settembre presso il tribunale di Napoli Nord dinanzi al presidente Giuseppe Cioffi. Catturato dalla Dia di Napoli con la squadra del dott. Guido Longo (ex questore di Caserta) l’11 luglio del 1998 in via Salerno a Casal di Principe. Inoltre sembra che per ‘un pelo’ scampò alla cattura già qualche mese prima per mano della squadra Mobile diretta all’epoca dal dottore Aldo Mannella.
Un mastino napoletano, infatti, insospettì l’ispettore Pasquale Carrillo della Mobile, (ma non si andò fino in fondo) nel corso di una perquisizione domiciliare nella stessa abitazione in via Salerno dove verrà poi veramente catturato il boss. Il mastino si rifugiò, nel corso dei controlli, in un cunicolo dove poi gli uomini della Dia scoveranno il suo padrone. Sandokan, infatti, quello stesso cane lo ritrarrà in uno dei quadri che poi saranno sequestrati dagli uomini della Dia nel suo bunker. Francesco Schiavone attualmente è ristretto al carcere di Parma e a parte qualche acciacco di salute, come del resto tutti gli umani ne possono soffrire, è lo stesso suo difensore, il penalista Mauro Valentino, che lo sottolinea ‘ora sta bene’ dopo alcune vecchie voci che lo avevano dato per gravemente malato. Sandokan, anzi, continua a dettare leggi nella sua famiglia dividendola in due. Tre dei suoi sette figli, Carmine ( attualmente in carcere) Ivanohe (libero) e Emanuele ( in carcere) hanno scelto come il padre di non collaborare con la giustizia.
La moglie, invece, Giuseppina Nappa, libera, e insieme alle figlie Chiara e Angela, e Walter (ai domiciliari) sono sotto programma di protezione in località riservate perché hanno approvato la scelta di Nicola Schiavone (primogenito di Sandokan detto Nic barba) che da un anno è un collaboratore di giustizia. Un pentito che, a parte spiegare i nomi delle persone criminali che hanno costellato il clan dei Casalesi, dovrebbe rivelare anche la verità su fatti familiari legati ad alcuni delitti, come quello di Carlo Amato e Michele Della Gatta. Nel giugno del 1999, nella discoteca sull’Appia nel corso di un Mac Pi del liceo Amaldi, a Santa Maria Capua Vetere, venne accoltellato a morte il figlio di Salvatore Amato, per una lite a causa di un complimento dato ad una ragazza. Quella sera, molti videro i figli di Schiavone presenti alla rissa (prima Walter quello che è ora sotto protezione e poi Nicola, il pentito). Dopo qualche giorno, venne trovato ucciso a colpi di pistola Michele Della Gatta a Castel Voltuno.
Una risposta fulminea per far calmare l’ira di Salvatore Amato (poi diventato collaboratore di giustizia) pronto a tutto per vendicare il figlio. In particolare, è stato un altro pentito, Massimo Pannullo, soggetto in contatto con affiliati del clan Schiavone, per affari di droga e armi, a dichiarare “che tra il 2000 e il 2001 Vincenzo Schiavone, detto “o petillo” , mentre erano in cerca di auto rubate, gli confidò che da diversi giorni non dormiva nel proprio letto, dovendo sfuggire ai controlli delle Forze dell’Ordine, risultando frequentatore di Michele Della Gatta, ucciso pochi giorni prima perchè era il responsabile dell’omicidio del figlio di Salvatore Amato, a seguito di una lite per futili motivi all’interno di una discoteca; che l’Amato aveva preso le difese di una donna molestata dal Della Gatta e dai suoi sodali: Nicola Schiavone, il fratello Walter e lo stesso “o petillo”.
L’Amato prima venne brutalmente malmenato e poi il Della Gatta, inopinatamente, gli sferrò numerose coltellate, quando era già accasciato; che era nota la scarsa affidabilità e la dipendenza da cocaina del della Gatta; che Schiavone junior decise l’eliminazione del Della Gatta, e, come riferito da Vincenzo, detto “o petillo”, gli fu tesa una trappola dallo stesso “o petillo”, dal suo omonimo Vincenzo Schiavone, detto “o copertone”. Fu ammazzato nei pressi di Castel Volturno per evitare che in paese si risalisse agli Schiavone”. Il coinvolgimento di Schiavone nel duplice omicidio, prima dell’Amato e poi del della Gatta, risulta confermato da Luigi Diana. Ora si attendono le confessioni di Schiavone.