IL FOCUS. TERZA PUNTATA. Il Comune di CASERTA va sciolto per infiltrazione camorristica. I casi di Piero Cappello, il “gimme five” tra Marino e Capone e i Casalesi nei Servizi Sociali

7 Febbraio 2025 - 19:40

ULTIMA PUNTATA. Oggi è terminato ufficialmente il lavoro della commissione d’accesso e quindi anche il nostro lavoro di approfondimento. Dal tecnico ed ex presidente ASI, sotto processo per aver favorito imprenditori di camorra, all’inquietante lotta di potere tra Emiliano Casale e Massimiliano Marzo, con i campo le famiglie Rondinone e Capone. L’accoltellamento tra membri di questi due gruppi e il cinque che Carlo Marino dà a Raffaele Capone, poi condannato per quel tentato omicidio. Infine, il timore che un imprenditore di camorra – secondo la DDA – ha nei confronti del sindaco e di Franco Biondi

CASERTA (gianluigi guarino) – Come abbiamo fatto per la seconda puntata, anche per questa terza ed ultima parte del focus

che CasertaCe ha dedicato ai motivi che, ad avviso di questo giornale, integrano pienamente le ragioni e i contenuti normativi alla base dell’istituto dello scioglimento dei comuni e di ogni altro ente pubblico territoriale a causa di infiltrazioni della criminalità organizzata, vi consigliamo propedeuticamente di CLICCARE QUI e di leggervi le venti righe iniziali della prima puntata con le quali speriamo di aver chiarito con precisione quale siano le norme di riferimento che portano ad uno scioglimento.

Poco o addirittura niente a che vedere, poco o addirittura nessuna relazione con la procedura penale, ma solo la presa d’atto di elementi, raccolti nelle indagini conoscitive di una commissione d’accesso in grado di evidenziare la presenza, anche indiretta, anche mediata, degli interessi economici della criminalità organizzata o di soggetti singoli interni alla stessa nei procedimenti amministrativi.

E non è affatto detto che i sindaci, gli assessori, gli amministratori, i funzionari debbano essere attori o partecipi di queste attività di cura degli interessi di cosche e clan. Anche se queste figure istituzionali diventano incudine, ossia vittime, di un’infiltrazione che colgono o non colgono, ma esiste, ci sono i presupposti per lo scioglimento.

Ed è da questa base costitutiva di quella che è e resta solo una decisione amministrativa, priva di connessioni funzionali con la procedura penale, che CasertaCe ha sostenuto fortemente il suo punto di vista: l’amministrazione comunale di Caserta dev’essere necessariamente, assolutamente, incontestabilmente sciolta, esistendo diversi settori della stessa in cui la criminalità organizzata si è infiltrata direttamente, ma soprattutto tramite colletti bianchi, aziende in cui la camorra prospera.

Nella prima puntata, il cui link abbiamo già messo a vostra disposizione, ci siamo occupati della vita e delle opere della Ecocar, la cui storia recente è densa di vicissitudini, di interdittive antimafia e presenze inquietanti nei loro organici, con esponente direttamente legati al clan Belforte, che a Caserta ha riferimenti stabili da trent’anni. Nella seconda puntata spazio alla chiacchieratissima famiglia Dresia, mattatrice nel settore dei parcheggi, imparentata con quella dei Mazzara di Cesa, una dei bracci operativi, federali e federati con il clan dei Casalesi di Casal di Principe (CLICCA E LEGGI). La vicenda dei Dresia è davvero unica nel suo genere.

La questione del parcheggio dell’ex Caserma Pollio, il più remunerativo della città, è avvenuta in spregio di ogni clausola dei capitolati e dei contratti, con una continuità ancor più inquietante, dato che i Dresia hanno costituito almeno due società usa-e-getta che hanno accumulato debiti nei confronti del comune di Caserta, rispetto al quale per anni non hanno consegnato un solo euro della montagna di quattrini ricevuti per la gestione di questo spazio pubblico. Riteniamo che veramente la relazione tra il comune di Caserta e la famiglia Dresia, legata a triplo filo da anni e anni al sindaco Carlo Marino, non ha nessuno eguali del mondo. Ad una società in liquidazione, ne arrivava una nuova, appena costituita, con l’amministrazione che si teneva i debiti, come nulla fosse successo, fino ad arrivare alla grande impresa del project financing con cui, tra parcheggi, sale e ristoranti, nell’ex Caserma Pollio i Dresia erano pronti ad incassare milioni grazie ad una gestione per i prossimi 20 anni.

ANCHE PIERO CAPPELLO CONTA

Bisogna rimanere aderenti – scusateci se ci ripetiamo – alla normativa vigente sullo scioglimento per infiltrazione camorristica se si vuole considerare, come è serio e giusto che sia, anche Piero Cappello, un tempo presidente dell’Asi Caserta, poi funzionario o responsabile del settore Lavori Pubblici in qualche comune, fino ad arrivare a Calvi Risorta, dove è incespicato pesantemente, una presenza comunque ascrivibile ad un mondo non estraneo alla criminalità organizzata.

Questa affermazione non è frutto di una nostra idea, magari forzata in una costruzione logica complessa. No, no. Roba semplice. Per rendersene conto basta leggere il recente provvedimento del giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Napoli, Marcello De Chiara, la cui sorella Emanuela è da qualche mese segretaria generale al comune di Aversa, che ha condotto al rinvio a giudizio Piero Cappello, l’imprenditore di Casal di Principe, trapiantato in ogni dove, Raffaele Pezzella, il sodale Tullio Iorio, l’ex sindaco di Calvi, Giovanni Lombardi e il suo vice, Giuliano Cipro.

Piero Cappello, assieme a queste persone nominate, è stato rinviato a giudizio per i reati di corruzione e falso in concorso, ma soprattutto anche per il reato previsto dall’articolo 416 bis, comma uno, che ha incubato la norma espressa per decenni nel celeberrimo articolo 7 della legge 203 del 1991 che, in pratica, punisce tutti coloro che con la propria opera hanno favorito gli interessi della criminalità organizzata.

Piero Cappello è accusato di aver truccato le gare d’appalto del comune di Calvi Risorta a favore di Tullio Iorio e Raffaele Pezzella, già implicati in altre indagini di camorra e citati da più pentiti quali imprenditori a disposizione del clan dei Casalesi.

Piero Cappello è stato dentro sia con le mani, sia con il cuore dell’amministrazione provinciale di Caserta. Fan sfegatato di Carlo Marino, al punto da aver creato una pagina Facebook in suo onore (Carlo Marino – sindaco bisLEGGI LA SUA RISPOSTA) è stato ampiamente ristorato dal primo cittadino, ricevendo incarichi diretti da supporto al rup, spesso ruolo ricoperto da Franco Biondi, ovvero il dirigente che firmava gli affidamenti dei servizi tecnici a favore di Cappello, come, ad esempio, quale collaudatore dell’area giochi di Piazza Padre Pio (LEGGI QUI), l’assistenza a Biondi per l’Urban Center, progetto recentemente finito sotto la lente di ingrandimento della guardia di finanza (clicca e leggi), per non parlare poi del vero albo d’oro degli incarichi da vice-rup, ben 17(!), devoluti a Piero Cappello e ad un altro nome eccellente del movimentismo negli uffici tecnici locali, quel Maurizio Mazzotti, da qualche anno in pensione (LEGGI QUI L’ARTICOLO), con due incarichi da complessivi 160 mila euro.

FRANCO BIONDI E VIA SAN CARLO, IL PARCHEGGIO CHE INTERESSAVA AL BOSS MICHELE ZAGARIA

Come avete potuto leggere, anche nelle righe dedicate a Cappello, c’entra anche Franco Biondi, il quale è letteralmente subissato dalle contestazioni di reato della procura, ma “vanta” anche un pesantissimo rinvio a giudizio, con processo in atto, per il parcheggio di via San Carlo. Ci ripetiamo perché quelle imprese, attive nell’appalto in questione, non erano semplicemente costituite da imprenditori edili di Casapesenna, ma erano quelle realmente vicine al superboss Michele Zagaria. Non a caso, nella vicenda appare un residente di via San Carlo e cliente storico di Carlo Marino, ossia l’ingegnere Carmine Nocera, talmente dentro al sistema familiare degli Zagaria da essere considerato affidabile al punto da commissionargli il progetto per realizzare uno dei tanti bunker nei quali Capastorta ha protetto la sua latitanza.

Abbiamo voluto privilegiare in questo focus delle questione che riteniamo più ampie, più complesse e articolate. Ma a nostro avviso basterebbe ciò che scrisse la procura di Santa Maria Capua Vetere e fatto proprio dall’Ufficio Gip del tribunale omonimo.

Il fatto che la Direzione distrettuale antimafia di Napoli, pur avendo un’autostrada aperta dalle fotografie e dagli spezzoni di video che CasertaCe ha pubblicato durante la campagna elettorale e durante il pomeriggio di festeggiamenti, susseguenti all’esito del ballottaggio, non abbia combinato nulla, non significa che i rilievi di una procura, non antimafia, ma autorevole e importante, come quella di Santa Maria Capua Vetere, assumano un peso minore in quanto non hanno l’imprinting dell’azione penale di un organo requirente distrettuale abilitato ad hoc alle inchieste sulla camorra.

MARZO E CAPONE VS. RONDINONE E CASALE

I magistrati sammaritani hanno scritto, nell’ordinanza che ha portato all’arresto di Massimiliano Marzo, oltre che all’iscrizione nel registro degli indagati di Emiliano Casale, la cui lotta all’ultimo sangue (forse realmente) per il voto si è concluso con un incredibile pareggio, hanno ricevuto il pieno sostegno di due famiglie legate alla criminalità organizzata: i Capone e i Rondinone.

Durante quella campagna elettorale (e questo lo abbiamo sempre aggiunto noi), Raffaele Capone ha accoltellato pesantemente i fratelli Gennaro e Gianfranco Rondinone, con il primo che ha rischiato seriamente la vita, visto che i quattro fendenti lo hanno attinto alla spalla e all’addome.

Da una parte i Capone, dall’altra i Rondinone. Da una parte Massimiliano Marzo, dall’altra Emiliano Casale. Da una parte colui che sarebbe diventato il numero tre dell’amministrazione di Carlo Marino, dall’altra colui che sarebbe diventato il numero due, dato che Emiliano Casale conquistò la carica di vicesindaco della città di Caserta, propiziando, secondo i magistrati sammaritani, l’affidamento di un importante lavoro pubblico a una società per cui lavorava Gennaro Rondinone.

CAPONE ACCOLTELLA RONDINONE A 10 GIORNI DALLE ELEZIONI. E LA FESTA CON CARLO MARINO

Quel fatto di sangue avvenne il 22 settembre 2021, a pochi giorni dal ballottaggio. E non è escluso che Raffaele Capone, subito dopo aver cercato di ammazzare Rondinone – ripetiamo, ammazzare, perché questo ha sancito una sentenza definitiva della corte di Cassazione, che lo ha condannato a 7 anni di reclusione – non sia andato ad una manifestazione elettorale a supporto di Carlo Marino, alle quali partecipava abitualmente.

Sappiamo, invece, che Raffaele Capone era presente nel ruolo di protagonista ai festeggiamenti post ballottaggio che ebbero inizio nell’area per eventi di via G.M. Bosco. Ed è proprio lì che le mani di Carlo Marino cercarono quelle ancora insanguinate di Raffaele Capone.

Quando si stringe una mano, tutto sommato la presa riguarda anche il dorso dell’arto inferiore. Quando invece ci si scambia il cinque, come dicono gli americani gimme five, in comunione vanno solamente i due palmi. E quello di Raffaele Capone aveva scagliati dei fendenti terribili contro la schiena di Gennaro Rondinone.

Noi ricordiamo bene quei giorni e il pesantissimo clima di rivalità che si era formato tra il clan elettorale di Massimiliano e Paolo Marzo e quello di Emiliano Casale. Non erano solamente i Capone e i Rondinone, ma c’erano fior di criminali che addirittura si esponevano senza alcun ritegno in strada.

Non sappiamo se i componenti della commissione d’accesso, i quali hanno terminato il loro lavoro proprio ora, e che forse in parte hanno scritto già la relazione da inviare al ministero degli Interni, al quale toccherà la decisione di proporre o meno al governo e al suo massimo organo collegiale, ossia il consiglio dei ministri, lo scioglimento dell’amministrazione comunale di Caserta, abbiano assunto informazioni dai carabinieri rispetto a quegli incredibili giorni, a partire da un particolarissimo striscione, comparso fuori da un balcone di un appartamento popolare di via Trento.

In quella casa abitava ed abita uno dei più temibili narcotrafficanti casertani, con pesanti precedenti, e con la DDA che lo ha sempre ritenuto un criminale legato al clan Belforte. Quello striscione promuoveva la candidatura di Emiliano Casale. A quanto ci risulta, i carabinieri del capoluogo si recarono sul posto, fotografarono lo striscione e ne fecero anche oggetto di un’informativa.

QUANDO IL CLAN AVEVA “PAURA” DI BIONDI E MARINO

Diciamocela tutta. Sulle infiltrazioni nelle attività del comune di Caserta, anche in quelle del passato, ad esempio sul ruolo e sulle cose ottenuto a suo tempo da Nicola Ferraro, altro pezzo da 90 del clan dei Casalesi, si potrebbe scrivere per ore, riempiendo un libro intero.

Anche perchè il riverbero degli interessi costruiti a quel tempo nel rapporto tra esponenti della malavita e amministratori comunali del capoluogo, produce ancora oggi conseguenze concrete e operative. E soprattutto produce tanti introiti. Ma, ripetiamo, non la finiremmo più.

E allora, salvando un po’ la vicenda della figlia del boss di Recale, Antimo Perreca, che qualche mese fa abbiamo ritrovato in foto con il sindaco Carlo Marino, appassionatissimo delle sorti della casa albergo Nonna Anna, vogliamo chiudere con un sorriso, ovvero quello che fiorisce sulla nostra faccia pensando ad una battuta ormai cult che avrebbe meritato un luogo di riguardo tra le gag di Christian De Sica, Massimo Boldi o Enzo Salvi in un cinepattone.

Il copyright è di proprietà di Luigi Lagravanese, indagato perché ritenuto imprenditore legato al clan dei Casalesi nel lucrosissimo settore dei Servizi Sociali. Parlando con la ex moglie, ma ancora legati economicamente, ovvero Sofia Flauto, rispetto alle aggiudicazioni del terzo settore nell’Ambito C1, capofila il Comune di Caserta, che le aveva appena detto che si sarebbero “mangiato tutto“, da uomo di mondo raccomanda alla sua ex dolce metà : “Stai attenta a non intrattenere rapporti diretti con Franco Biondi e con Carlo Marino. Hanno problemi giudiziari“.

Amen.