La DOMENICA di DON FRANCO: “L’etica cristiana ha la radice nel cuore…”

16 Febbraio 2020 - 09:00

 

16 febbraio 2020 – VI Domenica del T.O. (A)

QUEL “MA” SEGNA IL PASSAGGIO DALL’ANTICO AL NUOVO TESTAMENTO

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

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La domenica “della nuova legge”.   Gli ebrei chiamano “Legge” i primi cinque libri della Bibbia. Una cosa strana perché non si tratta di un codice di leggi come lo intendiamo noi oggi, ma è un appassionato racconto, una storia d’amore tra Israele e Dio: inizia dalla creazione del mondo e continua con la chiamata di Abramo, le vicende dei patriarchi, la schiavitù in Egitto e l’esodo. In verità, il termine “Legge” non traduce bene l’ebraico Toràh, che deriva dalla radice ירה e indica l’atto di scagliare una freccia, di mostrare la direzione. Anche noi sulle strade seguiamo le frecce della segnaletica. La Toràh indica il cammino che conduce alla vita, non è un codice freddo di leggi impersonali. La Toràh rivelata a Mosè sul Sinai non è però la parola definitiva di Dio. Sul monte delle Beatitudini, Gesù ne riconosce la validità, ma la considera solo una tappa, e indica una meta più alta: la perfezione del Padre celeste.

“Beati noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato”

(Bar 4,4). Così Barukh esprimeva l’orgoglio del suo popolo e la sua riconoscenza al Signore, che aveva indicato agli ebrei “la via della sapienza” (Bar 3,27). Essendo opera di Dio, la Toràh non può essere corretta: “La Scrittura non può essere annullata” ha dichiarato anche Gesù (Gv 10,35). l suoi insegnamenti hanno validità perenne. Lo dice chiaramente Gesù: “Non sono venuto per demolire la Toràh o i profeti, ma per portare a compimento” (v.17). Se Gesù sente il bisogno di chiarire, significa che qualcuno ha avuto l’impressione che egli sia un contestatore, un innovatore. Gesù era rispettoso delle leggi e delle istituzioni, ma le interpretava in modo originale, il suo punto di riferimento non era la “legge” ma il “bene” della persona. E per questo bene, era disposto a violare anche il sabato!

“Ma io vi dico” significa: “Vi chiedo una cosa in più”  Nella seconda parte del vangelo (vv.20-37) vengono presentati quattro esempi del “balzo in avanti”, quattro indicazioni già presenti nell’Antico Testamento, che non vengono smentite da Gesù ma spiegate in modo originale. Gli esempi sono sei, ma il vangelo di oggi ne presenta solo quattro, gli altri due ci verranno proposti domenica prossima. Sono introdotti tutti con la solita formula: “Avete udito che Dio ha detto agli antichi, ma io vi dico” (Mt 5,22). Quel ἐγὼ δὲ λέγω ὑμῖν segna davvero un salto di qualità nella fede. Dopo un enunciato “Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”, Gesù sviluppa con esempi questo suo “compimento”. Il Nuovo Testamento continua l’Antico, ma insieme lo supera: esso è come il frutto rispetto al seme e alla gemma. Gesù ha spazzato via tante leggi, prescrizioni, proibizioni, perché il nostro cammino nell’amore sia leggero e interiore. E’ la novità di Gesù: non si tratta di osservare le leggi, ma di fare la volontà di Dio; non di osservare l’esterno ma di curare l’interno; non il freddo regolamento ma una Persona da amare; non una pesante normativa, ma fratelli da servire. Leggendo questa pagina di vangelo, due sentimenti colpiscono in uguale misura: Gesù è infinitamente esigente, ma è anche infinitamente paziente.

Il brano evangelico di oggi raccoglie un insieme di detti del Signore, e mette in opposizione la esteriore giustizia dei farisei e la interiore santità del credente. Possiamo chiamare “farisaica” ogni morale codificata, che presume di risolvere la questione bene/male con il criterio dell’esteriorità. L’etica cristiana invece ha la radice nel cuore: solo quello che esce dal cuore può contaminare l’uomo. Per Gesù, la vera religione non si esplica nel tempio sacro, ma nel rapporto con il fratello, anzi, con il fratello che ha rancore contro di noi. Il vero tempio di Dio è l’uomo vivente, e Dio vuole che noi celebriamo il culto non là dov’è l’altare ma là dov’è l’uomo non riconciliato con noi. Gesù non distingue se noi abbiamo ragione o torto: è la situazione di ostilità che di per sé va eliminata, prima di celebrare il culto. Abbiamo un capovolgimento della morale: da Dio all’uomo. Naturalmente non perché l’uomo sia più importante di Dio; possiamo dire che la priorità “assiologica” appartiene a Dio, ma la priorità “probativa” appartiene all’uomo, nel senso che possiamo illuderci di amare Dio, ma non così con l’uomo. Il dio, a cui spesso le morali codificate si rifanno, è un dio costruito con profonda malizia, a immagine delle ambizioni dell’uomo. Il vero Dio in realtà è sconosciuto (Gv 1,18), è al di là dei nostri codici, fragili eppure così rigidi.

La Legge: il suo completamento sta nell’Amore  Gesù dice di essere venuto per completare e non per abolire la Legge; precisa anzi che della Legge non va toccato nemmeno una iod. Però proprio Lui permette ai suoi apostoli di violare il sabato, anzi, Lui stesso compie miracoli in giorno di sabato, contravvenendo così alla Legge di Mosè, che per i trasgressori del sabato comminava la pena capitale. In che senso allora Gesù completava la Legge, se poi per molti versi la violava? Nel senso che metteva l’uomo al centro e non la legge o il sabato o il tempio o la liturgia, inaugurando così un nuovo criterio di civiltà e di umanità. Quel suo “Ma io vi dico” non significa che il credente può fare il contrario, ma che deve fare “qualcosa di più”. I rabbini insegnavano che la più importante delle preghiere ebraiche, lo Shemà Israel, una volta iniziata, non poteva essere interrotta per nessuna ragione, nemmeno se un serpente si fosse attorcigliato alla gamba. Quando diverso Gesù, che ordina di piantare a metà non solo lo Shemà ma anche l’offerta del tempio per riconciliarsi con il fratello! Nella giovane comunità di Antiochia era in vigore questa disposizione: “Pronunciate le vostre sentenze il lunedì affinché, avendo tempo sino a sabato, possiate risolvere il dissenso e per la domenica rappacificare tutti quanti sono in discordia” (Didascalia 2,59,2).

La tentazione di edulcorare il Vangelo  Questo brano di Vangelo ci trasporta in una zona di massimo rischio, in mare profondo o su una cima altissima. Guai a immergersi nell’abisso senza l’attrezzatura subacquea, o a lanciarsi dall’alto senza il paracadute. Le parole di Gesù sono state come una pietra lanciata contro un cristallo, mandandolo in frantumi, o come un macigno precipitato in uno stagno tranquillo, suscitando spruzzi fastidiosi. Quei sei “Ma” hanno centrato il nostro perbenismo; quei sei “Ma” segnano il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento: continuità, ma anche rottura. E noi, per difenderci da quelle parole urtanti di Gesù, ne abbiamo addomesticato il senso; al “Ma” di Gesù abbiamo così sostituito il nostro meschino “ma”: “Non uccidere … ma in alcune circostanze è lecito”, e siamo diventati carnefici. “Amate i nemici … ma in alcune circostanze occorre farsi rispettare”, e siamo diventati crudeli. Non è intenzione di Gesù sostituirsi a Mosè, né opporre il Nuovo Testamento all’Antico, ma completare la Legge con un “di più”, e questo “di più” è il cuore.

Non basta quindi non uccidere: bisogna non adirarsi; non basta non commettere adulterio: bisogna non desiderare la donna degli altri; non basta lavarsi le mani: bisogna purificare l’interiore; non basta fare monumenti ai profeti uccisi: bisogna ascoltarli; non basta dire tante preghiere: bisogna avere fede; non bastano gli atti di culto: bisogna essere misericordiosi. Non incontriamo il Dio di Gesù nel «sacro», ma nell’«umano». Ecco perché Gesù sottolinea più chiaramente che la migliore relazione con Dio non si gioca con la relazione con Dio, ma con la migliore relazione possibile con gli esseri umani. La religiosità di Gesù si vive nell’alterità. Voler star bene con Dio, finché si mantengono relazioni torbide, distaccate o perverse con altre persone, è il più grande inganno di cui soffrono le persone religiose. In questa questione fondamentale occorre fare meno riferimento al diritto canonico e molto più allo spirito del Vangelo.

E’ vero che “in medio stat virtus”?  Gesù rigetta ogni forma di mediocrità; non è vero che “in medio stat virtus”. Egli non appare come un conciliatore; è sempre dalla parte di qualcuno. Anche i santi non hanno conosciuto gli equilibri; i fondatori sono stati più rivoluzionari dei loro seguaci; i profeti sono stati combattuti dai burocrati. Se la virtù fosse nel mezzo, non avremmo avuto né i martiri né i santi, il cui posto è sempre in prima linea, e la loro pedagogia è sempre la sorpresa. Solo i santi, nel loro realismo spericolato, hanno preso questo discorso in pieno e sul serio. Per loro, quelle “assurdità” sono diventate saggezza quotidiana; quei tremendi imperativi si sono mutati in stile di vita. Non è più tempo di edulcorare la forza di quei “Ma” con gli enzimi dei nostri equilibri, ma di accettare, senza condizioni, la novità del vangelo. E’ una dura lezione per noi, ammalati di “primite”, preoccupati di fare sempre bella figura, di ridurre tutto a buon senso! Questo vangelo è servito a tanti per parlare male dell’ebraismo, presentato come religione della esteriorità; abbiamo presentato Cristo come il nuovo legislatore e noi come il nuovo Israele; siamo orgogliosi di possedere le migliori formulazioni dogmatiche, le più imponenti strutture, i monumenti più belli… Ma al Signore sta a cuore la “ortoprassia” più che la “ortodossia”, il fare più che il sapere, il servizio dell’uomo più che il culto del tempio, insomma “il grembiule del servitore” più che “la divisa del religioso”. Dio vuole essere adorato non solo in Chiesa o sul Garizim o a Gerusalemme o in Vaticano, perché non esistono luoghi sacri privilegiati. Dio cerca adoratori “nello spirito e nella verità” (Gv 4,24); non gli interessa il nostro curriculum professionale, ma la nostra testimonianza esistenziale: chi fa la sua volontà è a Lui gradito, a qualunque popolo e religione appartenga. Buona vita!