LE DIMISSIONI DELL’ASSESSORA CORVINO. E qual è la novità? Carlo Marino fa il Carlo Marino, aspetta che lei parta per andare a trovare sua figlia e la pugnala alle spalle, cambiando il piano scolastico

6 Dicembre 2019 - 16:40

CASERTA(Gianluigi Guarino) Diamine, non si è esaurita ancora una generazione e a Caserta c’è chi riesce a stupirsi per la disinvoltura, il relativismo etico, travestito da pragmatismo, con cui si muove Carlo Marino.

Abbiamo scritto Carlo Marino, e non “il sindaco di Caserta Carlo Marino”. Perchè qui il discorso della carica diventa solo effetto e non causa. Nel senso che la carica di sindaco di Caserta subisce, purtroppo passivamente e senza che coloro i quali ne hanno la proprietà che delegano attraverso la rappresentanza, stiamo parlando dei cittadini, muovano un dito per ridarle dignità.

Dunque non c’è niente di cui sorprendersi: Carlo Marino è, semplicemente, Carlo Marino. La stessa persona che, all’inizio di questo secolo, più di 17 anni fa, dunque prima dell’esaurimento di una generazione che viene calcolata in media sui 25 anni, era assessore ai lavori pubblici in quota Nicola Cosentino e Forza Italia, dopo un apprendistato da consigliere comunale iniziato da quando lo stesso Cosentino spedì lui, il solito Pasquale Vitale, il cognato Francesco Iorio, figlio dell’avvocato Delio Iorio, a casa di Falco per il battesimo di fuoco.

Assessore ai lavori pubblici. Dunque, ma questo non vale solo per lui ma per tutti coloro che rivestono questa carica, assessore ai quattrini, alla praticità degli ingegneri più che alla vena sognante degli architetti. E, non a caso, al comune di Caserta hanno sempre comandato gli ingegneri. Carlo Marino nasce come stella del firmamento politico, in parallelo all’ascesa di una vera e propria “generazione di fenomeni“, fenomeni delle gare d’appalto con vincitore incorporato, , degli affidamenti diretti, degli elenchi fantomatici delle imprese di fiducia eccetera eccetera che ebbe in Carmine Sorbo, Franco Biondi successivamente in Maurizio Mazzotti, già temprato dall’esperienza di Santa Maria Capua Vetere, dei veri e propri capiscuola.

Capiscuola di che cosa? Rispondano i casertani che sanno bene le cose, ma che non le denunciano perchè sotto sotto, anche loro, se potessero…

Dunque, Marino partecipa a quel processo di formazione metodologica e ne diventa protagonista. Oggi, da sindaco di Caserta, sublima la propria identità, dando in pratica a Biondi tutte le deleghe e formatasi, Marino, in quel tempo sotto la chioccia di Gigi Falco. Sì, proprio tutte, anche quella dell’urbanistica, formalmente nelle mani di Giovanni Natale, cugino del sindaco, ma che in realtà è una cosa a due tra Marino, che non l’ha mai riattribuita dopo le dimissioni abilmente determinate dell’assessore Caiazzo.

Chi ha vissuto quegli anni, e sono tanti coloro che lo hanno fatto, proprio perché l’intervallo, l’espressione aritmetica non ha esaurito ancora una sola generazione, non dovrebbe stupirsi del fatto che Carlo Marino attenda che l’ingenua Mirella Corvino vada al mare ad agosto, per toglierle, senza neanche farle una telefonata, la delega di vicesindaco, funzione attribuita al molto più morbido e accondiscendente Franco De Michele, che, del sistema Falco-Marino-Biondi-Sorbo e compagnia, è stato un sotto, ma proprio sotto sotto prodotto, al tempo in cui faceva, in pratica, il portaborse al medico di Dragoni, trapiantato a Caserta.

Chi conosce Carlo Marino non può stupirsi del fatto che, in questi giorni, abbia modificato il piano di dimensionamento scolatico dopo aver convocato conferenze stampa, costringendo una Mirella Corvino stupefatta alle dimissioni, e sciorinando dichiarazioni roboanti, battagliere, al cospetto delle quali noi ci sganasciavamo dalle risate. Affermava Marino, non due anni fa, un anno fa, ma non prima di un mese fa, che quel piano di dimensionamento era diventato una sorta di linea del Piave. Il sindaco affermò di voler difendere, senza se e senza ma, la sua assessora la quale, intanto aveva lasciato la delega ai servizi sociali per acquisire quella alla pubblica istruzione, dopo quel colpo a tradimento sul vicesindaco e dopo che la sua denuncia sulle strane cose avvenute nell’ufficio di Marcello Iovino era caduta nel vuoto.

Carlo Marino aveva detto che quello era un piano ottimo e che i partiti del centrodestra soffiavano sulla rivolta messa in piedi da una preside sola, la Sassi della De Amicis che, negli anni, aveva riempito la sua scuola di alunni, pur essendo evidente che quell’immobile cadesse a pezzi. Anzi, disse anche di più. Affermò di essere pronto a denunciare certi fatti alla Procura della repubblica perché, dentro a talune proteste, si annodavano “interessi personali”

O il piano o la morte, no pasaran” eccetera eccetera. Un fatto di principio, l’amministrazione ritiene di aver messo insieme un piano di dimensionamento equo che certo non può incrociare tutte le comodità, tutte le ambizioni personali dei presidi, ma rappresenta il punto di equilibrio possibile, basato su una perequazione delle popolazioni scolastiche dei vari istituti, in modo da garantire l’autonomia e dunque il mantenimento della loro identità per i prossimi anni.

Noi, mentre Marino dichiarava queste cose, guardavamo da lontano e continuavamo a scompisciarci dalle risate, conoscendo il personaggio (è nato prima lui e poi la bugia) sin dall’anno 2000. Ed effettivamente, guardando quel piano, sembrava che questo principio fosse stato rispettato.

Dopo neanche un mese, Carlo Marino aspetta che l’assessora Corvino parta per la Germania, per raggiungere sua figlia che lì lavora, poi convoca una giunta e modifica il piano di dimensionamento. Attenzione, non si limita, come aveva concordato in linea di massima con l’assessora a qualche aggiustamento, a qualche ritocco attuato al quinto circolo per fronteggiare problemi di tipo amministrativo e organizzativo, ma va a cambiare esattamente quella parte relativa all’onore suo, dell’assessore Mirella Corvino, della sua amministrazione comunale. Solo perché i consiglieri comunali del Pd, un partito tanto autorevole e presentabile da costringere il candidato governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini, a togliere il simbolo dal suo manifesto, avevano dato l’aut-aut, a partire da Andrea Boccagna e dalla sua consorte, che pare abbia sposato la causa di alcune amiche docenti.

I vari Boccagna, De Florio eccetera, che culturalmente non sono estranei e neppure troppo lontani dal relativismo etico, da quel pragmatismo non speso a fin di bene, ma di tipo individualistico e lobbistico, che ha, in Marino, il massimo rappresentante mondiale, hanno preteso la modifica collegandola al voto che di qui a poco, visto che la diffida della prefettura, a Dio piacendo, è arrivata, di una caterva di bilanci senza i quali l’amministrazione e Carlo Marino andrebbero a casa.

E così, siccome la dignità personale, politica, istituzionale sono concetti secondari, degli orpelli, degli inutili ostacoli alla realizzazione degli obiettivi personali, delle ambizioni smodate, delle manie collegate all’accumulazione, nel senso microeconomico del termine, vengono smentite tutte le parole e tutti i discorsi e si fa una cosa diversa. Ovviamente, di soppiatto, sperando che nessun giornale se ne accorga. E la manovra sarebbe riuscita ai tempi del Marino assessore ai lavori pubblici di Forza Italia, quando non c’era CasertaCe e quando il sottoscritto dirigeva quel Corriere di Caserta che, al tempo, era vicino a Falco, a Marino e alla loro amministrazione in funzione delle speranze, poi franate, che l’editore Maurizio Clemente, rimasto fregato e di fatto raggirato, riponeva nell’operazione Eurobic.

Ma questo articolo, come tanti altri, non smuoverà, non turberà Carlo Marino, perchè lui sa bene che pur essendo, quella di CasertaCe, una voce conosciuta, consultata, questa rappresenta culturalmente solo una piccolissima, silente, rassegnata fetta di casertani, sovrastata ogni giorno e ogni minuto dal potentissimo partito dell’inciarmo, di cui Marino e Biondi sono i consoli indiscussi.

Nella sostanza, cosa dice questa delibera di giunta che pubblichiamo in calce: dalla Da Vinci, Marino ha estrapolato 153 alunni che, di fatto, vanno alla De Amicis. Così il plesso De Amicis-Giannone arriva a 1.280 alunni, mentre la Da Vinci-Lorenzini si riduce a 730 alunni.

Ovviamente, stando agli attuali flussi demografici, la Da Vinci-Lorenzini è destinata a morire, senza possibilità di intervento, per volontà diretta di Marino, Boccagna e compagnia, perché se ricostituisci una posizione di 1200 e passa alunni, inserendocene dentro 150 che amministrativamente appartengono alla De Amicis-Giannone, mentre frequentano le aule di quella che, per effetto della versione originaria del piano di dimensionamento avrebbero dovuto essere alunni della Leonardo-Vanvitelli, compi un’operazione a freddo, anzi un omicidio di una a sangue freddo, senza alcuna logica didattica e finalizzata solamente a favorire una scuola, quella più borghese, elitaria di Corso Giannone e a fregare la scuola del popolo com’è quella del rione Vanvitelli.

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