Nicola Schiavone su un imprenditore: “Era a mia disposizione. Summit di CAMORRA a casa sua”
13 Febbraio 2019 - 20:00
CASAL DI PRINCIPE – Nicola Schiavone è stato ascoltato oggi pomeriggio nel corso del processo a carico di tre persone, accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso. Schiavone ha detto che un imprenditore “era un mio prestanome. Nelle bische clandestine gestite da noi in corso Dante a Casal di Principe, era un giocatore d’azzardo. Va premesso che nei nostri circoli potevano entrare solo persone fidate, perchè ci andavamo pure noi, e facoltose. E Corvino lo era“. Si tratta infatti di Giuseppe Corvino, 64 anni di Casal di Principe, alla sbarra insieme a Gennaro Pezone e Francesco Barbato.
“Tra il 2002 ed il 2004 Corvino, conosciuto come l’evangelista, fece un investimento acquistando un terreno in via Bertelli nella frazione San Martino Secchia di San Prospero, nel modenese – prosegue Schiavone – Mi propose di investire perché era in difficoltà economiche e non poteva fare i lavori. Allora io gli diedi 100mila euro in contanti e comprai quel terreno che rimase intestato a lui. Io ci mettevo i soldi e lui lavorava alla realizzazione di appartamenti in cui ho investito circa 4-500mila euro. In pratica da proprietario del terreno è diventato ditta realizzatrice ma ha fatto solo il grezzo. Poi affidai i lavori ad un altra ditta e gli appartamenti sono stati venduti mentre una mansarda restò a me anche se era intestata a lui“.
Il giovane Schiavone aggiuge: “Era a mia disposizione. Siamo diventati amici, gli ho battezzato anche un nipote. Inoltre ha messo a disposizione anche casa sua in via San Donato, vicino al vecchio cimitero, per i nostri incontri“, anche “summit” tra gli affiliati. Schiavone, infine, ha anche riferito dell’arresto di Corvino in Portogallo. “So che venne arrestato per un cambio di assegni in Portogallo. Questo rischiò di far saltare l’operazione immobiliare a Modena“.
Per quanto riguarda gli altri due imputati, Schavone non ha riferito molto. Su Gennaro Pezone, di Trentola Ducenta, ha detto di conoscerlo come “Gennaro dei pozzi“. “Fece un lavoro per mio zio Antonio in seguito al quale mio zio voleva picchiarlo. Gli dissi che non c’era bisogno di scomodare il clan per questioni tra campagnoli“. Su Francesco Barbato, di Giugliano in Campania invece, Schiavone ha confermato: “non lo conosco, non l’ho mai visto“.