Omicidio Serena Mollicone, il caso torna in aula con una udienza orale e pubblica
10 Febbraio 2025 - 11:43
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Se la Cassazione dovesse accogliere il ricorso si andrebbe a un nuovo processo di appello
TEANO / ARCE / ROMA (Elio Zanni) – Torna in aula il caso Mollicone, relativo alla morte di Serena Mollicone, avvenuta nel 2001. L’11 marzo 2025, infatti, la Corte di Cassazione si riunirà per discutere il ricorso presentato dalla Procura Generale della Corte d’assise d’appello di Roma contro la sentenza di assoluzione di primo e secondo grado (pronunciata i 12 luglio 2024) nei confronti della famiglia di Teano – Mottola – Franco, Marco e Anna Maria – accusata di omicidio. Ricorso e successiva sentenza che non riguardano le posizioni e le figure di Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano.
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Inizialmente, il processo era previsto in camera di consiglio e con trattazione scritta, una modalità che prevede il deposito di memorie da parte dei difensori. Tuttavia, il pool difensivo della famiglia Mottola ha richiesto e ottenuto che si proceda con discussione orale in pubblica udienza.
Dalla trattazione scritta a quella orale, ma perché questa scelta? Ebbene, evidentemente perle parti legali dei Mottola la trattazione orale consente ai difensori di esporre le proprie ragioni in modo più ampio e articolato, offrendo ai giudici una visione più completa e approfondita del caso. La discussione pubblica, inoltre, garantisce maggiore trasparenza al processo.
La discussione orale si svolge in un’aula di tribunale, alla presenza dei giudici, delle parti e del pubblico. I difensori hanno la possibilità di presentare le proprie argomentazioni, rispondere alle domande dei giudici e replicare alle osservazioni delle controparti. Al termine della discussione, la Corte si ritira in camera di consiglio per deliberare. La decisione viene quindi resa pubblica con la lettura del dispositivo.
La Corte di Cassazione può decidere di rigettare il ricorso della Procura, confermando la sentenza di assoluzione. In tal caso, il processo si conclude definitivamente. In alternativa, la Corte può accogliere il ricorso, annullando la sentenza impugnata e rinviando il caso a un nuovo processo di appello. L’udienza si terrà l’11 marzo e sarà un momento cruciale per il processo Mollicone. La decisione della Cassazione potrebbe portare a una nuova sentenza o, in caso di accoglimento del ricorso, a un nuovo processo di appello.
I Nostri Abstract
Delitto Mollicone, un caso irrisolto (di Elio Zanni) – La 18enne Serena Mollicone scompare nel nulla la mattina del primo giugno 2001 ad Arce, provincia di Frosinone. Il papà, Guglielmo Mollicone, avverte i carabinieri nel pomeriggio della stessa giornata. Dopo due giorni dalla scomparsa, il corpo senza vita della giovane viene trovato in un boschetto nei dintorni di Arce. La ragazza ha le mani e i piedi legati con nastro adesivo e filo di ferro. Un sacchetto di plastica è stretto intorno alla testa. Il caso viene inizialmente archiviato.
La svolta per le indagini arriva nel 2008. Il brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi racconta di aver visto Serena entrare nella caserma di Arce il primo giugno del 2001, proprio il giorno della scomparsa. Dice anche di non averla vista uscire. Dopo dieci giorni Tuzi si toglie la vita. Chiamato a testimoniare a maggio del 2024, Marco Malnati, amico di Tuzi, dice: «Mi ha detto che aveva visto Serena Mollicone entrare in caserma, ma che non l’aveva più vista uscire». Malnati aggiunge: «Mi ha raccontato queste cose solo sei o sette anni dopo, fra il 2007 e il 2008. Prima non ne avevo parlato per per paura, ma adesso se mi devono ammazzare lo facessero pure, le figlie sono grandi, mi disse».
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Nel 2011 i Mottola vengono ufficialmente indagati per l’omicidio di Serena Mollicone e l’occultamento del suo cadavere. Nel 2016 il gip chiede la riesumazione del corpo di Serena, che viene affidato alle analisi dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo. La relazione viene depositata nel 2017 ed è decisiva per le indagini. Secondo Cattaneo, Serena ha avuto prima un trauma cranico e poi, molto probabilmente, la morte è arrivata per asfissia. Che il trauma cranico abbia provocato uno stordimento e poi la morte sia sopraggiunta per asfissia è un’ipotesi molto probabile ma non abbiamo gli elementi per dirlo con certezza. La morte per asfissia meccanica è una diagnosi che si fa per esclusione, è una causa di morte che lascia pochissimi segni. Per la professoressa, Mollicone ha avuto una colluttazione e poi è stata uccisa per asfissia: «Le ecchimosi e le contusioni sono state provocate quando c’era attività vitale. Strattonamenti e pugni e hanno lasciato segni evidenti. Il trauma cranico alla fronte sinistra, che ha dato vita ad una violenta emorragia, è stato provocato da un urto contro una superficie piana e più grande del cranio».
Questa «superficie piana» sarebbe la porta della caserma dei carabinieri di Arce. Secondo i Pm, Serena ha sbattuto la testa contro la porta dell’appartamento dei Mottola, che si trova all’interno dello stesso edificio della caserma, e poi è stata soffocata e il suo corpo è stato abbandonato nei boschi di Arce. A conferma di questa ipotesi c’è una relazione consegnata alla procura di Cassino nel 2018 dai carabinieri del Ris. Sui nastri adesivi che avvolgevano la testa di Serena ci sono tracce della porta: «Il maggior numero di microtracce rinvenute è risultato coerente dal punto di vista chimico e morfologico con gli strati più profondi della porta (legno e colla) e in misura molti ridotta con quelli superficiali (resina impiegata per la finitura superficiale della porta)».
Per gli esperti del Ris «i risultati ottenuti dalle analisi dei frammenti prodotti consentono di concludere che i frammenti rinvenuti sui nastri adesivi che avvolgevano il capo di Serena Mollicone sono coerenti per morfologia, composizione e numero con quelli rinvenuti al termine del transfer test». Ma la difesa dei Mottola punta su un problema per l’accusa: non ci sono impronte sulla porta. Le uniche sono quelle rinvenute sul nastro adesivo utilizzato per fissare il sacchetto di plastica alla testa. E non appartengono ai Mottola.
Ma qual è il possibile movente dei Mottola? Per i Pm, potrebbe essere legato alla droga. «Il figlio del maresciallo Mottola si fa le canne e spaccia, bell’esempio per Arce. Prima o poi lo vado a denunciare», avrebbe detto Serena al suo fidanzato, che ha riportato queste frasi davanti ai giudici. Accadeva la settimana prima della scomparsa. Secondo l’accusa, Mollicone era andata in caserma e lì avrebbe avuto una discussione con Marco Mottola. Sarebbe stata aggredita, avrebbe battuto la testa contro la porta e sarebbe caduta a terra svenuta.
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Nell’aprile 2019 si chiudono le indagini e i Pm chiedono il rinvio a giudizio di cinque persone: il maresciallo Mottola, la moglie Annamaria e il figlio Marco per omicidio aggravato, il sottufficiale Vincenzo Quatrale per concorso in omicidio e per istigazione al suicidio di Tuzi, il carabiniere Francesco Suprano per favoreggiamento. A luglio del 2020 il Gup rinvia a giudizio i cinque indagati.
Prima assoluzione dei Mottola. Il 15 luglio del 2022 la Corte d’assise assolve tutti gli imputati per mancanza di prove. Si legge nelle motivazioni dei giudici: «Gli esiti dibattimentali non offrono indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio la commissione in concorso da parte degli imputati della condotta omicidiaria contestata». «Numerosi elementi indiziari, costituenti dei tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del Pm, non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio».
Ma non è certo finita, si va in appello. Secondo l’accusa, «Marco ha messo in pericolo la vita di Serena in un appartamento dove solo i Mottola potevano accedere e avevano l’obbligo di intervenire. Entrambi i genitori e lo stesso Marco avevano l’obbligo di garanzia di prestare soccorso alla ragazza che era entrata nell’abitazione di cui solo essi avevano la disponibilità e ciò non hanno fatto, anzi hanno voluto nascondere quanto era successo per evitare conseguenze penali ai danni del figlio. Ma, in questo caso, hanno anche deciso di soffocare la ragazza e quindi di ucciderla deliberatamente, per poi far sparire il corpo ed ogni traccia». Il 12 luglio del 2024 la corte d’assise d’appello assolve nuovamente la famiglia Mottola e i due carabinieri. I Pm avevano chiesto 24anni per il maresciallo Franco Mottola, 22 anni per la moglie Annamaria e per il figlio Marco.
Scatta il ricorso in appello presentato dalla Procura Generale della Corte d’assise d’appello di Roma contro la sentenza di assoluzione di primo e secondo grado (pronunciata i 12 luglio 2024). Si torna in aula l’11 marzo 2025. Ancora una fase, potrebbe serre l’ultima, quella definitiva ma anche no. Infatti, se la Cassazione dovesse accogliere il ricorso si andrebbe a un nuovo processo di appello. Una cosa è certa: non c’è ancora un colpevole.
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