La morte dei due fidanzati. Forse non sarebbe servito ma ancora una volta le ambulanze del 118 in netto ritardi sul luogo dell’incidente
26 Giugno 2025 - 11:42

Mettiamo il caso che la vita o la morte dei ragazzi fosse dipesa dalla rapidità dei soccorsi. Siamo sempre ai soliti discorsi
CASERTA (G.G.) – Probabilmente non sarebbe servito, perché i due ragazzi morti nell’incidente in moto a San Castrese di Sessa Aurunca erano già in condizioni disperate e sono deceduti pochi minuti dopo l’impatto.
Ma mettiamo che fossero gravemente feriti entrambi, e che la loro sopravvivenza fosse dipesa dalla rapidità dei soccorsi. Il solito disastro. Poi scriviamo questi articoli, e il direttore Mannella si arrabbia e dovrebbe dirci, di fronte alle segnalazioni che ci giungono, cosa dovremmo fare: ignorarle, per non urtare la sua sottilissima suscettibilità?
Dopo diversi minuti – più di mezz’ora – le ambulanze sono arrivate: una da Capua, l’altra, che era in giro per coprire altri buchi, proveniva addirittura dalla postazione di Succivo.
E così, per l’ennesima estate, siamo qui a raccontare il problema strutturale della carenza del 118 casertano.
Pare che a luglio, finalmente, verrà inaugurata una postazione a Baia Domizia.
Ci sono volute decine di morti per comprendere una cosa elementare: e cioè che sulla fascia litoranea, che parte da Licola (dal lato napoletano) e arriva, dopo molti chilometri, all’ingresso del ponte sul Garigliano, vivono milioni di persone che d’estate riempiono le spiagge, circolano, attraversano, trasformando la Domiziana in un vero inferno.
Servirebbero dieci ambulanze. Con quella di Baia Domizia saranno tre, se consideriamo anche la postazione di Sessa Aurunca, oltre a quelle di Mondragone e Castel Volturno.
Troppo poco, ma almeno rispetto agli anni scorsi qualcosa sembra muoversi.
Domanda al direttore generale dell’Asl, Amedeo Blasotti: quante centinaia di milioni di euro sono stati movimentati negli ultimi tre anni per appalti, affidamenti, incarichi meramente clientelari ad avvocati, acquisti di apparecchi medicali, beni e servizi relativi all’attività dell’Asl di Caserta – la maggiore azienda di questa provincia, con i suoi 5.000 dipendenti?
Tante, tantissime centinaia di milioni di euro. E nonostante ciò, l’Asl non riesce a rispettare quel requisito contrattuale che la obbliga ad affiancare tre o quattro ambulanze proprie a quelle delle associazioni – chiamiamole “aziende private”, così almeno non ci prendiamo in giro – che si sono aggiudicate i quattro appalti per una provincia suddivisa, stavolta, in quadranti.
E siamo sempre lì, al solito discorso: la difficoltà di trovare le parole per commentare.
Una difficoltà non dovuta alla mancanza di termini nel vocabolario italiano, ma alla fatica di resistere allo scoramento – quasi alla vergogna – di doverli ripetere per la millesima volta.
Quando Blasotti incontrava gli imprenditori nei ristoranti, o sfacciatamente – come riportato nella richiesta di applicazione della misura del divieto di dimora a Caserta, spedita dalla DDA di Napoli all’ufficio GIP dello stesso tribunale – i suoi occhi diventavano come quelli di Paperon de’ Paperoni.
Solo che, in quel caso, non essendoci ancora la moneta unica, le pupille del vecchio papero tirchio si riempivano di dollari. Quelle di Blasotti, invece, del simbolo dell’euro.
Non solo nei ristoranti, ma anche nella sede dell’azienda intestata al figlio, che Blasotti consigliava carinamente agli imprenditori partecipanti alle gare.
Cosa gli diciamo, “vergogna”?
Questi sono nati così, con le caratteristiche di tanti altri tipi umani che abitano questo territorio. Conseguentemente, non sono stati isolati e messi al bando – come avrebbero meritato – ma sono diventati classe dirigente.
Andiamoci, Blasotti, davanti a un magistrato, e vediamo quante volte quelle due o tre ambulanze di proprietà dell’Asl si sono fermate. Vediamo quante volte lei ha privato centinaia di migliaia di cittadini dell’assistenza emergenziale minima.
Ma lei non ci andrà mai, davanti a un magistrato, sapendo che farebbe la stessa figuraccia che hanno fatto recentemente – quando il sottoscritto, da imputato, si è sottoposto all’interrogatorio in aula – la sua solerte dirigente del personale Anna Cosentino e quel Ferdinando Russo, suo predecessore e concittadino casoriano, che hanno avuto il coraggio barbaro di presentare una querela.
Ma noi, di fronte alla faccia tosta, al cinismo ipermaterialista di voi mandarini che avete fatto della sanità campana la peggiore del mondo, non ci fermeremo mai.
Perché se ci fermassimo, oltre al problema di non ottenere risultati concreti attraverso le nostre denunce, alzeremmo bandiera bianca: segno di una resa incondizionata alla malagestione, al malgoverno, all’impero di una pubblica amministrazione densa di persone profondamente irresponsabili.