ORE 10,40 ESCLUSIVA CASERTACE. Altri incidenti, stanotte, nel carcere di S.Maria C.V. Due guardie ferite. Ecco cosa, secondo noi, bisogna fare

13 Giugno 2020 - 10:01

I fuochi d’artificio sparati dai parenti dei detenuti e le feste all’interno delle celle, subito dopo la consegna a 44 agenti di altrettanti avvisi di garanzia, non hanno consentito di spegnere una miccia ormai innescata da un mese e mezzo

 

 

 

S.MARIA C.V. (Gianluigi Guarino) – Non è che occorrano 44 avvisi di garanzia, recapitati attraverso la notifica di altrettanti atti di perquisizione, per far conoscere, all’interno di un carcere, l’identità degli agenti di Polizia Penitenziaria, sospettati di aver compiuto reati durante l’ormai notissima rivolta del 6 aprile, di cui, a suo tempo, ci occupammo, naturalmente in splendida solitudine.

In un carcere si conosce tutto di tutti.

Non a caso, Radio Carcere, prima ancora di essere diventata una trasmissione vedetta dei diritti e della garanzia di effettivo rispetto dei medesimi, è stato ed è un modo di essere, un modo di vivere, una comunicazione fattuale attraverso cui tutti sanno tutto di tutti e il detenuto del braccio più lontano da quello dove si è verificato un determinato fatto, lo conosce anche nel giro di pochi minuti, senza dover aspettare le successive due ore d’aria.

Quello che è successo di nuovo, ieri sera tardi, dopo la mezzanotte, non appartiene, dunque, alla conseguenza degli avvisi di garanzia intesi come strumento di conoscenza delle identità per chi li ha ricevuti, ma è l’ennesimo fatto che denota una tensione non sopita dal 6 aprile ad oggi.

Ieri pomeriggio avevamo dato notizia dei festeggiamenti, avvenuti in molte celle del penitenziario sammaritano e, addirittura, degli spettacolini pirotecnici inscenati dai parenti degli ospiti del carcere fuori dallo stesso.

Insomma, la tensione si tagliava a fette. E dunque stanotte qualcos’altro deve essere successo, se è vero com’è senza dubbio vero, che almeno due agenti di Polizia Penitenziaria in servizio, hanno dovuto ricorrere alle cure del 118, accorso con un paio di ambulanze sul posto.

Ovviamente, nulla filtra dalle maglie strettissime di una direzione della struttura sempre più in affanno nel controllare una situazione che resta esplosiva.

E’ chiaro che la presenza in servizio, peraltro con pieno diritto, di chi è stato raggiunto dall’avviso di garanzia, rappresenta una miccia innescata che le provocazioni, e quella dei fuochi pirotecnici indubbiamente lo è, non contribuiscono certo a estinguere.

In questo caso, c’è poco da fare: lo Stato, sventolando però i manuali del diritto e quello accluso dei diritti umani, deve riappropriarsi della sua funzione, allineando la situazione alle leggi vigenti.

Questo non potrà accadere se la comprensibile tensione di chi ritiene, a torto o a ragione, di aver già subito un’ingiustizia nel momento in cui ha dovuto consegnare il proprio cellulare a un Carabiniere, che lo perquisiva in nome e per conto della Procura della Repubblica, alimenterà comportamenti non congrui rispetto alla necessità di ricostituire l’ordine, ma allo stesso tempo di farlo dentro e non fuori dalla cornice del diritto.

Tra i detenuti di un carcere, e questo è un limite che a volte condiziona l’analisi garantista, ci sono anche tanti delinquenti che non hanno alcuna intenzione di cambiare la loro mentalità e che aspettano un’occasione, un movente psicologico che possa avere anche una base di ragione, per liberare la propria attitudine alla violenza.

Chemì, beninteso, non è solo quella fisica, ma anche e soprattutto quella psicologica.

Dall’altra parte, ci sono quelle divise azzurre, che rappresentano, anzi impersonano lo Stato.

In quelle divise ci sono storie, in quelle divise abitano sofferenze, frustrazioni per stipendi da fame.

Insomma, tanti di loro hanno ben poche ragioni per essere gratificati dall’indossare la maglietta della Repubblica Italiana.

Detto questo, però, esistono principi, costituzioni, ragioni che non possono essere messe in discussione, pena il crollo dell’impalcatura di uno Stato di Diritto.

Questo Stato nostro, questa povera Patria del poco diritto e del tanto sopruso, è spesso poco credibile, proprio perché non mette in condizione i suoi uomini e le sue donne di essere fieri e fiere di indossarne le insegne.

Lì c’è un direttore. Una persona in carne e ossa di cui noi non conosciamo nemmeno il nome ed è meglio così, visto che qui si discute dell’esercizio di funzioni pubbliche.

Lì, oltre a un direttore, c’è un serio problema, acuito dal sacrosanto esercizio, da parte di un altro potere dello Stato, dell’azione penale, in ossequio del principio costituzionale.

La direzione del carcere, deve trovare, insieme agli organi superiori del Ministero, insieme al nuovo responsabile del Dap, insediatosi dopo la sciagurata gestione-Basentini, una strategia credibile, che porti prima di tutto la popolazione carceraria residente a scegliere con chiarezza di stare dentro alle norme.

Dopodiché ogni dialogo potrà essere avviato. A quel punto, di fronte a chi non vorrà stare dentro alle leggi, di fronte a chi riterrà che questa vicenda gli possa consentire di ricominciare a cibare la sua attitudine a delinquere, sarà democraticamente legittimo, usare gli strumenti della coercizione che, però, badate bene, contengono, a loro volta, regole, procedure, protocolli, che comunque rispettano i diritti umani, al punto che se sarà necessario, dovranno essere adeguati rinforzi a garantire che l’uso della coercizione avvenga nello scrupoloso rispetto dei citati protocolli, senza alcuna sbavatura.

Vediamo quello che succede. A questo punto, visti gli eventi di stanotte, dobbiamo tenere – noi per primi, e chi altro sennò – le antenne alzate.