CASALESI e “BACCHETTE”. Un concessionario d’auto caricò poco carburante nella Mercedes Classe E di Sebastiano Caterino. Doveva fermarsi ed essere ammazzato. Quest’agguato fallì insieme ad un altro di S.CIPRIANO. Ecco perchè

25 Dicembre 2021 - 19:01

L’evraiuolo era un bersaglio mobile, ma difficile da colpire in quanto molto spesso scortato. In uno stralcio di ordinanza che pubblichiamo in calce il racconto di Nicola Panaro e le sintesi del giudice con i nomi di altre due persone che misero a disposizione dei commandos di morte altrettante abitazioni

 

SAN CIPRIANO D’AVERSA(g.g.) La lettura di questa ordinanza, che non è la prima ma è tutto sommato molto interessante lo stesso, riguardante il duplice omidicio dell’anti ras bardelliniano poi transitato con la famiglia perdente dei De Falco, stiamo parlando naturalemnte di Sebastiano caterino, arriva oggi a un punto cruciale.

Cruciale soprattutto per chi è interessato a studiare i fenomeni della criminalità organizzata in provincia di Caserta, anche con il piglio, il metodo e l’attitudine dello storico.

L’agguato riuscito in via dei Romani a Santa Maria Capua Vetere rappresentò, il 31 ottobre 2003, una delle tante opzioni messe in campo in una sorta di strategia flessibile. Con grande dispiego di uomini, di mezzi e di armi, i vertici del clan dei casalesi erano pronti sin dall’inizio di ottobre a colpire Sebastiano Caterino. Aspettavano solo il momento propizio, standogli sempre più o meno alle calcagna.

Uo dei suoi movimenti, più o meno abituali, lo portava spesso e volentieri a rendere visita a sua madre nella natia San Cipriano d’Aversa. Il racconto del collaboratore di giustizia Nicola

Panaro, uno dei protagonisti della preparazione e dell’esecuzione dell’agguato, è al riguardo illuminante. Il commando si sarebbe mosso con molta più facilità perchè non ci sarebbe stato il problema del trasferimento in un’altra località di questa provincia.

Secondo il racconto di Nicola Panaro, una mano l’avrebbero data anche due cugini di Caterino, uno dei quali carrozziere e pienamente a disposizione di Giuseppe Caterino detto Peppinotto, altro pezzo da 90 e gerarchicamente sotto solamente solo agli Schiavone, in quanto più anziano di militanza camorristica e con un prestigio criminale che se forse non gli dava lo stesso peso operativo del suo concittadino Antonio Iovine, ha fatto dichiarare a Nicola Panaro che lui non poteva dissentire dai piani organizzativi decisi da Peppinotto.

Fu scelta anche la base operativa, individuata nell’abitazione sanciprianese dell’altro camorrista Pasquale Maisto. Una scelta logistica, quella della casa in dotazione a Maisto, non condivisa da Panaro che però dovette abbozzare proprio perchè a decidere era stato Peppinotto Caterino che nel territorio di San Cipriano aveva il potere di farlo. Sebastiano Caterino, il quale, come abbiamo più volte scritto, di professione, si fa per dire naturalmente, aveva fatto il super killer, non era certo uno sprovveduto e dunque alcuni movimenti peraltro in un territorio che conosceva come le sue tasche, li aveva colti e fu per questo motivo chiese o fece chiedere spiegazioni a Francesco Schiavone Cicciariello, il quale già lo rassicurò, salvo poi scrivergli la famosa lettera che consegnò proprio alla madre, alla quale però Sebastiano Caterino non credette, continuando ad essere molto guardingo.

Ma si sa, il gruppo dell’evraiuolo a Santa Maria Capua Vetere pur essendo formato da gente disposta a sparare, non poteva certo reggere il confronto militare con la mobilitazione dell’intero gotha del clan dei casalesi. Ma quella scorta armata, di cui faceva parte anche Pasquale Fava di Santa Maria Capua verere gli salvò la vita una settimana prima dell’agguato invece che poi sarebbe riuscito a pochi metri di distanza dalle palazzine Iacp, sempre di Santa Maria Cpaua Vetere.

Anche in questo caso, alla casalese maniera, c’era il traditore di turno. Lo scrive testualmente il gip, evidentemente sintetizzando l’apporto di diversi collaboratori di giustizia. Era Paolo Diana, detto scarpone, titolare o co-titolare della concessionaria Auto Stella di Castel Volturno a rappresentare il punto di snodo di un agguato per il quale erano pronti due equipaggi. Il primo, quello che poi agì anche a Santa Maria Capua Vetere, formato da Enrico Martinelli al volante, Corrado De Luca, vicinissimo ad Antonio Iovine, Pasquale Spierto e Bruno Lanza.

Nel caso in cui questo commando non fosse riuscito ad intercettare Sebastiano Caterino sarebbero addirittura iontervenuti i capi assoluti del clan, tutti latitanti e tutti mobilitati quel giorno e cioè Antonio Iovine, Michele Zagaria e Francesco Schiavone Ciacciariello e Giuseppe Caterino Peppinotto, i quali aspettavano in una casa prospiciente alla Nola-Villa Literno, nella disposnibilità di Paolo Natale detto Magone, pronti ad entrare in azione qualora si fosse reso necessario.

Il ruolo di Paolo Diana il quale avrebbe dovuto vendere una Mercedes classe E, cioè un’auto importantissima, peraltro blindata perchè a questo punto Caterino aveva ben compreso di essere pesantemente nel mirino dei boss di Casal di Principe, di San Cipriano e di Casapesenna, era fondamentale. Perchè prevedeva la consegna dell’auto con un carico di carburante molto limitato. Ciò avrebbe costretto Sebastiano Caterino a fermarsi quasi immediatamente per fare carburante, diventando dunque un bersaglio attaccabile per l’auto condotta da Enrico Martinelli.

Ma fu proprio la presenza della scorta armata a far saltare l’agguato. Una situazione che poi indusse la settimana successiva, cioè il 31 ottobre 2003, il clan dei casalesi a colpire dove forse Caterino non si aspettava di essere colpito, cioè nel centro della città di Santa Maria Capua Vetere, in pieno giorno, e con un utilizzao massiccio, molto più cospicuo rispetto a quelle che erano i moduli organizzativi degli agguati non realizzati a San Cipriano e Castel Volturno, di killer, fiancheggiatori, specchiettisti e addetti alla logistica.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA