La domenica di Don Galeone: “Tutto è possibile per chi crede”

2 Ottobre 2022 - 11:40

2 ottobre 2022 ✣ XXVII Domenica T.O. (C)

La fede è un dubbio superato!

Prima lettura Il giusto vivrà per la fede (Ab 1, 2)  Seconda lettura  Non arrossire della testimonianza del Signore nostro! (2Tm 1, 6)  Terza lettura   Aumenta la nostra fede! (Lc 17, 5).

La domenica “della fede convinta”   Le letture di questa domenica hanno un tema centrale: la “fede”. Secondo il profeta Abacuc (prima lettura), credere è collocarsi dalla parte di Dio, per comprendere lo svolgersi degli avvenimenti. “Custodisci il buon deposito della fede!”: è la raccomandazione che Paolo, in carcere a Roma, fa a Timoteo (seconda lettura). “Accresci la nostra fede!”: è la preghiera che i discepoli rivolgono al Signore (terza lettura). La fede è qualcosa di bello: è come camminare lungo un sentiero illuminato; ma è anche qualcosa di impegnativo: è la risposta dell’uomo a Dio. La fede non è un elenco di verità, ma una Persona cui affidarsi. Fede è dire Amen! La fede non è un patrimonio, un tranquillante prodotto, un pacifico possesso. Fede è mancanza di prove. Come quando diciamo “speranza” sottintendiamo che manca la cosa sperata, così quando diciamo “fede” sottintendiamo la mancanza di prove. Per qualcuno, molte prove significano molta fede. È invece esattamente l’opposto: prove e fede sono inversamente proporzionali

Prima lettura (Ab 1,2-3; 2,2-4)   Abaquq è contemporaneo di Geremia (VII – VI sec. a.C.). La situazione sociale, politica e religiosa in cui vivono è la stessa. L’iniquità regna nel paese: “Tutti passano da un delitto all’altro… il fratello inganna il fratello… Ognuno si beffa del suo prossimo…” (Ger 9,2). Il re è un incapace, ama il lusso, sfrutta gli operai per costruire il suo palazzo. Le ingiustizie, i soprusi, le prevaricazioni sono sotto gli occhi di tutti e Dio pare che si disinteressi di ciò che accade sulla terra. Perché non interviene? Geremia e Abaquq cercano di capire e non temono di litigare (ריב) con Dio: “Dimmi: perché gli empi prosperano? Perché ai malvagi va sempre bene?” (Ger 12,1). “Fino a quando, Signore, continuerai a tacere? Fino a quando tollererai l’ingiustizia?” (Ab 1,2). Dopo aver esposto le accuse sue e del popolo, il profeta tace. Ecco la risposta di Dio: l’empio, che apparentemente prospera, in realtà sta costruendo la sua rovina.

Dal Vangelo (Lc 17,5)   Il brano del Vangelo di oggi non è fra i più facili. Cominciamo dalla richiesta dei discepoli: “Aumenta la nostra fede!”. È possibile far crescere la fede? O si crede o non si crede, pensa qualcuno. Allora non ci può essere un più o un meno. Questo sarebbe vero se la fede si riducesse a un pacchetto di verità. In realtà credere non riguarda solo la mente: comporta la piena fiducia in Gesù. Stando così le cose, è facile rendersi conto che la fede può crescere o diminuire. Dal contesto si intuisce anche la ragione per cui gli rivolgono questa preghiera. Egli ha prospettato loro il cammino difficile che li attende: è comprensibile l’invocazione di aiuto: Aumenta la nostra fede! Impiega un’immagine molto strana per la nostra cultura: parla di un albero (un gelso o un sicomoro?); Matteo e Marco  parlano di una montagna che può essere spostata con la fede, un’immagine usata anche da Paolo (1 Cor 13,2). Il messaggio è comunque lo stesso: “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23).

“Quanti sono coloro che cercano Gesù solo per averne dei favori materiali! Uno deve combinare un affare e cerca perciò l’appoggio del clero; un altro è perseguitato da qualche pezzo grosso e cerca rifugio in chiesa; un altro vuole essere raccomandato presso qualche potente, di fronte al quale egli conta poco. Uno vuole questo, uno vuole quell’altro: la chiesa è piena di gente simile. Di rado si trova qualcuno che cerca Gesù per Gesù” (s. Agostino). La folla del Vangelo seguiva Gesù perché aveva mangiato e si era saziata; pochi erano disposti a credere che non di solo pane vive l’uomo. Il Vangelo ci invita a operare un salto di qualità dal visibile all’Invisibile, dal significante al Significato, dalla materia al Simbolo. L’uomo contemporaneo ha una mentalità positivista. Mi spiego: due più due fanno quattro, il fuoco brucia, un corpo lasciato nel vuoto cade; queste affermazioni sono evidenti e verificabili. Invece: Dio è misericordioso, Gesù è risorto, l’anima è immortale… queste affermazioni non sono sperimentabili, ognuno le può contestare.

Uno dei più noti filosofi della scienza ha formulato questo teorema: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” (L. Wittgenstein). Ma cosa è “ciò di cui non si può parlare”? Possibile che siano insignificanti parole come: bello, brutto, cattivo, giusto, ingiusto? Cosa fanno tutti quei ricercatori di Dio se non tentare di dare parola a ciò che non si può descrivere, ma che pure è molto importante per l’esistenza dell’uomo? L’uomo si interroga sul suo destino; è carico di “pesantezza animalesca”, con dentro il cuore un “groviglio di vipere”, e tuttavia si sente chiamato alla novità del cuore. Per tutto questo occorre il coraggio della Verità. Coraggio, perché la Verità non è serva ma padrona. La Verità non può essere messa a servizio dei nostri interessi; questo può accadere per le verità scientifiche o tecniche o politiche, ma non per quella Verità che abita dentro l’uomo, e che tuttavia supera ogni uomo. Chi dice che la Verità non esiste, è come colui che sostituisce la sposa vera con una prostituta: la prostituta è attraente e facile, ma dura un giorno, lasciando sempre più soli. La Verità, quando non viene cercata, è sempre sostituita da un surrogato. Ci sono tante bandiere dietro le quali arruolarsi; una volta scelta la bandiera, il padrone, il partito, la religione … abbiamo un giudizio sempre pronto su tutto; il dogmatismo diventa la regola.

Una ragione della debolezza della nostra fede è la smentita dei fatti. Le cose vanno in modo diverso da come ci è stato promesso. Sono venti secoli che parliamo della pace di Gesù, ma la pace non c’è. Sono venti secoli che proclamiamo la beatitudine dei poveri, ma i poveri non sono beati. La fede appare inutile, non modifica nulla, sembra una certezza consolatoria. E il credente sa bene che non ha prove da opporre. È giusto che la nostra riflessione sia realistica. Innanzitutto, non ogni fede è fede. La mia fede non è “in un Dio” ma “nel Dio” che ha promesso che questo mondo di violenza finirà, e che, se la fine tarda, dobbiamo attendere con fiducia operosa.

Gesù aveva detto in varie occasioni che i discepoli erano increduli (ápistoi, Mt 17,17), o di poca fede (oligópistoi, Mt 8,26; 14,31; Mt 16,8; Mt 17,20; Lc 12,28). D’altra parte, Gesù fa grandi elogi al centurione romano (Mt 9,10 par), alla donna cananea (Mt 25,38 par) o al lebbroso samaritano (Lc 17,19). Una cosa è chiara: alla Chiesa primitiva importava più la verità di quello che è successo che la buona immagine dei primi apostoli. Amicus Plato sed magis amica veritas! Seconda notazione: probabilmente gli apostoli avevano poca fede perché erano ambiziosi di fama e di potere. È un tema che nei Vangeli è sottolineato in maniera evidente: le discussioni tra di loro su chi fosse il primo, (Mc 9,34; Mt 18, 1-5; Lc 9, 46-48; Mc 10, 35-41; Mt 20, 20-24; Lc 22, 24-27). Come potevano essere uomini di fede se bramavano successo e carriera? E noi? Continuiamo a comportarci come loro? BUONA VITA!