CAMORRA. Due noti imprenditori, uno proprietario di una tenuta-ristorante e l’altro già assessore a S. MARIA C.V., hanno rischiato di essere arrestati per favori al clan Mezzero

14 Ottobre 2024 - 19:35

La gip Nicoletta Campanaro ha, infatti, rigettato per i motivi che vi spieghiamo nell’articolo la richiesta di mandarli in carcere oppure ai domiciliari con braccialetto elettronico formulata dalla Dda. Tutti i particolari

GRAZZANISE/ CAPUA – Non rappresenta certo una novità storica la relazione esistente tra il forte insediamento criminale attivo nel tempo e ancora oggi in condizione di riorganizzarsi nel perimetro della cosiddetta piana dei mazzoni e la vicina città di Capua

Dando un’occhiata, infatti, ad alcune pagine cruciali dell’ordinanza che ha condotto all’arresto di 14 persone partendo dal boss, questo sì storico Antonio Mezzero il quale ha inseguito il suo destino esistenziale, tornando a fare il camorrista un minuto esatto dopo la sua scarcerazione per fine pena avvenuta dopo 23 anni di reclusione penitenziaria emergono anche dei nomi conosciuti al di la delle cronache criminali e che, per molti versi, sorprendono.

Fosse dipeso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, da stamattina sarebbe entrati in carcere oppure sarebbe stato ridotto agli arresti domiciliari con apposizione del braccialetto elettronico, anche Andrea

Adinolfi, imprenditore molto noto a Capua e a Sant’Angelo in Formis, luogo della sua residenza, anche perché titolare di un’attività di ristorazione frequentata e discretamente rinomata ossia la Tenuta Adinolfi.

Stesso discorso per Carmine Munno anche lui con radici santangiolesi ma attivo anche nei comuni vicini. A San Tammaro dove nell’area Pip gestisce insieme alle sorelle un’attività di rivendita di attrezzature ed arredi per bar e ristoranti alla quale, Carmine Munno ha affiancato anche l’interesse per le recovery dedicate agli animali, ci pare un ricovero per cani. Rispetto a questa specifica attività il nostro osservatorio, sempre in grande attenzione ha notato, negli ultimi anni la creazione di una sinergia tra Carmine Munno e Andrea Adinolfi. Ma di lui si ricorda anche un’esperienza politica significativa quando nell’amministrazione guidata da Biagio Di Muro, in quel di Santa Maria Capua Vetere fu nominato, aggiungiamo per nostra fortuna visto che lo trasformammo in una sorta di mascotte goliardica dei nostri frizzi e dei nostri lazzi, con deleghe al patrimonio, al verde pubblico, ai servizi cimiteriali e per l’appunto al randagismo. Un suo pallino al punto di aver mutuato, attraverso la parafrasi di un celeberrimo film lo slogan in cui si autodefinisce “L’uomo che sussurrava ai randagi”

Il gip del tribunale di Napoli, Nicoletta Campanaro, ha ritenuto che non fossero sussistenti le ragioni per applicare una misura cautelare di arresto nei confronti di Andrea Adinolfi e di Carmine Munno nonostante oltra all’articolo 648 e all’articolo 110 del codice penale ossia ricettazione in concorso reato aggravato dall’aver favorito, ai sensi dell’articolo 416 bia comma 1, gli interessi di un clan criminale, di un clan camorristico, quello dei Mezzero storica e diretta derivazione del clan dei casalesi.

La tesi esposta dalla gip Campanaro per spiegare il motivo per cui non ha deciso di arrestare Adinolfi e Munno trasferisce direttamente il ragionamento, riguardante i capi K ed L dell’ordinanza alla figura di Davide Grasso cioè di colui che secondo la prospettazione della Dda è diventato punto di riferimento di molte attività criminali di Antonio Mezzero il quale, ricordiamo, pur essendo scarcerato dopo 23 anni di reclusione subiva, comunque, un regime di sorveglianza speciale e dunque non era libero di muoversi come meglio gli convenisse e dunque aveva mobilitato diversi esponenti della sua famiglia e personaggi come Davide Grasso i quali non venivano certo dal nulla trattandosi di personaggi già noti a chi nei decenni, negli anni, ha indagato sulla camorra. Giusto per fare un esempio nell’anno 2013 l’allora 41enne Grasso, oggi ha dunque 52 anni, fu arrestato per estorsione insieme ad altri esponenti con cognomi importanti della camorra grazzanisana ossia Alfonso Cacciapuoti sua moglie Luisa Martino etc..

Carmine Munno e Andrea Adinolfi si salvano dall’arresto perché il gip osserva che avendo fermato con la carcerazione Davide Grasso ossia il punto di riferimento delle presunte attività criminali coinvolgenti anche Munno e Adinolfi, non ritiene che esistano ragioni stringenti per ridurre il perimetro della libertà personale di questi ultimi

Queste attività consistevano nella presa in consegna da parte di Munno e Andrea Adinolfi di proventi di furti effettuati da elementi dell’organizzazione

Illuminante a riguardo sono i capi K ed L che sintetizzano le presunte attività illegali compiute sotto l’egida organizzativa di Davide Grasso, sia da Andrea Adinolfi che da Carmine Munno, con il concorso di due stranieri, uno albanese e l’altro romeno. Vengono rubati 3 mezzi: due furgoni e un trattore. Uno di questi furgoni probabilmente a Dugenta in quanto la denuncia viene presentata ai carabinieri di quella stazione, il secondo ugualmente un Iveco, rubato probabilmente a Solopaca perché in quella stazione dei carabinieri il proprietario han presentato denuncia, poi il trattore rubato a Formicola. Secondo l’accusa questi mezzi sono stati custoditi volontariamente, sotto direttiva di Davide Grasso, dai già più volte citati Munno e Adinolfi

In un altro capo d’imputazione è Andrea Adinolfi a nascondere, a prendere comunque in consegna 150 rotoli di guaina impermeabilizzante In effetti l’occultamento di questo materiale rappresentava, secondo in magistrati della Dda il penultimo atto dell’iniziativa criminale. La pianificazione di questa operazione che poi andremo meglio a declinare nella parte in cui il gip spiegherà le ragioni specifiche e i racconti specifici della Dda, avrebbero partecipato sempre sotto il coordinamento di Davide Grasso anche Davide Munno, Michele Bifulco che ha scampato a sua volta l’arresto per gli stessi motivi per cui lo hanno scampato Adinolfi e Munno nonché Flori Zmakaj e Halungescu Alin Ionut.

Ed era proprio Halungescu Alin Ionut ad entrare nell’area di custodia approntata da Andrea Adinolfi per ritirare i 150 rotoli di guaina impermeabilizzante, provento di attività criminale, muovendosi in tal senso solo quando l’organizzazione che operava in questo settore per far soldi da inserire nelle tasche dei componenti del clan Mezzero avevano trovato l’acquirente