LA BANDA DEI TRUFFATORI. Mentre la gente moriva di Covid nei pronto soccorso degli ospedali casertani certi medici e i loro complici facevano certificati falsi

7 Dicembre 2024 - 14:33

ALTRI 17 NOMI DI INSOSPETTABILI INDAGATI A PIEDE LIBERO Incredibile soprattutto quello che accadeva a Maddaloni, in un ospedale diventato un vero e proprio obitorio in quei giorni. La fuga dalla clinica Pineta Grande dello “specialista truffatore” di Casal di Principe a cui un carabiniere aveva chiesto i documenti

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) La cosa largamente più brutta che emerge dalla richiesta, formulata dal pubblico ministero della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Gerardina Cozzolino, nei confronti di 54 persone (52 carcere, due con misure di minore entità) è che mentre i pronti soccorso erano avamposto della drammatica vicenda della pandemia da Covid c’era chi, in quegli stessi luoghi dove albergava la sofferenza e la morte di tante persone, dispensava cinicamente certificazioni false in cambio di mazzette, di bustarelle. Erano medici, infermieri, e altri operatori compiacenti. Una vera e propria degenerazione. Tutto sommato siccome si trattava di un meccanismo attivo dal 2013, si poteva sospenderlo per qualche mese, per un anno. Se le accuse formulate da un magistrato di provatissima esperienza qual è Gerardina Cozzolino, dovessero trovare riscontro prima di tutto nelle decisioni della giudice nelle indagini preliminari, Daniela Vecchiarelli, e ancor di più nelle sentenze del tribunale di Santa Maria Capua Vetere potremmo aggiornare la nostra banca dati un po’ antropologica, un po’ criminologica dei “tipi criminali”.

Costituirebbe infatti un aggravante originale, ma allo stesso tempo pesantissima, una sentenza che riconosce quest’attività svolta da un lato del pronto soccorso mentre dall’altro lato c’era gente che moriva. Non per crocifiggere il medico Domenico

Fiorito, ma l’ospedale di Maddaloni dove lui operava era diventato, nei mesi più acuti della pandemia, un enorme camera mortuaria con i suoi vialetti d’ingresso percorsi continuamente da auto di pompe funebri visto che proprio a Maddaloni fu installato il più grande reparto di isolamento per malati di Covid.

L’analisi di oggi ha riguardato i capi d’imputazione provvisori che vanno dal numero 19 al 30. Nel rispetto della legge Cartabia, che noi non condividiamo assolutamente, ma che essendo una legge dello Stato va rispettata e basta, formuleremo una sintesi di quello che abbiamo letto e soprattutto del concetto di fondo che emerge, a nostro avviso, dalle suddette contestazioni. Intanto va notato che una delle figure centrali del presunto meccanismo criminale delle false certificazioni finalizzate allo scopo di ottenere un risarcimento del danno da parte delle assicurazioni per sinistri inesistenti, ossia il 53enne di Casal di Principe, Giovanni Goglia esce, più o meno temporaneamente, poi vedremo nel prosieguo dell’atto giudiziario se si tratta o meno di un uscita di scena definitiva, dal personaggio di ferito, di acciaccato di professione che avendo effettivamente ferite e acciacchi addosso, ottiene come abbiamo scritto in uno degli articoli delle sere scorse (CLICCA E LEGGI) certificazioni da medici non consenzienti, da medici che ritengono di fare il proprio dovere constatando incrinatura delle costole, distorsioni, effettivamente esistenti sul corpo di Goglia. Lui è diventato un vero specialista e “zompa” da un pronto soccorso all’altro ovviamente sempre accompagnato da una tessera sanitaria appartenente ad un’altra persona. E qui ci sovviene una domanda forse ingenua ma che a noi pare logica: fino al 23 ottobre del 2019, a questo Goglia era andata sempre bene. Nella richiesta di applicazione di misure abbiamo letto da qualche parte che a lui, in qualche circostanza, sono stati richiesti i documenti di identificazione personale ossia la carta d’identità. E Goglia l’ha tirata fuori insieme alla tessera sanitaria che ricordiamo contiene anche il codice fiscale ma non una fotografia. Dobbiamo ritenere che usasse una carta d’identità non scaduta ma di antica fattura, ossia quella ancora cartacea dove è stato possibile, evidentemente, cambiare la fotografia. Non erano però carte d’identità rubate ma prestate, almeno a quanto abbiamo letto fino ad oggi, per cui dopo un cambio di fotografia quella di Goglia doveva essere scollata in modo da rimettere quella originale. Lui si è mosso sempre con tranquillità perché evidentemente questo documento lo ha rilasciato a personale sanitario e non a pubblici ufficiali di polizia. Nell’unica volta che è successo almeno fino al 2019 la vita gli si è complicata all’improvviso. Il 23 ottobre del 2019, data non a caso citata precedentemente, un appuntato dei carabinieri in servizio presso il reparto investigativo del gruppo di Aversa gli ha chiesto formalmente, all’interno del pronto soccorso della clinica Pineta Grande di Castel Volturno dove Giovanni Goglia si apprestava a recitare il solito copione e a compiere, dunque, l’ennesimo reato, di esibire il suo documento d’identità. Evidentemente, Goglia, davanti al carabiniere non si è sentito al sicuro, e ha pensato di rischiare l’arresto. Di qui ha strattonato il militare e se l’è data a gambe Come viene raccontato nel capo 19 in cui a Goglia viene contestato anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale ai sensi dell’articolo 337 del codice penale. Non si capisce se il gruppetto di sempre cioè gli organizzatori dell’associazione a delinquere, Guglielmo e Gianluca Di Sarno, spedivano a sovraintendere a queste operazioni, ossia quello che ruotava attorno alla punta avanzata del gruppo operativo Antonio Abatiello fossero nei pressi o se al contrario sono stati allertati da una telefonata di Giovanni Goglia in fuga. Fatto sta che nel capo 19 sono indagai l’appena citato Abatiello, Mario Di Puorto e Raffaella D’Aniello che avrebbero aiutato comunque Goglia a far perdere le sue tracce accompagnandolo da Castel Volturno alla natia Casal di Principe.  Da quel momento in poi sulla scena compare la 4oenne di Casal di Principe, Adriana Mottola con precedenti di recidiva per gli stessi reati. E’ la Mottola che in pratica sostituisce Goglia in un meccanismo così inveterato dal punto di vista criminale da non accusare alcun problema da non essere attraversato da nessuna paura di essere smascherato nonostante il fatto che Goglia avesse sfiorato l’arresto a Castel Volturno e successivamente dopo un mese, come scriveremo di qui a poco, le manette le avrebbe incontrate altrove.  Ma siccome Goglia si sentiva una sorta di Paganini della truffa, non è riuscito a stare fermo dopo essersi bruciato in quanto, se è vero che l’operazione di identificazione non era riuscita per effetto della sua fuga repentina, è anche vero che l’appuntato dei carabinieri ma anche altri testimoni del pronto soccorso della Pineta Grande erano in grado di descriverne l’identikit. L’ultima “sinfonia” ha tentato di esibirla in quel di Terni. Neanche un mese dopo, il 22 novembre 2019, ci riprova in Umbria nel pronto soccorso dell’ospedale ternano. Stavolta la sostituzione di persona, con contestazione del relativo reato previsto dall’articolo 494 del codice penale, diventa conclamata in quanto è smascherata. Accompagnato da Giovanni Corvino e da Carmine D’Aniello, in una struttura di contestazione dei reati che coinvolge anche i soliti noti ossia i due Di Sarno, Abatiello, Raffaella D’Aniello, dice di aver subito un incidente ed esibisce la carta d’identità di Raffaele Di Grazia, consenziente e dunque anche lui complice di questa operazione. Ma a quel punto piombano su di lui i carabinieri della Sezione operativa di Terni e lo arrestano, mentre Giovanni Corvino e Carmine D’Aniello, accompagnatori e presenti si danno alla fuga.

In questo blocco dal capo 19 al capo 30 emergono altri 17 nomi che si aggiungono ai 17 nomi già da noi pubblicati nell’articolo di giovedì sera e gli altri due pubblicati nell’articolo di ieri mattina, venerdì, indagati a piede libero. Di solito sono quelli che hanno messo a disposizione i loro documenti d’identità affinchè questi fossero contraffatti da chi si presentava ai pronto soccorso per ottenere le false certificazioni.  Pubblichiamo soli questi 17 ma vi anticipiamo che quanto arriveremo a 100 sui 473 indagati complessivi a piede libero di questa indagine ve li riepilogheremo insieme in un articolo ad hoc. Ciro D’Eramo, Loredana Ziffarelli, Filomena Mauro, Erika Lunka, Carmen Capasso, Cristina Frottolillo, Lina Tarantino, Bruna Riccardi, Michele Paterno, Angela Melillo, Roberta Santagata, Giuseppe Guarracino, Antonietta Piazza, Krause Angelica, Domenico De Silvo, Pasqualino Cefariello, Raffaele Di Grazia