IL FOCUS. Carcere di S.MARIA C.V. ad alto rischio sanitario. Se hai un tumore crepi. Al direttore nominato dall’Asl poniamo un po’ di domande

17 Settembre 2025 - 19:25

Ultimamente il penitenziario è stato visitato degli ispettori di Grazia e Giustizia. Certi atteggiamenti del dottor Pasquale Iannotta, almeno in apparenza – poi se lui vorrà siamo a disposizione per ospitare il suo pensiero come e quando vuole – destano sconcerto e si riverberano pesantemente sulle decisioni del giudice di sorveglianza spesso ribaltate dal Tribunale

S. MARIA C.V. – Quando sosteniamo e ribadiamo che Casertace avrebbe bisogno di almeno venti giornalisti in redazione, qualcuno – ovviamente si tratta dei disattenti, dei superficiali – pensa che lo diciamo per “spararci la posa”. Invece non è così.

Quando riceviamo segnalazioni, denunce, richieste di aiuto sulle più svariate questioni, ci piange il cuore per il fatto di non potercene occupare alla nostra maniera, cioè assumendo da quella segnalazione, da quella denuncia, elementi di spunto per andare a fondo, per capire e, se necessario, per trasformare anche noi gli articoli in vere e proprie denunce giornalistiche finalizzate ad attivare l’interesse delle varie autorità, in modo che certe storture, certe ingiustizie, abbiano a cessare. Troppo raramente, troppo a intermittenza, ci siamo occupati della condizione in cui versa la popolazione carceraria. Tema complesso, perché in ogni penitenziario ci sono troppe ragioni, troppe tipologie di ragioni, troppi torti e troppe tipologie di torti che rendono difficile l’approccio a una autentica attività di inchiesta.

Questo giornale, durante le primissime settimane di Covid, non indugiò – e fummo i primi – a pubblicare alcune fotografie fatteci recapitare da congiunti di detenuti che mostravano ferite, tracce di scudisciate. Da quelle fotografie nacque l’interesse della magistratura inquirente di S. Maria C.V. che andò ad approfondire ciò che era successo in quel maledetto giorno di aprile 2020, oggetto oggi di materia processuale nel maxi dibattimento – ancora in corso nell’aula bunker situata proprio sotto al carcere – del Tribunale sammaritano che sta giudicando i cento e passa imputati (agenti di Polizia Penitenziaria, dirigenti carcerari, ecc.) lungo una trama processuale che si spera non duri all’infinito, pur considerando che un numero di imputati superiori a cento reca in sé il marchio di una progressione lenta verso una sentenza.

Nel corso degli ultimi mesi ci sono arrivate alcune segnalazioni su vicende che vanno trattate perché non attengono alla dinamica relazionale tra ragioni e torti dei detenuti e dell’amministrazione carceraria, ma riguardano principi della Costituzione, principi fondamentali che attengono al perimetro sacrale dei diritti dell’uomo.

In ballo c’è infatti la salute. Il penitenziario di S. Maria C.V., che da questo punto di vista garantisce le cure ai detenuti affidandosi totalmente all’ASL di Caserta, assolve a questa funzione o ci sono carenze?

A SANTA MARIA CAPUA VETERE GLI ISPETTORI DEL MINISTERO – Sappiamo che qualcuna delle denunce arrivate anche a noi è stata inviata al Ministero della Giustizia, che evidentemente le ha prese molto sul serio, se è vero, come è vero, che a S. Maria C.V. ha mandato propri ispettori. Non tiriamola troppo per le lunghe. La domanda è la seguente: se un detenuto è seriamente malato e ha il sospetto di soffrire di una patologia gravissima, potenzialmente letale, il carcere è in grado di provare che ci sta marciando e quindi, dopo avergli sorriso bonariamente e avergli dato una pacca sulla spalla, ha la certezza matematica di poter scrivere su un atto ufficiale da inviare al giudice di sorveglianza che quei timori, espressi dal detenuto, non siano fondati, per cui la sua condizione è compatibile con la detenzione carceraria? Stando ai dati che abbiamo raccolto, no, non è in grado.

Ma ovviamente, come capita sempre quando un’autorità si trincera dentro ai confini dell’autoreferenzialità che non corre, come tale, il pericolo di essere contestata, di sottoporsi a un secondo grado di giudizio delle sue valutazioni, la nostra valutazione negativa sulla situazione in cui versano le strutture sanitarie del carcere di S. Maria C.V. non è minimamente assecondata, affiancata, dal dubbio che possa indurre le autorità carcerarie a fare il punto della situazione.

A nostro avviso no, dunque, ma noi non abbiamo la verità in tasca e se il direttore del carcere, Uccella di S. Maria C.V. o, meglio ancora, il responsabile sanitario nominato dall’ASL, ritengono errata questa nostra valutazione, saremo lieti di ospitare le loro tesi e confutazioni.

Non ci giriamo tanto intorno: nel carcere esiste una sorta di corpaccione sanitario che viaggia da sé autonomamente, rappresentato dai detenuti tossicodipendenti assistiti da un Sert ad hoc. Tutti gli altri devono essere controllati, curati, analizzati, da altre strutture interne.

Ci sono medici, infermieri e OSS, ma la cosa più importante è che ci sono anche specialisti: psicologi e psicoterapeuti, neurologi, psichiatri, odontoiatri, oculisti, dermatologi, oncologi, specialisti di medicina interna, epatologi, urologi, ecc.

LA PRESENZA DEGLI SPECIALISTI IN CARCERE E LA PROVA CHE CHIEDIAMO AL DIRETTORE SANITARIO IANNOTTA – Quando gli ispettori del Ministero hanno chiesto al responsabile sanitario nominato dall’ASL perché mai possa succedere che un detenuto malato di cancro accerti questa patologia con mesi e mesi di ritardo, e solo perché ha potuto accedere a specialisti e a esami privati, il dirigente in questione ha risposto che purtroppo c’è carenza di lavoro specialistico perché i professionisti in questione dedicano alle visite carcerarie solo due ore alla settimana.

Può darsi che sia come dice lui, però la questione non può essere liquidata dal Ministero della Giustizia accontentandosi di quella che è una semplice asserzione. I detenuti si devono prenotare per ricevere una visita specialistica. In due ore a settimana si possono sicuramente realizzare dalle 6 alle 8 visite, anche perché quel tipo di contatto non deve produrre la soluzione del caso clinico, ma consentire allo specialista di stabilire se quel tal detenuto necessiti o meno di ulteriori approfondimenti clinici a carico del servizio sanitario nazionale. Togliamo un paio di settimane dalle 52, quindi 50 settimane per 6 fa 300; 50 settimane x 7 fa 350, 8 visite per 50 settimane fanno 400 visite.

Ciò vale per la dermatologia, l’oncologia, l’urologia, ecc. Siccome riteniamo che il dirigente sanitario del carcere, rispondendo alle domande dell’ispettore del Ministero della Giustizia, abbia detto il vero, perché non tira fuori, ovviamente proteggendo la privacy di ognuno dei detenuti visitati, le prove documentali di queste 300/350/400 visite realizzate da ognuno degli specialisti?

Lo faccia, perché le chiacchiere stanno a zero, mentre questo dimostrerebbe che lui, da padrone del vapore, da vigile urbano e orientatore del traffico dei detenuti verso le verifiche specialistiche, ha fatto il massimo di quello che poteva fare. E questo è un punto.

SE UN DETENUTO HA UN TUMORE NON DIAGNOSTICATO, PROBABILMENTE CREPA – L’altro punto riguarda quei pochi detenuti che possono permettersi di ottenere una visita privata. Mettiamo che questa sia realizzata da specialisti e dirigenti della stessa ASL o di grandi aziende pubbliche della Campania, mettiamo che questi luminari delle patologie specifiche controllino e mettano nero su bianco il fatto che la malattia riscontrata e certificata non sia compatibile con il regime carcerario, tutto ciò ammettendo pure che il dirigente sanitario del carcere di S. Maria C.V. abbia tutto il diritto di nutrire dei dubbi sulle diagnosi fatte – ripetiamo – da primari del servizio sanitario nazionale, è mai possibile che il burocrate sanitario non avverta nemmeno la necessità di un consulto con chi, a differenza sua, si è specializzato, ha fatto pubblicazioni, su branche specifiche della medicina?

Su quale base il dirigente sanitario scrive e cestina queste diagnosi su cui gli specialisti in questione spendono la propria firma e responsabilità professionale, affermando lui che, tutto considerato, questi specialisti sono in pratica degli sprovveduti e dunque lui dà il parere negativo non solo all’adozione di misure alternative al carcere nella esecuzione di una pena oppure in un contesto di titolo cautelare?

E questa è una cosa non da poco, perché è successo ultimamente che detenuti a cui è stata negata la possibilità di sottoporsi a indagini cliniche a carico del SSN, abbiano scoperto di avere un tumore già in stato avanzato con grande ritardo, e solo dopo aver ricevuto faticosi placet dal giudice di sorveglianza per sottoporsi a visite private. E così non va.

L’ASL stessa dovrebbe indagare sulle cose che stiamo segnalando.

LA FARMACIA DEI DESIDERI E LE MEDICINE “PROIBITE” – Sapete quanto tempo ci vuole per avere un farmaco nel carcere sammaritano? Fino a venti giorni. È severamente vietato riceverli dall’esterno da parte dei propri congiunti. Ora, questo può andare bene per chi assume medicinali con tempi standardizzati in un contesto di patologia cronicizzata che necessita di una, due o tre pillole al giorno, sempre le stesse.

Ma è questa l’unica tipologia di malato? È questa l’unica tipologia di assistenza farmacologica?

Mettiamo che una persona abbia bisogno di un farmaco specifico in base a dei sintomi, magari legati alla malattia di cui soffre, ma che siano insorti improvvisamente e richiedano un supporto farmacologico immediato. Che cosa facciamo? E anche su questo la direzione del carcere e il direttore sanitario possono spiegarci il loro punto di vista.

Così, magari, mettiamo insieme un confronto dei fatti e delle tesi, con l’obiettivo di migliorare una situazione che al momento è tutt’altro che gratificante e sicuramente non in linea con gli standard della garanzia del sacro diritto alla salute.

Perché se un detenuto non riesce mai ad avere una visita specialistica nonostante la prenotazione, se trascorrono 3-4-5 mesi per incontrare un medico esperto in cardiologia, in apparato respiratorio, in psichiatria, può ben capitare che il detenuto tiri le cuoia. Oppure, nel momento di estrema debolezza psicologica, può decidere di annodare quattro lenzuola e impiccarsi, come capita spesso nel penitenziario di S. Maria C.V.

IL GARANTE DEI DETENUTI, TANTA ACCADEMIA FUMO E NIENTE ARROSTO – Non abbiamo mai nominato in questo articolo i cosiddetti garanti dei detenuti. Non lo abbiamo fatto perché riteniamo che, al di là di qualche comunicato in cui ripetutamente, ritualmente, vengono dette le solite cose, non esista un lavoro serio e approfondito condotto nella carne viva dei problemi.

E non è che, siccome ci sono molti carcerati furbi che ci marciano, questo atteggiamento superficiale nella valutazione debba penalizzare quelli che davvero stanno male.

Siccome la grande maggioranza dei detenuti non può permettersi il lusso di visite private, tanti di loro muoiono senza che nessuno lo sappia.

E allora invitiamo tutti coloro che ritengono di poter raccontare una storia a farlo. Noi la vivisezioneremo, perché si può partire dal presupposto della diffidenza, ma la diffidenza è una base che può consentire di lavorare in maniera equilibrata sulle situazioni, e non può essere assolutamente un dato che esaurisce e blocca ogni ragionamento di tutela, facendo di tutta l’erba un fascio.

Non è improbabile che, nei prossimi giorni, sempre rivolgendoci con rispetto al direttore sanitario del carcere, porremo a lui altre questioni, invitandolo anche a riflettere sugli interventi parzialmente riparatori — perché se uno è ammalato di tumore e sta in carcere senza cure per altri 5-6 mesi, c’è poco da riparare — operati dal Tribunale di Sorveglianza di Napoli.