La Pignetti prova a distrarre i casertani sull’inquietante gestione dell’Asi e rispolvera l’archeo-vicenda Guarino-Palmesano-Saviano a cui ho risposto e rispondo ancora
14 Gennaio 2020 - 13:17
CASERTA – (g.g.) Comprendiamo lo stato d’animo della signora Pignetti che vede sempre più minacciata la sua posizione da una condizione di illegalità che connota, ormai anche formalmente, alcuni elementi di spicco dell’ente che dirige. L’arresto di Nicola Tamburrino, componente del comitato direttivo, che ha portato con sè fino a poco tempo fa anche l’altro indagato Angelo Aversano, commercialista di Villa Literno e componente dell’organismo di vigilanza e quello che è emerso dall’ordinanza sono fatti che parlano da sè. Per cui, oggi, ritiene ancora una volta che il sottoscritto e questo giornale nutrano un astio privato nei confronti di una persona che io non ho mai conosciuto, nè direttamente, nè attraverso comunicazioni social o telefoniche, ma della quale, al pari di ciò che faccio con tantissimi altri, ho scritto solo in relazione alle modalità, a mio avviso, pessime, attraverso cui viene esplicata la massima funzione di rappresentanza del consorzio Asi di Caserta, che, ripetiamo, non viene finanziato con i soldi della Pignetti, ma con quelli dei cittadini a cui andrebbe domandato se siano o meno contenti del fatto che 60mila euro siano stati spesi per pagare avvocati esterni, incaricati, fatto mai successo finanche in queste lande desolate, di presentare querele o citazioni in sede civile contro il sottoscritto.
E allora, va a rispolverare, stavolta nella sua versione video, peraltro ampiamente presente e a disposizione di tutti nell’area sconfinata del web, la famosa trasmissione di Italia 1 condotta al tempo da Nadia Toffa, la giornalista, molto impegnata anche nel programma “Le Iene”, venuta a mancare la scorsa estate. Come sanno ormai a memoria i nostri lettori più affezionati che hanno potuto leggere i molti articoli, nei quali, non avendocene data la possibilità Nadia Toffa che non mostrò un suo rigore deontologico, almeno in quell’occasione, abbiamo potuto esprimere la nostra posizione ferma e chiara rispetto a quel processo che diede ragione alle tesi di Enzo Palmesano, al fatto che lui fosse stato in pratica epurato dal Corriere di Caserta in quanto fastidioso per il boss di Pignataro Maggiore Vincenzo Lubrano.
In quel processo, il sottoscritto testimoniò e duellò a lungo con il pubblico ministero della dda, che un pò si arrabbiò nel prendere atto della determinazione rigida con cui io, che il Corriere di Caserta dirigevo al tempo della vicenda di Palmesano, affermavo, riaffermavo, con l’ausilio di molte argomentazioni, che almeno per quanto mi riguardava, l’uscita di Palmesano dal giornale non era stato un allontanamento, ma una decisione, assunta da lui stesso, quando io, da direttore, gli chiesi solo una cosa, che non riguardava assolutamente il contenuto degli articoli che scriveva: siccome io ci mettevo la faccia e il rischio, volevo che anche lui firmasse con il proprio nome e il proprio cognome gli articoli senza nascondersi dietro gli pseudonimi Cavalieri e Panassi che utilizzava, rispettivamente, negli articoli di Pignataro e in quelli di Sparanise. Gli dissi: caro Enzo, tu puoi scrivere quello che ti pare e quando attacchi la camorra, sono pronto a venire lì a Pignataro a difenderti. Ma gli uomini seri, veri ci mettono la faccia e sanno rischiare per difendere i propri ideali. Per cui, o firmi gli articoli oppure io non te li pubblicherò più.
Il tribunale, molto preso dalle tesi di Palmesano, sostenute anche dal monsignor Roberto Saviano, nel momento in cui condannò l’imputato che avrebbe attuato l’operazione, non potette fare altro che spedire gli atti della mia testimonianza alla dda. Questo succedeva 5 anni e mezzo fa. La dda non si è sognata neppure lontanamente, conoscendo ed apprezzando il lavoro che io e noi facciamo, di contestarmi alcunché e di far propria l’ipotesi di una falsa testimonianza da me effettuata in quel processo. Lo dissi chiaramente che se fosse stato necessario sarei andato in Corte di Appello a ripetere le stesse cose e andrei anche in Cassazione, dove ritengo il procedimento ancora sita, a fare altrettanto.
Perchè su queste cose, signora Pignetti, non si scherza. Non si va davanti a un giudice per lisciare il pelo al pubblico ministero o al presidente di un collegio. Si va per dire la verità, che è questione etica, punto di riferimento di ogni filosofia e dell’insegnamento cristiano che non a caso ha dedicato uno dei suoi 10 comandamenti alla gravità morale del peccato di falsa testimonianza. Ma lei queste cose, signora Pignetti, con tutto il rispetto, non le potrà mai capire. I meccanismi premiali di un processo lottizzatorio che, beninteso, non ha riguardato solo lei, ma è il modo con cui la politica, la pessima politica casertana e meridionale opera nella gestione della cosa pubblica, segnano già una scelta netta e chiara da parte sua. Se Lei, come ha fatto, dà un incarico all’avvocato Saverio Griffo, mentre questo si trova ai domiciliari, non compie un reato, per carità, ma mette sul piatto, in maniera esplicita, un modo di essere, una mentalità che molto semplicemente non sarà mai il mio e il nostro modo di essere, il mio e la nostra mentalità.
Siccome non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, noi abbiamo comunque il dovere di replicare anche a questa ulteriore sortita della signora Pignetti. Il resto sono chiacchiere e quello che sta succedendo all’interno dell’Asi va denunciato senza se e senza ma, per amore della verità e della giustizia. E noi continueremo a farlo a testa alta senza farci assolutamente intimidire.
QUI SOTTO UNO STRALCIO DELL’ARTICOLO PUBBLICATO ALCUNE SETTIMANE FA, SEMPRE IN REPLICA AD UN ATTACCO CHE LA SIGNORA PIGNETTI FECE UTILIZZANDO ADDIRITTURA IL SITO ISTITUZIONALE DELL’ASI
Capitolo Palmesano: la presidente Pignetti che ancora una volta mi taccia di sessismo quando in realtà, il riferimento a Barbie, come ho spiegato più volte rappresentava una similitudine ad un modello positivo di una donna bella ma anche intelligente e impegnata nella vita, pubblica roba vecchia che ci costringe a ripetere per l’ennesima volta la nostra versione dei fatti che non è una roba giusto per dire, una difesa impossibile davanti all’evidenza di due sentenze pronunciate. Oggi e davanti a qualsiasi giudice, anche un mese fa quando sono stato assolto da una querela presentata da Palmesano, ho detto e ribadito che Enzo Palmesano non ha mai firmato un solo articolo su quello che al tempo si chiamava Corriere di Caserta e non Cronache di Caserta. Lui ha collaborato con due pseudonimi: Maria Cavalieri per gli articoli di Pignataro Maggiore e Antonia Panassi per gli articoli di Sparanise.
Più volte chiesi a Palmesano, e questo lo può testimoniare la stessa Chiuchiolo già citata, con me in quella valorosa redazione, di condurre le sue battaglie giuste utilizzando il proprio nome e il proprio cognome, così come faceva il sottoscritto rischiando in proprio, e in altri giornalisti di quella redazione. Non ci fu nulla da fare! Non ho mai cacciato Palmesano da quella redazione. Gli ho solo detto che non avrei pubblicato articoli con pseudonimi, anche perché l’uso dello pseudonimo comportava, almeno in prima battuta, la responsabilità diretta del sottoscritto imputabile non solamente per l’omesso controllo.
Questo ho dichiarato nel processo di primo grado in cui è stato condannato Pezzella, parente acquisito del boss Lubrano e collaboratore di Telealternativa, al tempo partner e consocia del Corriere di Caserta. Una condanna fondata sull’assunto che Palmesano sia stato fatto fuori del giornale per ordine della camorra. Quindi da questo Pezzella che avrebbe fatto pressione sul sottoscritto. A riguardo, il Palmesano ha sempre portato a supporto delle sue tesi, alcune intercettazioni telefoniche in cui a suoi dire, io avrei rassicurato il Pezzella. In effetti, questo Pezzella era un giornalista del gruppo editoriale di cui ero dipendente anche io. Con lui più volte ho parlato della questione Palmesano e in più di un’occasione, gli ho detto che per me il problema era solo uno: quello relativo agli pseudonimi. L’inspiegabile diniego del Palmesano a firmarsi con le proprie generalità mi faceva affermare, anche nelle telefonate con Pezzella, che la presenza dello stesso Palmesano nel Corriere di Caserta non era più tollerabile in quanto, nascondersi dietro all’anonimato di uno pseudonimo, non mi sembrava né serio, né giusto.
Il giudice di Santa Maria Capua Vetere che condannò Pezzella, dovette giocoforza, spedire gli atti delle mie dichiarazioni date in aula nelle vesti di testimone alla Dda, per verificare se esistessero possibilità di un’indagine sul sottoscritto ipotizzando il reato di falsa testimonianza.
Ebbene, da allora, sono trascorsi 5 anni, la Dda non ha mai svolto alcuna indagine né ha ritenuto neanche lontanamente di contestarmi alcunchè.
Da quel momento in poi, quando Enzo Palmesano ha utilizzato la sentenza di primo grado e anche la sentenza di secondo grado per darmi in pratica del bugiardo, io ho sempre replicato colpo su colpo, lamentandomi della gravissima carenza etica che Nadia Toffa, pace all’anima sua, dimostrò quando permise al Palmesano, sponsorizzato da Roberto Saviano, un altro a cui stavo sulle scatole perché non mi ero mai unito ai mandolini dell’orchestrina decantandone acriticamente le gesta e le parole per anni e anni, senza porsi il problema di un’analisi approfondita dei contenuti delle stesse, di fare un monologo contro il sottoscritto, con la solita storia dell’epurazione voluta dalla camorra, senza che in quel programma, condotto su Italia Uno, proprio da Nadia Toffa, venisse garantito al sottoscritto, il diritto di replica.
Io dico e ribadisco, non per arroganza, ma perché altrimenti direi una bugia, che per quanto mi riguarda Palmesano è andato via dal Corriere di Caserta solo ed esclusivamente per gli pseudonimi. La verità giudiziaria di due sentenza va rispettata. Ma la verità giudiziaria, esimia presidente Pignetti, non è verità rivelata. Le sentenze si rispettano, ma si possono confutare e criticare. Non so se Pezzella agisse in nome e per conto dei Lubrano. So invece che io non avrei mai permesso, non avendo per altro in questo territorio né parenti, né amici stretti vivendo ancora oggi in un’altra provincia, che un giornalista fosse allontanato per ordine della camorra. Se è successo così, evidentemente sono stato fregato anche io da coincidenze sfavorevoli. Una cosa è certa, però: da quell’uscita del Corriere di Caserta Palmesano ha avuto un’enorme pubblicità, presenze televisive e tanta solidarietà delle anime belle. Probabilmente se avesse firmato col suo nome e cognome, semplicemente, accettando una mia richiesta giusta, oggi avremmo tutti gli elementi per poter dire che lui fu fatto fuori dalla camorra e che il sottoscritto era almeno un cacasotto.
Ma non andò così.
Per la precisione, presidentessa Pignetti, e per completezza d’informazione.