La domenica di DON GALEONE: “…a fare comunità cristiana, non basta che si raduni un certo numero di fedeli per celebrare un rito liturgico”

19 Aprile 2020 - 14:36

                                 19 aprile 2020 – Seconda Domenica dopo Pasqua (A)

    ADERIRE AD UNA PERSONA, NON SOLO LEGGERE UN SANTO LIBRO

                     gruppo biblico השרשים הקדושים   ÷ [email protected]

Il periodo pasquale si distende per l’arco di sette settimane; in queste sette domeniche pasquali è descritta la Chiesa con le sue gioie e i suoi dubbi. In questa presentazione della Chiesa in espansione, rivestono grande importanza gli Atti degli apostoli, scritti da Luca, autore di questo “quinto Vangelo dello Spirito e della Chiesa”. Luca descrive la Chiesa primitiva che è costruita su quattro pilastri: a) l’insegnamento degli apostoli, b) la frazione del pane, c) la preghiera, d) l’unione fraterna. Oggi viene sottolineata la “unione fraterna” (koinonia): a fare comunità cristiana, non basta che si raduni un certo numero di cristiani per celebrare un rito liturgico;

occorre l’unione fraterna, e questa ogni giorno della settimana. Cristiani a 360 gradi, non solo nei giorni festivi ma anche feriali!

La domenica, primo giorno dopo il sabatoGli evangelisti mostrano scarso interesse per la precisione cronologica, eppure su una data concordano tutti: “il primo giorno dopo il sabato”: in questo primo giorno della settimana, il cristiano portava alla messa quanto era riuscito a risparmiare durante la settimana (1 Cor 11,20.26) e lo distribuiva ai poveri della comunità. Una delle prime testimonianze ci viene data dal Plinio il Giovane, che verso il 112 così scriveva a Traiano imperatore: “i cristiani sono soliti riunirsi in un giorno stabilito, prima dell’alba, e cantare inni a Cristo come a un Dio”.

Ai cristiani della terza generazione   Il brano di oggi è diviso in due parti: nella prima (vv.19-23) Gesù comunica ai discepoli il suo Spirito; è lo stesso brano che leggeremo a Pentecoste; nella seconda (vv.24-31) abbiamo il racconto di Tommaso. Il suo dubbio è diventato proverbiale! Eppure non ha fatto nulla di male: chiedeva solo di vedere ciò che altri avevano visto. Dai vangeli appare che Tommaso non è stato l’unico ad avere dubbi: Gesù appare agli Unidici e li rimprovera (Mc 16,14); lo stesso fa Luca (24,38) e Matteo (28,17). Come mai solo Tommaso viene rimproverato? Forse la spiegazione è questa: quando Giovanni scrive il suo vangelo (verso il 95 d.C.), Tommaso era già morto da tempo e non lo fa per screditare il collega Tommaso. Giovanni vuole rispondere alle domande dei cristiani delle sue comunità, quelli di di terza generazione, che non hanno visto Gesù e che si chedono: ma ci sono prove che Gesù è risorto? Sono le stesse domande che anche noi ci poniamo.

La rivelazione progressiva   All’inizio del vangelo, i primi due discepoli chiamano Gesù “rabbì(Gv 1,38); poi Andrea dice a suo fratello Simone: “Abbiamo torvato il messia (Gv 1,41); Natanaele intuisce subito dopo e dichiara: “Tu sei il figlio di Dio(Gv 1,49); i samaritani lo riconoscono come il “salvatore del mondo” (Gv 4,43), la gente lo definisce come il “profeta” (Gv 6,14), il cieco nato lo proclama “Signore” (Gv 9,38), per Pilato è il “re dei giudei” (Gv 19,19) ma è Tommaso a dire la definizione più vera: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28), espressione che nella Bibbia si riferisce solo a IHWH (Sal 35,23). Tommaso è il primo che riconosce la divinità di Cristo!

Non essere più incredulo!    L’episodio è stato scelto dall’evangelista Giovanni con l’evidente intento di ammaestrare i credenti: imparare a vedere Cristo solo con gli occhi della fede. Ci troviamo davanti a una scena tra le più efficaci del Vangelo: notare la pervicacia arrogante dei tre “Se non …”, cui corrispondono con affettuosa ironia i tre imperativi di Cristo: “Metti … guarda … metti…”. Quindi, ansie, dubbi, problemi … non devono scoraggiare; gli stessi problemi possono diventare una risorsa e una energia; il filosofo del dubbio Cartesio andò a Loreto in pellegrinaggio a ringraziare la Vergine per avergli ispirato il metodo del dubbio; anche Giovanni della Croce, nella sua Notte oscura, scrive che una certa disperazione avvicina alla perfezione; lo stesso Gesù raggiunse il massimo della gloria dopo avere vissuto l’esperienza del processo e della morte; quel suo umanissimo grido esprime da un lato lo smarrimento di ogni certezza (“Perché mi hai abbandonato?”), dall’altro l’abbandono filiale all’Onnipotenza del Padre (“Nelle tue mani consegno il mio spirito”).

Tommaso: protestante e positivista!     Oggi la Chiesa ci offre un’altra occasione per convertirci alla gioia della risurrezione; per questo ha scelto il diffidente, l’irriducibile, l’incredulo Tommaso. Tommaso è un vero uomo moderno, un neopositivista, che crede solo a ciò che tocca; il suo metodo è la verificabilità; per lui è il peggio è sempre la cosa più certa. Tommaso è il primo dei “protestanti”; diventando un “protestante” si è preparato ad essere un buon “cattolico”; fosse stato un conformista, sarebbe diventato un mediocre cattolico, mai avrebbe potuto dire: “Mio Signore e mio Dio!”. Gli apostoli erano irritati per la sua testardaggine che volentieri lo avrebbero malmenato per costringerlo a credere (il metodo della violenza, che nei secoli avrà sempre tanti seguaci!). Ma Cristo amava Tommaso, lo ha difeso, lo ha chiamato vicino a sé: “Tommaso, fa’ quello che vuoi”. E Tommaso è caduto in ginocchio: “Mio Signore e mio Dio!”: un vero grido di amore; nessun altro apostolo aveva mai chiamato Gesù “Mio Dio”. Proprio da questo Tommaso, dubitante e violento, Cristo ha ricevuto un grande atto di fede e di amore. Questo fa il Signore: trasforma le nostre colpe, i nostri dubbi, le nostre disperazioni … in felici ricordi, in gridi di amore.

Essere onesti, come Tommaso   Il numero degli ammiratori di Tommaso è sempre stato molto alto, magari facendo regolarmente Pasqua, andando regolarmente a messa, morendo con il santo viatico. Vivere insomma in una religiosità da scenario, da folklore, da tradizione, da paura. Dio sì, la provvidenza sì, Gesù buon maestro sì. Ma l’altra vita? Gesù è veramente risorto? E no, sarebbe troppo bello! Essere dalla parte di Tommaso non vuol dire rinunciare alla verità; vuol dire solo essere onesti; non dire “credo” se non ne siamo convinti. Molti di noi non hanno mai litigato con Dio, non gli hanno mai detto: “Mi hai deluso, o forse io ti ho deluso. Il mio cuore è pieno di dolore, e oggi non so più credere in te”. Addormentati in cieco rifiuto o in una fedeltà insignificante, attraversiamo così come sonnambuli i giorni della nostra vita. Essere onesti con Dio vuol dire provare la gioia di sentire la fede crescere, o il dolore di vedere la fede diminuire come un fiume, che si ritira e lascia in secco la nostra anima. Essere onesti con Dio significa avere dubbi; la fede non è il tesoro che si sotterra perché non ci venga rubato, ma è il tesoro messo a rischio perché aumenti. Essere dalla parte di Tommaso significa soffrire della nostra incredulità, litigare con Dio, per poter un giorno anche noi esclamare “Mio Signore e mio Dio!”. Da questo racconto risulta che Gesù comprende le nostre difficoltà a credere. E se le superiamo, egli ci elogia. Mi ha sempre suscitato una profonda impressione questa lettera di un ebreo morto nel ghetto di Varsavia, dandosi fuoco con la benzina nel 1943:

“Qualche cosa di molto sorprendente accade oggi nel mondo: Dio non ascolta coloro che lo invocano! Dio ha nascosto al mon­do la sua faccia! Stando così le cose, io naturalmente non aspetto un miraco­lo, e non chiedo al mio Dio di aver pietà di me. Egli mi tratti pure con la stessa indifferenza che ha mostrato a milioni di altri ebrei come me; io non sono una eccezione alla rego­la, e non pretendo che Egli mi conceda un’attenzione partico­lare; io non cercherò di salvarmi, non tenterò di fuggire da qui. Preparerò il lavoro bagnando i miei abiti di benzina; le botti­glie di benzina mi sono care come il vino lo è a chi si ubriaca; appena avrò versato l’ultima bottiglia sui miei abiti, metterò que­sta mia lettera nella bottiglia vuota e la nasconderò fra le pie­tre. Se qualcuno più tardi la troverà, potrà forse capire i sentimenti di un ebreo, di uno di questi milioni di ebrei che sono morti: un ebreo abbandonato dal Dio a cui credeva tanto in­tensamente. Io credo al Dio di Israele, anche se egli ha fatto di tutto per spezzare la mia fede in Lui. Io mi piego davanti alla sua grandez­za, ma non bacerò il bastone che mi infligge il castigo. Il sole tramonta e io ti rin­grazio, Dio, perché non lo vedrò più sorgere. Muoio sereno, ma non soddisfatto; da uomo abbattuto ma non disperato, credente ma non supplicante, amando Dio an­che quando mi ha respinto. Ho adempiuto il suo comando, anche quando, per premiare la mia osservanza, egli mi colpiva. Io l’ho amato, lo amavo, lo amo ancora, anche se mi ha abbas­sato fino a terra, mi ha torturato fino alla morte, mi ha ridotto alla vergogna. Ti amerò sempre, anche se non vuoi. E queste sono le mie ultime parole, mio Dio di collera: Tu hai tentato di tutto per farmi cadere nel dub­bio, ma tu non riuscirai a far sì che io ti rinneghi”. Maria, salus populi, ci protegga da ogni male! Buona Vita a tutti!