AVERSA. Il palazzo storico sfregiato da Pitocchi è una vergogna. E il solito soprintendente Giuseppe Schiavone non provasse a fare lo gnorri. Di quell’immobile esiste anche una scheda al Ministero dei Beni Culturali
30 Luglio 2025 - 19:32

Ma è mai possibile che un architetto di Aversa città, possa essere il dominus delle attività di tutela e di controllo che il Ministero dei Beni Culturali ha sui beni storici della città normanna? Violentato da solito architetto di San Marcellino che in tutti i posti di questa Provincia ci ha costruito solai e soppalchi, sorge a 10 metri dal Sedile di San Luigi, il più antico dei 13 seggi d’Italia dove veniva amministrata la giustizia decentrata da imperatori e re. E’ attaccato al Palazzo Pignatelli del 1200, anch’esso presente nelle schede del Ministero ma non vincolato incredibilmente dalla Soprintendenza, e che di fronte ha Palazzo Sanfelice Acquavella, l’unico dei tre presente nell’elenco dei beni vincolati
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AVERSA (g.g.) – Facciamo una premessa sicuramente fondamentale per comprendere tutte le riserve che abbiamo sul modo con cui la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento svolge il suo lavoro, soprattutto ad Aversa e nei comuni vicini.
Lo diciamo da tempo: l’architetto Giuseppe Schiavone è assolutamente inadatto a svolgere la sua funzione di responsabile in questo comparto specifico.
L’architetto Schiavone è, infatti, è nato cresciuto e pasciuto ad Aversa. Non possiamo e non dobbiamo dubitare della sua onestà, ma, per forza di cose, viene a contatto, proprio per un fatto fisico legato alla residenza, con tanti professionisti e colleghi che conosce, che hanno studiato con lui e che dunque lo possono avvicinare facilmente.
La cosa più stupida, e pericolosa in quanto foriera di un conflitto di interessi sempre latente, è quella di mettere un architetto di Aversa a controllare che le leggi sulla tutela dei beni artistici vengano rispettate.
Sia detto con franchezza al soprintendente ad interim Mariano Nuzzo, che invitiamo a stupirci, a sorprenderci.
Funzionario e dirigente la cui carriera, soprattutto qui a Caserta, è frutto anche e soprattutto dei rapporti politici instaurati con il partito di Fratelli d’Italia (e diciamocelo chiaramente, esistono coincidenze temporali indiscutibili al riguardo dimostrate nei nostri articoli precedenti), per cui ha avuto un’impennata proprio in coincidenza con l’avvento al dicastero dei beni culturali di due ministri di Fratelli d’Italia.
Ci stupisca il soprintendente ad interim Mariano Nuzzo, compiendo un atto di equità e serietà. Svesta i panni dell’equilibratore della politica che lottizza e tolga dall’imbarazzo Giuseppe Schiavone, affidandogli un incarico simile a quello che ricopre, ma in un’altra zona della provincia, non ad Aversa e nel suo agro.
L’IMPUNITO CASO DEL PALAZZO STORICO DI VIA PLEBISCITO 38
Questo problema lo ricolleghiamo, senza se e senza ma, alla vita attuale del palazzo storico di via Plebiscito 38 e a tutte le angherie che al suo interno sta perpetrando un altro architetto, collega di Giuseppe Schiavone, ossia Gennaro Pitocchi, un cognome che a questo punto, per quanto Casertace ne ha scritto negli anni, non va ulteriormente presentato nelle sue diverse declinazioni.
Chi non conosce la notizia può farlo cliccando sui tre articoli che abbiamo dedicato a questo scempio. Già immaginiamo, perché li conosciamo come le nostre tasche questi qua, la risposta della Soprintendenza e dell’architetto Giuseppe Schiavone: “Questo palazzo di via Plebiscito 38 non è vincolato e quindi non è affare della Soprintendenza intervenire, ma del Comune di Aversa, qualora questo sia dotato di un PRU”.
AL DIRIGENTE SCHIAVONE DICIAMO “NUN CE PROVA’ A COPRIRE PITOCCHI”
Noi, che non siamo fessi, diciamo a Giuseppe Schiavone, alla maniera romanesca: “Nun ce provà”, per due ordini di motivi. Il primo è rappresentato da un riconoscimento ufficiale da parte del Ministero dei Beni Culturali, a cui la Soprintendenza è gerarchicamente sottesa, di diversi immobili tutti compresi in quell’area. Nell’elenco presente alla Soprintendenza c’è, aggiungiamo noi colpevolmente, solo il nome del palazzo signorile Sanfelice di Acquavella in via Plebiscito 12.
Ma se ci trasferiamo — perché caro Giuseppe Schiavone, ribadiamo, ben conosciamo come vi muovete e vi comportate da anni in quegli uffici — nel sito dell’ultimo Catalogo dei Beni Culturali erogato ufficialmente dal Ministero, sono contenute altre due schede: la prima riguarda il palazzo di via Plebiscito 24, risalente al primo quarto del XIII secolo (CLICCA QUI PER LEGGERE)
E lei lo sa bene, Schiavone, che XIII secolo corrisponde al 1200 e non c’è bisogno di aprire il libro di storia per sapere chi fossero i dominatori di Aversa in quel periodo.
Sempre nello stesso catalogo, esiste una scheda di un secondo palazzo signorile, che era signorile, ma che adesso non lo è più da quando è diventato “Palazzo Pitocchi”, violentato nella sua storia senza ritegno, per scopi speculativi.
Così è scritto nella scheda, a cui comunque, se non ci credete, si può accedere direttamente CLICCANDO QUI :
“Palazzo residenziale, metà XVIII secolo” (cioè del 1700). Dal documento PDF si apprende che si tratta di un palazzo costruito in tufo, con manto di copertura in laterizio e solai/volte a botte. Questa scheda è stata redatta proprio dalla Soprintendenza di Caserta nel 1993. Ce ne accorgiamo dall’inconfondibile firma della dottoressa Torriero, un’altra dirigente di cui ci siamo occupati in passato, sollecitati da quella parte buona della facoltà di Architettura di Aversa, non certo amica dell’allora preside Gambardella, letteralmente scandalizzata da come veniva “tutelato” il patrimonio storico-architettonico della città normanna.
LE NEFANDEZZE DELLA SOPRINTENDENZA
Quindi, il palazzo di via Plebiscito 38 è censito dal Ministero dei Beni Culturali come immobile di interesse storico. Solo la negligenza annosa della Soprintendenza ha fatto sì che su questo palazzo, il quale si connette quasi fisicamente al Palazzo Pignatelli del XIII secolo — contenuto importante del progetto Aversa Millenaria, finanziato con copiosi fondi pubblici — frontale al palazzo vincolato Sanfelice di Acquavella e che in più è eretto a pochissimi passi dal Sedile di San Luigi, non sia stato oggetto di vincolo. E tutto sommato, nel momento in cui abbiamo scoperto che il proprietario è Gennaro Pitocchi, abbiamo capito anche perché.
Il secondo motivo risiede nell’essenza della missione, che diventa funzione obbligatoria, sancita dalla legge, di ogni Soprintendenza. Il suo ruolo è centrale nella tutela degli edifici storici. Per cui, occorre una vigile azione e, se necessario, interventi veloci e risolutivi in modo da garantire che qualsiasi modifica di questi beni sia compatibile con il valore storico e culturale dell’immobile in questione, considerato appunto nel suo contesto paesaggistico e storico-culturale.
Ed è per questo motivo che abbiamo citato il Sedile di San Luigi, l’unico sopravvissuto dei 4 esistenti ad Aversa e il più antico dei 13 seggi d’Italia dove veniva amministrata la giustizia decentrata da imperatori e re. Ora, immaginiamo che questo, a Pitocchi, non interessi, anzi è molto probabile che se ne conosce la storia, si tocchi pure scaramanticamente, perché non si può mai sapere cosa può succedere con la giustizia.
PERCHÈ SONO VERGOGNOSI GLI INTERVENTI DI PITOCCHI
Però, caro Giuseppe Schiavone, altro che PRU del Comune di Aversa, la sua è una balla spaziale. Gli interventi che sta facendo il suo collega Gennaro Pitocchi sono del tutto incompatibili con il valore di quel sito, preso come palazzo del ‘700, ma soprattutto considerato come immobile inserito in un contesto storico-architettonico di primissimo livello nel contesto nazionale, cioè in Italia, un Paese dove si condensa il 60-70% delle meraviglie della storia, della cultura, dell’archeologia, dell’intero mappamondo che farebbero bene a rompervi in testa qualche, in quella Soprintendenza, per svegliarvi un poco.
L’organo di tutela deve sentirsi responsabile, in quanto questo è un suo obbligo. E ciò non vale solamente per i beni vincolati, ma per tutti i beni comunque segnalati, classificati e inventariati, da parte del Ministero dei Beni Culturali, come lo è il palazzo signorile di via Plebiscito 38.
Per cui, soprintendente Mariano Nuzzo e architetto Giuseppe Schiavone, non fate gli gnorri. Quando la Soprintendenza si trova al cospetto di interventi a dir poco invasivi come quello che sta compiendo impunemente Gennaro Pitocchi, anche su un palazzo non vincolato, ma comunque portatore di elementi storico-architettonici pregevoli e meritevoli di tutela — e non c’è dubbio che questo palazzo appartenga alla categoria appena citata — bisogna avviare la cosiddetta DIC (Dichiarazione di Interesse Culturale). Il fatto che la Soprintendenza non lo faccia dal 1993 per il palazzo di via Plebiscito 38 è gravissimo, perché basta leggere gli articoli 12, 13 e 14 del d.lgs 42/2004, meglio noto come Codice dei Beni Culturali, per considerare la gravità una valutazione fin troppo tenue.
IL CODICE DEI BENI CULTURALI CONDANNA LA VOSTRA INERZIA SU PITOCCHI E NON SOLO
Partiamo dall’articolo 12, comma 1: “Le cose indicate all’articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2.”
Passiamo poi al comma 2: “I competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione.”
Allora, esiste questa scheda del palazzo signorile del ‘700 di via Plebiscito 38 al Ministero dei Beni Culturali? Sì, esiste. Ma anche se non fosse esistita, l’articolo 12 richiama le Soprintendenze a attività di vigilanza e di catalogazione che riguarda tutti gli immobili costruiti da più di 70 anni. Lo dovete fare, non è un optional. E invece, alla Soprintendenza di Caserta non lo fate.
Per l’articolo 13, rimandiamo questo link. Vi renderete conto della necessità e degli obblighi che pesano sui soprintendenti all’inizio delle procedure di tutela.
IL FOLLE CASO DEL PALAZZO ACQUAVIVA DI CASERTA
I toni duri di questo articolo sono legati a una lunga esperienza di malefatte, consumate ai danni del patrimonio storico-culturale di questa provincia. Vi raccontiamo solo una cosa, peraltro da noi scritta in un articolo pubblicato tempo fa: palazzo Acquaviva di Caserta, pezzo di storia, di storie e soprattutto connesso a quella torre a cui si legò anche il nome della città capoluogo, non era vincolato e la Soprintendenza, che sorge a 200 metri di distanza, non se l’era filato neppure di striscio. Fu l’allora assessore all’Urbanistica del Comune di Caserta, un architetto buono stavolta, ossia Mimmo Maietta, a pretendere che la Soprintendenza iniziasse la procedura DIC, cioè di Dichiarazione di Interesse Culturale, di uno dei palazzi storici più importanti di Caserta, privo fino ad allora di ogni crisma di tutela.
Per il momento ci fermiamo qui, ma questa storia del palazzo di via Plebiscito 38 di Aversa non la molleremo mai.