CAMORRA E PIZZERIE a MADDALONI. Per Vincenzo Russo, secondo il gip, non c’è reato di camorra. Vi spieghiamo nel dettaglio perchè un errore iniziale viene colmato dal giudice che ha emesso l’ordinanza

7 Maggio 2020 - 16:02

Ci ha scritto l’avvocato Rossana Merenda. La ringraziamo perchè ci ha ricordato una regola aurea e cioè che le ordinanze, dopo aver preso visione dei capi di imputazione provvisori formulati dal pm, vanno lette dalla fine e non dall’inizio

MADDALONI(g.g.) L’avvocato Rossana Merenda che difende Vincenzo Russo di Maddaloni, uno dei 9 indagati nell’inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all’emissione nei loro confronti di 8 misure di custodia cautelare in carcere e di una, riguardante proprio Vincenzo Russo, di custodia cautelare agli arresti domiciliari, ci ha fatto giustamente notare che se è vero che il suo assistito parte come indagato anche per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo camorristico, come si evince dal capo N, questa ipotesi di reato non regge al vaglio del gip che nella sua decisione finale, la esclude.

Un passo alla volta e cerchiamo di far capire alle persone meno scafate in materia di procedura penale, quello che è accaduto. Da nessuna parte c’è scritto che Russo è indagato per concorso esterno, ma ciò si capisce dall’esistenza, nel corpo del capo N dell’ordinanza, dell’articolo 110 del codice penale che inserisce nel comportamento dei 3 coinvolti in questa particolare sezione della misura cautelare, l’esistenza di una configurazione di reato che sicuramente per uno, due o anche per tutti e tre gli indagati viene definita come concorso

esterno e non come partecipazione intranea, cioè diretta al clan.

Oltre a Vincenzo Russo, per il capo N sono indagati Antonio Mastropietro e Salvatore D’Albenzio. Quest’ultimo, badate bene, è accusato nel capo A, cioè quello principale che rappresenta l’architrave dell’ordinanza, di partecipazione organica, diretta al gruppo camorristico, per giunta con la contestazione della parte più onerosa in termini di anni di carcere comminati in una eventuale sentenza di colpevolezza, dell’aggravante prevista dall’articolo 416 bis 1 (promotore, capo del sodalizio). Per cui, badate ancora, dei 3 indagati del capo N uno va escluso, perchè non c’entra con la presenza dell’articolo 110 il quale sancisce l’esistenza, nell’episodio specifico, di comportamenti che ad avviso del pm configurano la modalità del concorso esterno in associazione mafiosa.

D’Albenzio non c’entra, infatti, proprio perchè a monte dell’ordinanza, viene definito capo, promotore e partecipante del gruppo malavitoso. Va precisato, in modo da non generare confusione nei lettori, che quello del concorso esterno non è un reato diverso da quello consistente nella partecipazione diretta ma è solo un allargamento dello spettro della responsabilità, perchè, alla base del concorso esterno, a differenza di quello che accade, per esempio, nell’aggravante dell’articolo 7 della legge 152 del 13 maggio 1991 (aver agevolato gli interessi della camorra) deve necessariamente esistere il cosiddetto “dolo specifico“. In pratica, la consapevolezza, da parte della persona indagata, di aver, non partecipato, ma comunque concorso alla realizzazione degli obiettivi criminali del clan camorristico.

L’avvocato Merenda, che ha letto con attenzione il nostro articolo (CLIKKA QUI), ritorna su una cosa che, colpevolmente, non abbiamo messo a fuoco, pur conoscendola. La formulazione iniziale dei cosiddetti capi di imputazione provvisori rappresenta una presa d’atto del gip delle accuse formulate dal pubblico ministero. Ma la presa d’atto è una cosa, quello che il gip decide in base alla formulazione di quei capi provvisori, è un’altra cosa.

Siamo stati un pò leggeri nell’attribuire a Vincenzo Russo lo status più grave di indagato per reato di camorra, visto come tale, non solo dai pm, ma anche dal giudice del tribunale, ma invochiamo le attenuanti generiche, essendo state le 9 persone indagate, tutte arrestate. Ma solo le attenuanti generiche, non di più, perchè il fatto che Vincenzo Russo fosse andato, com’è andato, agli arresti domiciliari e non in carcere, doveva farci accendere una spia di allarme inducendoci a trasferire la nostra attenzione dalla prima parte dell’ordinanza all’ultima parte, cioè quella in cui il gip, nel caso specifico, Maria Laura Ciollaro del tribunale di Napoli, formula, sic santibus rebus, le sue decisioni, non completamente allineate alla formulazione dei capi di imputazione provvisori da parte della procura.

E infatti, per Vincenzo Russo (noi non ne abbiamo prova perchè non è in nostro possesso la richiesta inoltrata dal pm della dda al gip), è stato quasi sicuramente, anzi, a questo punto diciamo, sicuramente, invocato il carcere. Il gip non l’ha concesso. E c’è un perchè: la pizzeria in cui avveniva lo scambio di droga, che si trova, giusto per capirci, nell’area di confine tra i comuni di San Marco Evangelista e Maddaloni, non “è di Vincenzo Russo“, come erroneamente la dda scrive nella formulazione del capo N, bensì di Antonio Mastropietro, cioè di colui che a Vincenzo Russo consegna la droga su mandato di Salvatore D’Albenzio. 

Per cui, se regge pienamente, anche agli occhi del gip, l’accusa di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso per Mastropietro, che consegna quella droga, su ordine di D’Albenzio, cioè del capo di quel gruppo criminale, la stessa accusa, secondo il gip, che connetterebbe Vincenzo Russo agli affari della camorra, con piena consapevolezza da parte sua, dunque esistendo il dolo specifico, secondo il gip, non regge, visto e considerato che il centro di smistamento abituale degli stupefacenti del gruppo D’Albenzio, cioè la citata pizzeria, non è di Vincenzo Russo, bensì dello stesso Mastropietro, come chiaramente si legge a pagina 241 dell’ordinanza.

Per questo o anche per questo, il gip scrive, così come potete leggerenei documenti da noi pubblicati in calce a questo articolo, testualmente, “l’aggravante di cui all’articolo 416 bis 1 non può allo stato configurarsi per gli altri indagati, ovvero Russo Vincenzo per il capo N e Fiorillo Achille per il capo O (altra questione di cui ci occuperemo nei prossimi gionri, n.d.d.). Dalle risultanze delle attività di indagine – sottolinea il giudice per le indagini preliminari Maria Laura Ciollaro – non è emersa una loro condivisione con gli obiettivi del gruppo capeggiato dal D’Albenzio; se infatti ciò che conta è accertare il reato da estraneo al sodalizio criminoso e quindi accertare se l’estraneo abbia agito sostenuto da una cosciente volontà agevolatrice del sodalizio criminoso, nel caso che ci si occupa non sono emersi elementi sintomatici di una siffatta condotta.

Quest’ultima parte della formulazione del gip riguarda proprio il discrimine di quel dolo specifico, condizione necessaria affinchè si possa configurare il reato regolato dall’articolo 416 bis, sia per la partecipazione al clan, sia per il concorso alle sue finalità. Per il giudice, in pratica, il dolo specifico non c’è.

Continueremo ad approfondire i contenuti dell’ordinanza e anche i ragionamenti che il tribunale di Napoli esprime per dettagliare ulteriormente i motivi per i quali ritenga la posizione di Vincenzo Russo meno grave di quella degli altri 8 indagati.

Al momento, però, ci accontentiamo di quello che giustamente ci ha fatto notare l’avvocato Rossana Merenda che ha individuato nell’errore compiuto nella formulazione iniziale del capo N da parte della dda,  inerentemente alla proprietà della pizzeria, il motivo per cui il gip, avendo realizzato che quel locale era di Mastropietro e non di Russo, non ha riconosciuto l’esistenza dell’aggravante del comma 1 del 416 bis, che viene attivata quando ricorrono le condizioni previste dallo stesso articolo nei suoi contenuti iniziali, a partire, scusate se ci ripetiamo, ma questa è la vera “chiave dell’acqua”, da quella della piena consapevolezza riguardante sia chi partecipa quale componente del clan, sia chi, agli interessi dello stesso, concorre esternamente.

 

QUI SOTTO LA NOTA DELL’AVVOCATO MERENDA

Gent. Direttore,

Con la presente, il sottoscritto avvocato Rossana Merenda, difensore del Sig. Russo Vincenzo ( ordinanza “D’Albenzio Salvatore +altri) , Le segnala che l’articolo po’anzi segnato non rispecchia le risultanze processuali emerse dall’ordinanza in oggetto e pertanto per amore della verità, appare doveroso precisare che  da un’attenta lettura dell’OCC in oggetto, con riferimento al ruolo del proprio assistito, unico sottoposto agli AADD, IL GIP di Napoli Dott.ssa Ciollaro ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p. pag. 262 OCC. essendo stato ritenuto estraneo al contesto criminale di cui si discute.

In secondo luogo, il Russo Vincenzo non è titolare di alcuna pizzeria, pertanto la conclusione riportata nell’articolo di cui sopra secondo cui ” in pratica Russo avrebbe venduto droga al dettaglio essendo contemporaneamente titolare di un’attività commerciale” è frutto di un’errata lettura del provvedimento di cui si discute atteso che il Russo è un impiegato presso una ditta privata, circostanza di cui si da conto anche nell’ordinanza; merntre laddove si fa riferimento alla pizzeria si precisa che la stessa è gestita da Mastropietro Antonio.

Pertanto, per quanto concerne il ruolo del Russo , quanto poc’anzi evidenziato è quello che emerge realmente dall’OCC.  diversamente da quanto erroneamente scritto nel provvedimento in oggetto .

Buon Lavoro. Distinti Saluti Avv. Rossana Merenda

QUI SOTTO I DUE STRALCI DI ORDINANZA