CASALESI A L’AQUILA. I tentacoli della camorra nella ricostruzione post terremoto: condannati i fratelli Domenico e Cipriano Di Tella
22 Dicembre 2022 - 18:56
Sette anni e 4 mesi per i due germani, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici: sfruttavano gli operai, per lo più provenienti da Casapesenna, per farli lavorare nei cantieri del post sisma e poi farsi riconsegnare gli stipendi che spettavano ai lavoratori.
CASERTA/L’AQUILA Il tribunale dell’Aquila ha condannato i fratelli Domenico e Cipriano Di Tella alla pena di 7 anni e 4 mesi di reclusione, al pagamento di 18mila euro di multa, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, responsabili di “un consolidato sistema di sfruttamento di operai del casertano” nei cantieri della ricostruzione post sisma dell’Aquila.
Il padre dei due imputati, Alfonso Di Tella, nato a Casapesenna, finito anch’egli nell’inchiesta “Dirty Job” su presunte infiltrazioni camorristiche nella ricostruzione post-terremoto, è morto nel 2017 nel corso del processo. Proprio in merito ad Alfonso Di Tella, la guardia di finanza filmò alcuni incontri che l’uomo ebbe con Aldo Nobis e Raffaele Parente, entrambi vicini al clan dei Casalesi e – in particolare – il primo affiliato alla costola guidata da Michele Zagaria. Gli incontri avvennero nel casinò di Venezia.
L’inchiesta “Dirty Job” risale alle prime fasi della ricostruzione, giugno 2014, quando le indagini avrebbero portato alla luce, secondo quanto riferito dalla Procura dell’Aquila in una nota, “un consolidato sistema di sfruttamento di operai per lo più casertani, segnatamente provenienti da Casapesenna, il paese del capo clan Michele
Gli operai campani, “reclutati nei paesi ad alta intensità camorristica tra le persone in maggior stato di bisogno”,
sarebbero stati condotti al lavoro nei cantieri della ricostruzione aquilana dove avrebbero operato formalmente sia
ditte degli stessi Di Tella che ditte aquilane. “In tutti questi cantieri – spiega infine la Procura – vigeva un singolare sistema di sfruttamento e soggezione a danno dei lavoratori, ai quali veniva accreditata la regolare retribuzione
risultante dalla busta paga e conforme ai contratti collettivi. Tuttavia, subito dopo il pagamento, gli operai erano costretti, con la minaccia del licenziamento, a restituire gran parte dell’importo ai Di Tella, con consegne di denaro in contanti”.
Il quadro di sfruttamento che realizzava un caso esemplare di infiltrazione della malavita organizzata nella ricostruzione aquilana e un principio di grave inquinamento dell’economia della città, è stato riassunto dalla Procura distrettuale dell’Aquila con 18 imputazioni di estorsione per le quali è intervenuta condanna, mentre il Tribunale ha pronunciato l’assoluzione per due imputazioni minori”