CASERTA. I dimostranti in piazza Carlo III con i diritti umani ad intermittenza: valgono per George Floyd non per i perseguitati dei regimi cinese e venezuelano

21 Giugno 2020 - 15:27

CASERTA (pm) – Domenica scorsa, anche a Caserta – città che già di proprio presenta più di un motivo di protesta – si è manifestato, similmente a tanti altri posti sebbene di maggiore plausibilità,  per la morte dell’afroamericano George Floyd, avvenuta durante le tragiche circostanze del suo arresto da parte della polizia di Minneapolis.

Uno gruppetto di dimostranti si è ritrovato in piazza Carlo III (tutti continuano a chiamarla così,  a dispetto del comune che l’ha voluta avventatamente piazza Carlo di Borbone) con striscioni e cartelli contro il razzismo,  sgolandosi con i soliti e triti slogan. Ed a finire, le immancabili canzoncine del vetero dissenso.

Ora, va da sé che chiunque possa manifestare per qualsiasi ragione lecita e ci mancherebbe altro. E lungi da noi negare, neppure minimamente, la cruda realtà della discriminazione e della violenza razziali, le quali vengono praticate nel mondo intero e non solo negli Stati Uniti.

Ma se così è, viene da chiedersi per quale ragione i promotori del sit-in casertano si siano affrettati a rivendicare, come hanno fatto, l’apoliticità della propria iniziativa, quando essa ha avuto, tanto pienamente quanto legittimamente, proprio tutti i caratteri politici.

Il richiamo al movimento massimalista Black Lives Matter, sorto nel 2013 ed attestato su posizioni oltranziste che predica finanche una cervellotica abolizione della polizia, l’adesione fideistica alla versione unilaterale ed immediata degli avvenimenti da esso sostenuto, l’esibizione compiaciuta del pugno chiuso che si è vista, emblema universale della ideologia comunistica, per noi appaiono connotati da chiara politicità. Dunque, che pensare? Chi sta dietro a queste cose ha voluto forse raccogliere adesioni più generali, facendo leva su quel sentimento umanitaristico   che sempre subentra alla morte di una persona in circostanze dolorose, capace di coinvolgere anche chi non ne sa molto di quello che realmente sta capitando? O che altro ? Questa tuttavia non è faccenda essenziale, perché qui ci preme di più ragionare a mente fredda, fuori delle nebbie dottrinarie di supposte palingenesi sociali.

Stando a quanto emerge dai fatti, anche secondo la ricostruzione fattane da un autorevole giornale liberal come il New York Time, non certo un foglio anarcoide,  Floyd veniva arrestato non per altro che per aver tentato un acquisto, in un negozio cittadino, con una banconota falsa da venti dollari. Questo, almeno stando alla denuncia fatta dal negoziante che richiedeva l’intervento della polizia, il quale peraltro l’avvertiva come l’uomo fosse in stato di ubriachezza. L’arresto veniva eseguito pubblicamente ed in strada, sotto lo sguardo di persone, telecamere e video cellulari, circostanza questa di cui gli agenti di un paese iperinformatizzato come gli U.S.A. non è immaginabile che non siano sempre ampiamente consci per permettersi abusi aperti. A questo punto la disgrazia, perché Floyd, opponendo resistenza all’arresto e rifiutandosi di entrare nella vettura dei poliziotti, induceva questi ultimi a doverlo bloccare, con un eccesso rivelatosi letale.

Alcuni momenti della manifestazione casertana.

A seguito dell’episodio, della squadra dei poliziotti coinvolti uno è stato arrestato ed incriminato di omicidio, gli altri licenziati o sospesi dal servizio. Immediatamente, sul piano politico sono state annunciate inchieste ed approvati appositi provvedimenti legislativi federali correttivi delle c.d. “regole di ingaggio” da parte della polizia. E poi ci sarà il processo penale che potrà dare la verità giudiziale di cui quello politico-mediatico ora in corso ed inscenato anche a Caserta appare già certo.

Dunque, dov’è il razzismo in questa vicenda, che rappresenta, se si vuole mantenere un minimo di razionalità, soltanto quello che essa è ed ossia un’operazione di polizia finita drammaticamente.

Poi, per carità, uno ci può vedere tutto quello che vuole e con questo non vogliamo certo disconoscere il razzismo strutturale che permea la società americana, ma questo è un altro paio di maniche. Con lo stesso metro di giudizio, allora, si dovrebbe concludere che proprio l’Italia è un paese profondamente razzista, posto che, come leggiamo da una pubblicazione specializzata del dicembre 2019, “ I detenuti stranieri delle carceri italiane sono 20.324 che costituiscono il 33,6% del totale dei detenuti. Si tratta di una importante sovra rappresentazione dato che gli stranieri residenti costituiscono l’8,7% della popolazione residente complessiva”.

Ed ovviamente non è così, anche se  il bello è che molte teste infiammate lo credono realmente, a sprezzo del ridicolo.

Ma d’altro canto, non a caso nel nostro Paese, in situazioni similari a quella statunitense, si è potuto finire nell’assurdo. Come leggere, altrimenti, le aberrazioni penali dei casi del carabiniere  Mario Placanica (disordini per il G8  di Genova del 2001) o dell’agente della polizia stradale Luigi Spaccarotella, condannato  a 9 anni ed 8 mesi di reclusione per aver provocato  durante il servizio, a titolo di un indistinto ed innominato dolo eventuale, la morte accidentale di una persona sospetta nel corso di un inseguimento. Otto mesi in più di quelli inflitti all’uomo che l’anno scorso in Sicilia, alla guida di un SUV e sotto l’effetto di stupefacenti, travolgeva uccidendo due cuginetti undicenni. Boh! Ed  è infine singolare che si trovi il tempo di manifestare per la democratica America di Trump e non per il totalitarismo liberticida della Cina e del Venezuela.

Nelle immagini di repertorio, i noti fatti di Genova che coinvolsero il carabiniere Mario Placanica

 

Proteste dei poliziotti americani a seguito della vicenda Floyd