DECÒ CASERTA. Nuova società ma vecchia gestione: non è un caso che i risultati siano i medesimi. Assurdo contestare staff e giocatori ma non la proprietà
10 Maggio 2019 - 15:58
CASERTA – È una consolidata teoria che fa parte della pallacanestro, e dello sport in generale, quella secondo la quale senza una società forte e presente, le squadre, in campo, tendano a perdersi. Certo, ci sono delle eccezioni, ma si contano sulle punta delle dita di una mano.
È in questo quadro organizzativo che bisogna dover collocare ed inquadrare l’ennesimo fallimento sportivo (su quelli avvenuti nei Tribunali stendiamo un velo pietoso) di una Caserta cestistica incapace di ottenere risultati soddisfacenti dalla stagione agonistica 2009/10, quella che portò alla semifinale scudetto persa in gara-5 contro l’Olimpia Milano. Da quel momento in poi si è raccolta una retrocessione su campo, salvezze all’ultima giornata, playoff mai più raggiunti in A, un fallimento societario ed un’uscita al primo turno dei playoff di Serie B da parte di una squadra che avrebbe dovuto, sulla carta, far un sol boccone dalle avversarie.
Le società sportive sono sempre più accostate a vere e proprie aziende, ed in tal modo devono essere ritenute anche in rapporto alla loro gestione nonché in riferimento alla strutturazione organizzativa per esse previste: ad esempio secondo Henry Mitzberg, uno dei maggiori studiosi delle teorie dell’organizzazione aziendale, una poco chiara, se non assente, struttura organizzativa può creare, all’interno dei gruppi di lavoro, delle incertezze, dei timori o uno scarso livello di responsabilità tali per cui gli obiettivi di efficacia ed efficienza diventano più difficilmente raggiungibili. Tutto ciò vale per ogni tipo di ambiente lavorativo, ivi incluso quello di matrice sportiva. L’assenza del capo, ovvero di colui che detiene il potere disciplinare e di controllo, fa sì che determinati livelli di attenzione possano calare.
L’assenza di una presenza (scusate il gioco di parole) di riferimento all’interno della Decò Caserta, in cui il pur bravo e professionale Antonello
Al termine di questo lungo preambolo appare dunque chiaro che, qualora i risultati sportivi fossero stati quelli sperati, si sarebbe assistito ad una specie di miracolo messo in piedi da Oldoini e Nevola. Sì, avete capito bene. La promozione, visti questi presupposti, sarebbe stata un miracolo vero e proprio.
Non capiamo invece le critiche rivolte a questa squadra, inteso come gruppo di giocatori e staff: Caserta ha semplicemente mostrato, in queste gare di maggiori tensioni, tutte le problematiche che erano emerse durante il campionato, con un fattore di espansione maggiorato dovuto alla necessità di dover fare risultato. I problemi nel contenimento del pick’n’roll ne è il miglior esempio, così come la poca presenza in post basso, eccezion fatta per le giornate in cui Dip si è mostrato in stato di grazia.
Ma criticare l’impegno di questi ragazzi capaci di vincere in stagione regolare ben 27 partite su 30 ci sembra eccessivo. Come al solito il tifo casertano passa dall’adorazione alla lapidazione in un pochi secondi, ed un gruppo di campioni è divenuto un gruppo di brocchi improvvisamente. Non ci sembra che sia mancata voglia, attaccamento, professionalità. La squadra è purtroppo arrivata al momento clou della stagione nella peggiore condizione possibile: Hassan inserito di fretta e furia ha dovuto trovare in queste partite un differente approccio vista la presenza di Ranuzzi, con il quale in pratica non aveva mai giocato. L’assenza di Valentini non ha coperto le spalle a Dip e lasciato l’area vuota quando l’oriundo era in panca. Petrucci ha continuato a prendere gli stessi tiri insensati che, però, in stagione regolare aveva sempre messo. Perché abbia deciso di smettere sul più bello dovete chiederlo soltanto a lui.
Le critiche piovute su Oldoini ci sembrano onestamente immeritate, a maggior ragione tenendo conto delle considerazioni di cui sopra, con il coach che, per tutta la stagione, non ha di certo dovuto fare solo il coach. Stesso discorso vale per Nevola.
Le vere domande, la vera rabbia, dovrebbero essere indirizzate verso quello che è il comune denominatore di tutti i fallimenti, sportivi e non, di questi ultimi anni.
Che arrivi una contestazione alla squadra, con i giocatori insultati mentre lasciavano il campo, e non alla società, fa davvero sbellicare dalle risate.
Come prendersela con i bambini per gli errori del papà. È il tipico errore dei codardi. Fare i forti con i deboli ed essere deboli con i forti.
Ruben Romitelli