L’EDITORIALE. Gli opposti estremismi di Salvini e del membro del Politburo Roberto Saviano. Ma il leader della Lega fa male se non riflette sulla gente in odore di camorre e ‘ndrangheta che sta imbarcando nel suo partito

26 Giugno 2018 - 13:19

CASERTA (g.g.) – Lo scontro tra opposti estremismi ha prodotto, in altri tempi e in altri contesti scintille potenti, ben in grado di amplificare questo scontro, inizialmente solo dialettico, tra elites culturali, in vere e proprie guerre o in episodi di violenza fisica.

L’italietta di oggi è tale perché tutto è banale e dunque anche uno scontro tra opposti radicalismi diventa solo un divertimento per le televisioni all-news e per i giornali, pieni di cronache e di improbabili retroscena dal Palazzo, scritti da giornalisti, i quali, forse senza accorgersene, hanno realizzato una specie di trasformazione genetica che potremmo minimizzare anche nel proverbio “chi va con lo zoppo…”: le cosiddette penne parlamentari, i vari quirinalisti, sono diventati più politici dei politici e più politicanti dei politicanti.

Il ministro degli Interni Matteo Salvini e lo scrittore Roberto Saviano, quest’ultimo afflitto dal vizietto del plagio e del “copia copiassa”, solo che lui l’esame lo passa sempre, protetto dagli ormai più stucchevolissimi maitre

a penser della sinistra borghese (non è più un ossimoro dai tempi di Montanelli e dei radical chic) e delle anime belle di quella buonista e pauperista, hanno messo in scena una tipica scenetta all’italietta, che si inscirve, a buona regaione, alla categoria del chiacchiericcio  a quella degli scontri tra estremismi all’acqua pazza, destinati ad evaporare in 24 ore.

Matteo Salvini non è moderato, non lo è soprattutto per il modo in cui espone le sue idee. Ha il phisique du role dell’uomo forte al comando delle operazioni. E’ rassicurante per chi cura soprattutto il lato pratico della vita, insomma, appartiene  a quel “tipo umano” al quale gli italiani hanno sempre riservato, seppur in maniera temporanea, data la loto notoria volubilità, riverenza e ammirazione.

A pensarci bene e a guaradre bene, senza gli occhi infilati del prosciutto dell’ideologismo strepitante che si ode in questi giorni, non sta facendo, sulla questione dei migranti, nemmeno il 5% di quello ciò sta facendo Malta o di quello che fece l’ipocrita Francia quando manganellò i migranti, compresi bambini e donne incinte alla frontiera di Ventimiglia. In termini assoluti, relativamente al programma che si propone di realizzare, Salvini è un moderato ma per come lo espone è un radicale, ovviamente con la erre minuscola.

E passiamo al radicalismo di Roberto Saviano: lo guardate in faccia e capite subito che porta con sé una fisiognomica tutt’altro che rassicurante. Tenebroso, non affatto brutto, occhi che ti scrutano con severità e con una tensione fotografica degna di un agente del Kgb.. Un sorrisi? un vero e proprio sconosciuto nella sua genetica.

Va da sé  e non stupisce di queste caratteristiche, che di fronte all’allusione fatta da Salvini sulla possibilità dell’alleggerimento dei costi della scorta dello scrittore, quest’ultimo abbia reagito con un offesa, chiamandolo il ministro “buffone“, cosa che, a parti invertite, avrebbe determinato di sicuro l’intervento di 6/7 premi Nobel e di Amnesty International, con tanto di fanfara degli storici giornaloni della sinistra, da Le Monde a El Pais fino ai nostrani La Repubblica e L’Espresso, per una volta in piena consonanza con Il Manifesto.

Però, Salvini compirebbe un grosso errore a non valutare con attenzione il contenuto dell’attacco portatogli da Saviano. Vedete, chi scrive, di tutto può essere accusato, fuorché di essere un corifeo dello scrittore napoletan-liternese. Gli ho risposto colpo su colpo ogni volta che lui ha mi ha attaccato per un famoso titolo del Corriere di Caserta da me diretto. Degli affondi insistiti, fondati su un’apoditticità degna di un componente del Politburo di Leonid Breznev.

Detto questo, siccome noi a differenza di Saviano e dei suoi compagnelli comunisti, perseguiamo stabilmente l’obiettivo della piena manifestazione di un’onestà intellettuale tipica, invece, delle dottrine e delle prassi liberali, non possiamo non riconoscere che il passaggio dello scrittore sul comizio di Salvini a Rosarno è tutt’altro che infondato.

Anzi, aldilà della pulsione emotiva e politica che ha generato quel racconto, Roberto Saviano ha pienamente ragione quando ha stigmatizzato certe adesioni che la Lega sta facendo nel Meridione e che presto potrebbero snaturarla, in maniera paradossale, come andremo a spiegare nei prossimi giorni, visto che l’argomento è complesso e ha bisogno di un ragionamento consistente e non eccessivamente sintetico.

Se il ministro degli Interni va a Rosarno e non para di ‘Ndrangheta, finisce per assomigliare più ad Antonio Gava che a un rottamatore degli antichi vizi italici. Se Salvini è intelligente, e, secondo me, lo è; se Salvini non è stato già colpito da un attacco di vertigini da super potente dovrà per forza riflettere sulle scelte compiute al sud. Tutte sbagliate.

Scelte di cui potrebbe pagare dure conseguenze in futuro. A partire dalla Campania dove, al leader di fatto Enzo Nespoli, già sindaco di Afragola e nume tutelare della neo sottosegretaria Pina Castiello, manca solo un grado di giudizio, la Cassazione, per incassare definitivamente una condanna durissima, 6 anni e mezzo, per bancarotta fraudolenta che lo porterebbe in carcere, dove la Castiello tornerebbe a far visita dopo le diverse incursioni fatte nei penitenziari dove era recluso Nicola Cosentino.

Non è questione solamente di imbarcare politicanti che sono tutto quello per cui la Lega è nata e ha combattuto. I politicanti dell’eterno trasformismo meridionale, della gestione parassitaria. Ce ne sono tanti, adesso, con Salvini, tra Sicilia, Calabria e Campania.

La sortita di Roberto Saviano potrebbe, inoltre, anche essere il sintomo di un’attenzione e una tensione delle magistrature antimafia proprio nei confronti di questi virtuosi della giravolta, riusciti a innalzare o inabissare (questioni di punti di vista) lo storico trasformismo meridionale alla sua quintessenza, fagocitando e rammollendo gattopardescamente, quelli che volevano fare la rivoluzione tracciando i nuovi confini nazionali subito dopo Firenze.