ESCLUSIVA. Bene bene, la camorra si mette a lavorare: Maurizio Capoluongo, condannato a 28 anni, è stato assunto da un’impresa del Tarì di MARCIANISE. Uno scandalo? No, a condizione che…
15 Giugno 2022 - 12:35
Amico per la pelle, insieme a suo fratello Giacomo, di Michele Zagaria, è stato coinvolto in decine di indagini dell’Antimafia. Questo non vuol dire che non debba avere la possibilità di cambiare vita, anche se a dire il vero, dovrebbe farlo almeno prendendo le distanze dal clan, cosa che non ha fatto. Ma questa notizia, anche per quelle che sono state le polemiche, costellate da querele, finite nel cestino ma che comunque ci hanno obbligato a sostenere sforzi e spese legali, tra noi e il consorzio orafo marcianisano, ha bisogno di una trattazione seria, equilibrata ma assolutamente ferma, perchè in questa terra troppe commistioni e troppi collegamenti più o meno diretti, più o meno indiretti esistono ancora tra il mondo economico e quello criminale
SAN CIPRIANO D’AVERSA – (Gianluigi Guarino) A noi fa piacere acquisire informazioni su atti di resipiscenza compiuti da camorristi più o meno conclamati, i quali cercano e trovano un lavoro da cui trarre sostentamento.
Oddio, la parola sostentamento associata a quella Capoluongo, crea una reazione chimica che la scioglie come se andasse a reagire improvvisamente ad un acido. Sostentamento, termine che riporta a un concetto di difficoltà economica, è infatti una contraddizione, un ossimoro del cognome dei due fratelli sanciprianesi. Perchè i Capoluongo sono due fratelli che hanno contato, in termini di peso specifico economico, probabilmente, finanche più dei boss di avanguardia, dei boss di prima fila del clan dei casalesi. Le loro attività imprenditoriali hanno consentito a Michele Zagaria, per fare un esempio, di cominciare a guadagnare qualche soldo nel settore dell’edilizia, quale loro dipendente, rigorosamente nell’ambito dei lavori di movimento terra.
Per diverso tempo non sono stati neppure bersaglio delle principali attività investigative, quando queste erano assorbite pressochè completamente dalle divese cacce al latitante che hanno scritto pagine indimenticabili, spesso romanzate e romanzesche, sicuramente iper-mediatiche.
Poi, quando la magistratura ha concentrato i suoi sforzi sulla camorra economica, sui grandi flussi di danaro movimentati, leggasi riciclati, sul reticolo, impressionantemente fitto di imprese che a questa attività erano e in parte sono ancora, dedicate (parliamo di centinaia e centinaia di milioni di euro), i Capoluongo sono diventati giocoforza un target privilegiato di tantissime indagini e a loro modo, delle piccole star dei resoconti giornalistici.
Quando si è parlato di loro, non si è mai iniziato un ragionamento che non fosse connotato da una cifra a 7 o addirittura a 8 zeri. Hanno contato sempre e hanno goduto di un rispetto che ad esempio ha consentito a Giacomo Capoluongo di rompere, senza sopportarne conseguenza, l’antico idillio con Michele Zagaria, fondato, scusateci questo piccolo schizzo di ironia, su quel rapporto di disponibilità, di educazione alla vita e al lavoro che poi ha prodotto i risultati che ha prodotto.
Quando, così come si legge nella celeberrima ordinanza-Jambo del dicembre 2015, sicuramente un’altra occasione perduta dallo stato in considerazione del modo con cui questo amministra, oggi e da allora, il centro commerciale di Trentola attraverso amministratori giudiziari di dubbia capacità e di dubbie competenze (vogliamo essere buoni e prudenti), dicevamo, quando Michele Zagaria, da controllore di tutto ciò che accadeva nel territorio di questo comune, da lui stra-dominato, non si mosse affinchè la farmacia comunale fosse data a Luisa Guarino, tra le altre cose, a sua volta coinvolta, nell’ottobre scorso, in una maxi ordinanza, naturalmente su una holding che attraverso fatture false riciclava somme impressionanti, provento di attività camorristica, lui, il marito, Giacomo Capoluongo, se la legò così al dito da piantare Michele Zagaria, passando baracche e burattini, nel gruppo di Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan, così come emerge dalle dichiarazioni che proprio Nicola Schiavone ha rilasciato in decine e decine di verbali, firmati al cospetto dei magistrati della Dda e degli uomini più avveduti e preparati della polizia giudiziaria.
Giacomo, fratello di Maurizio. Ed è proprio Maurizio l’oggetto di questa notizia di oggi. Abbiamo saputo, e ne siamo certi, che il noto pregiudicato che nel luglio 2020 (in calce a questo articolo, il testo integrale della sentenza) si vide respingere dalla Corte di Cassazione un ricorso, presentato dai suoi avvocati, finalizzato a ridurre sostanziosamente un cumulo di pene di 28 anni di reclusione, attraverso l’applicazione dell’istituto della continuazione del reato, ha chiesto di essere assunto in una delle attività imprenditoriali che si sviluppano all’interno del Tarì.
Tarì, sei ancora qui. Mo’, che facciamo, un’altra querela come quelle che avete fatto in passato e che hanno fatto ridere letteralmente i polli, in quanto relative ad articoli in cui CasertaCe rimproverava la governance (si fa per dire) di questo consorzio di gioiellieri che opera nella zona industriale di Marcianise, una grave carenza nel controllo sulle attività ospitate, le quali al tempo in cui scrivevamo di articoli “incriminati”, venivano perquisite, sequestrate un mese sì e l’altro pure dalla Guardia di Finanza, con tanto di comunicati stampa, in un periodo in cui (ricordate?) impazzavano in ogni dove i compro oro, altra spudorata cinghia di trasmissione delle attività di riciclaggio, ormai pressochè spariti dalla scena.
Se Maurizio Capoluongo ha chiesto e a quanto pare ha ottenuto l’assunzione, ne siamo felici esattamente come lo fummo al tempo in cui scoprimmo che l'”ottimo” Filippo Capaldo, nipote ed erede designato di Michele Zagaria, era stato assunto da direttore commerciale o qualcosa del genere, in uno dei supermercati di Paolo Siciliano, imprenditore marcianisano, super indagato e tanto presente nei nostri archivi che, onestamente, se qualcuno non sa di chi stiamo parlando, basta scrivere Siciliano nel nostro motore interno o in google e gli esce un’enciclopedia.
Come ci complimentavamo al tempo con Filippo Capaldo che aveva deciso di trovarsi un lavoro, abbandonando dunque, almeno sulla carta, almeno in teoria, la “professione” di camorrista, così oggi ci complimentiamo con Maurizio Capoluongo per essere entrato nel mondo che, mai come in questo caso, possiamo definire dorato delle gioiellerie Tarì.
Sopravvive in noi solo una curiosità residuale: siccome, ma non è certo il, almeno fino a prova contraria, il caso di Capoluongo, queste assunzioni servono anche a dar riscontro alle necessità e ai requisiti per allentare la morsa delle misure restrittive, di sorveglianza speciale, di prevenzione eccetera, la direzione, la governance, si fa per dire, e sono due, del Tarì è a conoscenza della presenza nei libri paga, nei ruoli di una delle attività ospitate, di Maurizio Capoluongo?
Se sì, no problem. Per carità, se Maurizio Capoluongo va a lavorare ogni mattina, se Maurizio Capoluongo si è messo alle spalle il proprio passato, i viaggi, manco a dirlo, anche quelli dorati, che faceva con Michele Zagaria, a tutte le latitudini, spaziando, come racconta il collaboratore di giustizia Massimiliano Caterino detto o mastrone, forse il rpimo luogotentente di capastorta “Uessey”, cioè tra gli Stati Uniti d’America e Parigi, dalla Romania fino agli antipodi australiani; se Maurizio Capoluongo, si è messo alle spalle quei meeting, una cosa nettamente più evoluta, più elegante di un volgare summit di camorra, che si svolgevano a casa sua o a casa di suo fratello Giacomo e durante i quali Michele Zagaria con i Rolex che fioccavano sui polsi dei presenti come fa a Cortina nel mese di gennaio, incontrava le partite Iva, le visure camerali più accorsate della provincia di Caserta, di quella di Napoli e non solo; se Maurizio Capoluongo accetta di convivere dopo essersela messa alle spalle con il ricordo della sua prima condanna penale, che forse come i primi amori non si scorda mai, datata 1989, allora, ok, saremo noi per primi, liberali sul serio e non, a proposito dei Rolex, a orologeria o con modalità selettiva, a difendere la presenza di questo imprenditore in uno degli organici delle attività ospitate nel Tarì.
Però, deve essere veramente così, non per finta e soprattutto aspettiamo dalla governance (in quel caso elimineremmo anche l’ironia del “si fa per dire”) una dichiarazione nella quale, in nome del liberalismo, in nome della civiltà che deve garantire ad ogni persona la possibilità di ritornare dentro al perimetro della legge, degli ordinamenti, del rispetto altrui, in nome dell’azienda che dice di essere, predicando bene e dunque riteniamo razzolando di conseguenza come una inquadratissima e disciplinatissima batteria completa di polli della famiglia Amadori, il Tarì, tra i nostri applausi, si assuma la responsabilità e rivendichi a viso aperto la piena titolarità di una scelta che a quel punto sarebbe coraggiosa, dell’assunzione di Maurizio Capoluongo. Di una scelta che non è vietata, che non è impossibile a priori, che un liberale vero non può additare pregiudizialmente come equivoca, ma che è comunque una scelta importante, per il rilievo criminale avuto dalla persona coinvolta nella stessa.
Una scelta possibile, ma rispetto alla quale solo una cosa non può e non deve succedere: che rimanga sotto traccia, che nessuno ne venga a conoscenza.