Il bancomat della famiglia Sandokan. Il racconto della Nappa: Monaciello a Parigi per tirare fuori dal carcere mio marito e per pagare brevi manu l’avvocato Paolo Trofino
23 Luglio 2024 - 19:06
Il racconto della testimonianza in aula della consorte del capo del clan dei casalesi non va utilizzato per carpire elementi morbosi relativi all’attività di autorevolissime toghe. Semplicemente perché la relazione tra questi grandi avvocati e il cugino di Sandokan è un elemento processuale molto significativo nella costruzione da parte del pubblico ministero degli elementi con i quali chiederà la condanna del cugino del super boss, dell’uomo che aveva scalato tutti i gradini sociali nella Capitale e che parlava da pari a pari con grandi poteri dello Stato e probabilmente anche con quelli vicini alla massoneria
CASAL DI PRINCIPE/AVERSA – (g.g.) Non c’è che dire: l’interrogatorio dibattimentale, a cui si è sottoposta, come testimone citata dall’accusa, lo scorso 10 luglio Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone Sandokan fondatore e capo del clan dei casalesi, passerà alla storia come l’esame e il controesame degli avvocati.
Qualcuno potrà pensare che il sole forte stia completando il suo sporco lavoro scimunendo definitivamente chi scrive.
Come fa a passare alla storia un interrogatorio con esame e controesame degli avvocati, se ciò è perfettamente normale dato che sono gli avvocati, insieme al pubblico ministero, insieme al presidente del collegio giudicante ed eventualmente insieme ai legali di parte civile, i normali, ortodossi protagonisti di un’esposizione testimoniale?
E no, sapete che a noi piace cazzeggiare un po’ e giocare con le parole e con le frasi. Per cui l’espressione “esame e controesame degli avvocati” va letta con un senso diverso. Mai infatti avvocati, per altro presenti anche come parti processuali, sono stati così frequentemente oggetto delle dichiarazioni di una testimone, e che testimone, visto che stiamo parlando della moglie di uno dei 10 criminali più importanti del mondo del XX secolo.
Abbiamo già ampiamente scritto in un paio di articoli dei paradossi, degli imbarazzi prolungatisi nelle varie sequenze di parole pronunciate da Giuseppina Nappa sul ruolo dell’avvocato Esposito Fariello che in questo processo difende l’imputato principale ossia Nicola Schiavone Monaciello, cugino di Sandokan e casalese salito più in alto nei salotti buoni e super buoni quelli che magari hanno lambito anche una o più logge massoniche.
Esposito Fariello difensore della Nappa, di Nicola Schiavone junior, oltre che dello stesso Monaciello veniva pagato, secondo la testimonianza di lady Schiavone proprio dal cugino milionario per le difese di tutti i componenti della famiglia
Facendo un passo indietro e tornando all’interrogatorio dell’esame di Giuseppina Nappa ad opera del pm della Dda Graziella Arlomede, il ruolo da stabile bancomat di Nicola Schiavone Monaciello era molto più datato rispetto ai tempi delle difese di Esposito Fariello a favore di Giuseppina Nappa in carcere per 11 mesi per il reato di riciclaggio con aggravante camorristica e poi condannata a due anni con un’interdizione dei pubblici uffici di 4 anni di cui la moglie del capoclan non aveva compreso la portata al punto che era tornata ad insegnare visto che a suo dire Esposito Fariello non l’avrebbe a suo dire avvertita del pericolo, materializzatosi poi, con il licenziamento in tronco.
Giuseppina Nappa parla dell’arresto di suo marito avvenuto in Francia nel 1989. Anche in quell’occasione sul posto sarebbe arrivato Nicola Schiavone Monaciello portando con se il noto avvocato aversano Paolo Trofino che avrebbe preso le redini della difesa di Sandokan riscuotendo l’onorario da suo cugino.
Insomma, Esposito Fariello ma anche Paolo Trofino al bancomat di casa Schiavone. E siccome questi episodi sono considerati dalla pubblica accusa importanti per consolidare lo status di sodale e di associato di Monaciello, gli avvocati in questione non possono adirarsi più di tanto se il loro nome entra a far parte dei verbali di questo processo come strutture probatorie.
Naturalmente stiamo scartando tutta una serie di cose dette in dibattimento da Giuseppina Nappa e che a suo tempo abbiamo già scritto, setacciando le ordinanze e i contenuti degli interrogatori che l’ex professoressa aveva reso ai pubblici ministeri e agli uomini della polizia giudiziaria e che oggi è chiamata a confermare visto che nel rito processuale ordinario la prova si forma in giudizio.
Tante volte infatti abbiamo scritto delle prime lussuose case di Monaciello e di suo fratello Vincenzo Schiavone nelle accorsatissime eleganti strade di Posillipo ossia via Petrarca e via Manzoni. Stesso discorso per l’impresa, costituita negli anni 80 da Francesco Schiavone e da suo cugino con altri soci giuglianesi e su cui circa un anno e mezzo fa. ci siamo soffermati quando abbiamo scritto che quell’ impresa è stata l’unica depositata presso una camera di commercio a contenere le generalità di colui che di li a qualche anno sarebbe diventato l’incontrastato capo del clan dei casalesi. C’ è poi un altro passaggio che duplica in pratica quello da noi già scritto visto che Giuseppina Nappa lo ribadisce anche in sede di controesame, sulla Smart regalata da Nicola Schiavone Monaciello all’avvocato Esposito Fariello. In verità, per la precisione, Giuseppina Nappa dice che questa auto fu acquistata affinchè ne beneficiasse il figlio del noto legale napoletano.