Il CLAN DEI CASALESI brucia e distrugge (forse) i beni confiscati: la Balzana, Masseria Abbate e…”O nostri o di nessuno”

2 Settembre 2020 - 14:22

In calce al nostro articolo che abbiamo dedicato volentieri all’unica giornalista italiana in grado di insegnare qualcosa sulle dinamiche socio-economico-criminali degli Schiavone & company, il link di un “pezzo” pubblicato ieri, con il quale eccezionalmente concediamo il nostro traffico a “quelli di Fanpage”

 

GRAZZANISE – Nell’articolo pubblicato ieri dal sito napoletano Fanpage a sua firma, Rosaria Capacchione fa due cose giornalisticamente importantissime: prima di tutto, svela fatti di cronaca che erano passati nei giornali locali in maniera ordinaria, come tanti altri incendi ed altri episodi di dubbia matrice e, sui quali, dopo averli definiti con la solita formula “cause in corso di accertamento“, anche CasertaCe, giornale grande per volume di lettori, piccolo per ristrettezza di mezzi che noi non andremo mai ad acquisire dove non bisogna acquisirli, pena la perdita della libertà, è stato costretto a mollare, non riuscendo a compiere ulteriori approfondimenti. Quelli che, invece, grazie alla sua esperienza e alla conoscenza storico-culturale dei macro fenomeni criminali di questa terra, ha fatto Rosaria Capacchione.

Partiamo dal primo episodio di cronaca nuda e cruda: tre giorni fa, nel perimetro del comune di Grazzanise, dunque al centro di quella piana dei Mazzoni, da cui alcuni decenni fa, è partita la vicenda criminale della famiglia Schiavone, sono stati bruciati i campi attorno all’azienda agricola Selvalunga, che, scrive la giornalista, è appartenuta un tempo alla famiglia di Francesco Schiavone Sandokan

e di Francesco Schiavone Cicciariello, suo cugino e principale protagonista dell’economia agricola di questa famiglia.

La Capacchione ci ricorda che questa proprietà in parte è stata, in parte confiscata e in parte è nella disponibilità di Antonio Schiavone, fratello di Francesco Schiavone Sandokan e, aggiungiamo noi, genero di Salvatore Sestile, dominus del grande ristorante per cerimonie La Contessa di Giugliano, sul quale, già vi anticipiamo, dovremmo tornare tra oggi pomeriggio e domani mattina, perchè “questo qui” ci ha fatto scrivere da due avvocati, i quali hanno convocato me davanti ad un organismo di conciliazione, chiedendomi, udite udite, anzi, leggete leggete, 40mila euro di danni perchè CasertaCe “lo avrebbe messo in mezzo a cose“, rispetto alle quali lui si dichiara completamente estraneo.

Ma questa è un’altra storia che poi andremo a sviluppare meglio, dando ad Antonio Schiavone quello che è di Antonio Schiavone, cioè quello che appartiene per diritto ad un cittadino, il quale non ha ricevuto al momento condanne passate in giudicato e nemmeno parziali, cioè di primo o secondo grado. Dopo aver attribuito priorità al diritto del cittadino Antonio Schiavone, spiegheremo, rivendicando il diritto che ne sovraintende l’espressione, i motivi per i quali il cittadino Antonio Schiavone, fermo restando il rispetto che gli è dovuto come persona, è comparso e comparirà ancora nei nostri articoli.

Ma non perdiamo il filo: la Capacchione che, beata lei, è sempre riuscita e ancora di più riesce oggi a lavorare bene alla fase dello studio e della documentazione, ricorda ancora che l’azienda di Selvalunga, stiamo parlando di quella confiscata, “è destinataria di due distinti progetti di riqualificazione: il primo, più importante, per la ristrutturazione di casa colonica e stalle; l’altro, per la costruzione di un’isola ecologica.”

Gli articoli della Capacchione, ci confortano soprattutto quando l’autrice colloca e connette, in un unico arco temporale, spesso significativamente esteso, più fatti. Se neppure lei può affermare che questi siano intimamente, strettamente collegati tra loro, rivendica il diritto-dovere del buon giornalista, di non sottovalutare, fino a farla scomparire, la citata connessione temporale.

Per cui, se nella procedura di un bene confiscato, si sviluppa una gara finalizzata a rideterminare definitivamente la sua identità e il suo utilizzo, va deserta e dopo pochi giorni, come scrive l’ex prima firma de Il Mattino, un incendio doloso determina quello che ha determinato, beh, non è detto che necessariamente esista un collegamento una causa e un effetto, ma allo stesso tempo, come spesso diciamo anche nei nostri articoli, il giornalista deve, ripetiamo, deve evidenziare la vicinanza di due fatti, non scartando l’ipotesi, perchè solo di ipotesi si può trattare, che tra loro esista un nesso logico.

Secondo fatto di cronaca: a fine maggio, mentre tutti pensavamo al lockdown, qualcuno che magari grazie al lockdown si è mosso anche in maniera più agile disinvolta, ha pensato bene o male (questione di punti di vista) di far crollare, sempre in quel di Grazzanise e sempre nella piana dei Mazzoni, il ponticello che scavalca il canale “Ciccio Villano”. Ciò, scrive ancora la Capacchione, ha prodotto “una diga di legno e calcinacci che in poche ore avrebbe dovuto allagare il Consorzio di Bonifica e la Balzana“.

Qui possiamo proseguire anche fuori dal testo originale della giornalista. Non occorre, infatti, una conoscenza profondissima delle vicende riguardanti la famiglia Schiavone per sapere che la Balzana è stata considerata per anni e fino a poco tempo fa, una sorta di gioiello di famiglia, una tenuta, “con le sue decine di ettari di terreno fertilissimo e il villaggio – con scuola, chiesa e case per tecnici e operai – al servizio della comunità”, il tutto con il marchio Cirio. Oggi quella tenuta è nelle mani del Consorzio Agrorinasce ed è destinataria di 20 venti milioni di euro, finalizzati a mettere insieme i cocci di un’azienda di cui si vuole conservare la matrice originaria per quel che riguarda la sua mission produttiva e socio economica.

Terzo fatto di cronaca. Qui ritorna sulla scena un luogo storico e in qualche modo, della battaglia tra lo Stato e il clan dei casalesi: la Masseria Abbate in quel di Santa Maria La Fossa, confiscata a Francesco Schiavone Cicciariello.

Il 28 giugno scorso, l’anomala scelta dolosa di tipo idrico connessa all’atto relativo al canale “Ciccio Villano”, è stata avvicendata dal ritorno al modello tradizionale dell’attentato incendiario. Nel dettaglio, sono cose che apprendiamo sempre grazie all’articolo di Rosaria Capacchione, “un incendio ha completamente distrutto il raccolto di grano, dieci ettari di spighe pronte per la raccolta ridotte a tizzoni neri“, in pratica l’intera dotazione dell’ultimo raccolto del cereale per antonomasia, targato Masseria Abbate. Non una coltura da dopo lavoro, ma un’attività agricola di altissimo profilo, esercitata dalla Integra che, da tre anni, produce grano per la Barilla.

E questi sono i tre fatti di cronaca. Qui vi invitiamo a leggere con attenzione l’ultima parte dell’articolo della Capacchione. Si tratta, infatti, di un contenuto che stampa a lettere di fuoco (dato che ci troviamo in argomento) il marchio doc sul lavoro di una professionista la quale, ancora oggi, fa la differenza e rappresenta il meglio che c’è nella narrazione, nel racconto dei fatti riguardanti il clan dei casalesi.

Perchè proprio questo sarebbe il momento pericoloso di cui abbiamo scritto prima, cioè il momento della deduzione logica: la camorra è tornata, chi sta oggi a piede libero tra i componenti della famiglia Schiavone può essere più o meno collegato, ma non necessariamente deve essere così, ad un contesto di azioni criminali di cui, come ipotesi di mera scuola, di fronte a un foglio bianco di un’attività investigativa, può, a sua volta, essere anche vittima.

Insomma, nel tempo presente, in considerazione di tutto quello a cui abbiamo assistito nel perimetro del circo  dell’anticamorrismo e dell’antigomorrismo che hanno imbottito di quattrini tanti conti in banca, diventa fondamentale, per allontanare il rischio di cui parliamo, riempire di contenuto anche una semplice ipotesi di connessione.

Per cui, la Capacchione scrive, così come abbiamo appena fatto anche noi, che forse sarà un caso ma…. e qui si capisce perchè il background, il retroterra di conoscenza, di vissuto non sono ancora stati storicizzati, non sono ancora diventati argomento per i professori universitari che ci spiegano, attraverso la storia, da dove veniamo e dunque “perchè siamo”, bensì rappresentano, ammesso e non concesso che questa generazione di investigatori abbia l’umiltà di capire, di studiare, strumento per intervenire affinchè il clan dei casalesi non rinasca così come molti segni (nelle scorse settimane abbiamo scritto di alcuni rampolli di noti boss già ricchi grazie al traffico degli stupefacenti) fanno, al contrario, presagire, ritenere e temere.

La famiglia Schiavone ha una matrice agricola. L’agricoltore di una volta o, quantomeno, la maggior parte di chi esercitava questo mestiere, ha avuto un rapporto con la proprietà molto simile a quello che, a suo tempo, Giovanni Verga ha raccontato declinando “la cultura della roba“. Una relazione epidermica tra il contadino e la sua roba. Per cui, scrive lucidamente la Capacchione, collegandosi in tutta evidenza a questa matrice culturale, “O nostro o di nessuno“.

Ma su quale base si vanno a collegare gli ultimi episodi, gli ultimi attentati, a questo tipo di attività che lascia presagire tempi non semplici, visto e considerato che chi pensa ciò e soprattutto chi è capace di realizzarlo come disegno criminale di identità familaire, è persona viva e vegeta, attiva e non certo fiaccata o, addirittura, domata dai rovesci inflitti alla sua famiglia dalle indagini, dalle ordinanze e dalle fondamentali scelte di collaborare con la giustizia, pertendo da quella compiuta da Nicola Schiavone, figlio di Sandokan.

La connessione non è un’asserzione apodittica della Capacchione ma, come potrete leggere nel suo articolo, è scritta in una serie di episodi di quel passato che abbiamo già definito piuttosto remoto, allorquando gli Schiavone erano i protagonisti di episodi, poi finiti negli atti di tanti processi, che somigliano, anzi, addirittura sono significativamente sovrapponibili a quelli della recentissima cronaca, di cui Rosaria Capacchione ci fornisce dettagliata notizia.

Insomma, è un articolo di intelligenza. E siccome si tratta di un’intelligenza volta a fin di bene, cioè a mettere in guardia le istituzioni fornendo loro materiale inoppugnabilmente logico, non può non riscuotere il nostro applauso, meritando pienamente il tempo che abbiamo dedicato a questa preziosa analisi del testo.