LA TESTIMONIANZA. L’infermiere dell’ASL: “Io in prima linea contro il covid. Credo nel vaccino e nella voglia di rinascere”

18 Marzo 2021 - 15:30

Riceviamo e volentieri pubblichiamo nel giorno in cui l’Italia ricorda le vittime di questo epocale virus

“Con oggi abbiamo raggiunto un anno dalla comparsa del Covid nelle nostre vite: parlo di me, infermiere Covid impegnato nella lotta in prima linea, e di tutte le persone che come me, ogni giorno, indossano calzari e tuta bianca con doppia mascherina, di tutte quelle persone che operano per far sì che tutto questo quanto prima possa finire; di ognuno di coloro che accettano il compromesso di una ricompensa umana che è la gratitudine.

Lavoro ogni giorno con e per i pazienti positivi della mia ASL e dal momento in cui la campagna vaccinale ha preso piede, ho sentito il dovere, l’obbligo morale e deontologico di parlare del vaccino anti-Covid. Lo faccio nelle vesti di professionista sanitario, da infermiere, a nome di tutti quelli che per mesi sono stati considerati “eroi” e in nome di coloro sono divenuti nomi di fredde lapidi per provare a salvare altre vite; lo faccio anche nelle vesti di malato Covid, che comprende a pieno cosa questo virus comporta, avendolo vissuto sulla mia pelle. Per riuscire a dimenticare i giorni in completa solitudine, vissuti con la paura di potermi sentire male, con l’ansia di rivivere le stesse cose che hanno provato Piero, Maria, Giuliano, Andrea e un’infinità di altre persone, ma anche con la voglia di voler rivedere le persone che mi fanno bene, con la paura di non vivere più con la leggerezza di sempre.

È triste e a tratti angosciante vedere ancora il nostro stivale diviso per colori: la zona rossa che arroga a ciascuno di noi il diritto di uscire per fare “commissioni importanti”. Non funziona esattamente così ed è questa la chiave per cui ci hanno esortati e costretti a restare a casa, nonostante i denti stretti e i bisogni e le necessità.

Perché il vaccino per me è così importante e soprattutto perché ripongo in esso tanta fiducia? Questo dovremmo chiederlo a tutte quelle persone che purtroppo non ne hanno potuto beneficiare e a tutti i loro cari che non hanno mai potuto dirgli addio.

Mi spiego: quando mi hanno proposto di far parte di una squadra Covid ero un bel po’ perplesso, perché è troppo tempo ormai che i nostri mezzi sembrano essere insufficienti, è da troppo che sembra di essere fermi allo stesso posto.

Dopo mesi e mesi di lotte, qualcuno ha annunciato il vaccino. Il parolone! Qualcosa di così vicino alla via d’uscita in questo enorme labirinto. Che gioia solo pensare di non vedere più persone morire e che soddisfazione riuscire a finire un turno estenuante senza piangere alcun decesso. Che utopia non dover più sentenziare ai cari che aspettano con ansia, la fine dell’ennesima vita.
Il giorno dell’annuncio, mentre Laura andava in ospedale, ci siamo promessi che grazie a questa nuova via d’uscita, un giorno avremmo tirato fuori lei da questo incubo e tutte le persone che lo stavano vivendo. Ci speravamo proprio tanto: mai più litri di ossigeno a risollevare le percentuali, mai più pazienti in agonia e soprattutto lontani dagli affetti. Mai più stare tutti bardati con il telefono in mano per far sì che una videochiamata risollevasse per un po’ gli animi di persone che continuavano a sentirsi abbandonate.

Sembra ieri e invece dall’inizio dell’emergenza è già trascorso un calendario.

Ormai si sentono molto spesso dubbi e perplessità riguardo la questione vaccino anti-Covid. Dibattiti infiniti: dai saloni dei programmi televisivi alle testate giornalistiche, fino alla salumeria.
A malincuore, avendolo letteralmente toccato con mano, sento dire di tutto anche per quel che riguarda i vaccini, ma forse da vicino le cose sono un po’ diverse. Spesso mi capita di rispondere a chi mi chiede le solite cose:

“Perché dovrei farmi il vaccino?”
“Se tu sei in prima linea e sei già vaccinato, allora perché usi ancora la mascherina e i presidi?”
Vero.
“Io non mi vaccino, perché AstraZeneca ha ucciso delle persone”
“Questo vaccino non serve a niente se poi non ci protegge dalle varianti”.

L’ AIFA ha ritirato dal mercato “AstraZeneca” in seguito ad un lotto che ha generato diversi effetti collaterali ed in particolare tromboembolie, in fase di valutazione per riproporlo eventualmente sul mercato.
Vero.

Ma se parlassimo di percentuali? Il Regno Unito è a oggi il paese che ha somministrato più dosi del vaccino di AstraZeneca: 11 milioni. L’Autorità di controllo dei medicinali britannica (MHRA) ha rilevato tre decessi e 45 trombosi tra i vaccinati, condizione che non indica la presenza di un nesso di causalità, ma semplicemente un nesso temporale.
Resta il fatto che non necessariamente bisogna fidarsi di ciò che la scienza propone e l’Italia da buon Paese democratico lo ha messo in chiaro rendendo facoltativa la scelta del vaccino.

Pfizer è meglio di Moderna, AstraZeneca non è efficace…
Staremo qui a sentire mille teorie ed ogni tipo di ipotesi, ma la verità è che non esiste una verità assoluta. Potremmo stare a rispondere a qualsiasi interrogativo, ma ne sorgerebbero di nuovi in men che non si dica, alimentati dalle polemiche che sui social prendono il sopravvento. È un anno che si vive chiusi per una lotta che sembra tornare al solito punto di partenza e se c’è qualcosa che questa pandemia ha deciso di insegnarci è che non esiste una verità per quello che sta accadendo. La scienza va avanti e si fanno passi avanti, ma qualche caduta riesce a farci indietreggiare ogni volta.

I medici diranno che le percentuali di reazioni avverse sono minime e il vaccino ci sta spingendo verso la fine, i no-vax diranno che sono menzogne e tutto questo ha un solo fine speculativo. Potrei raccontare di persone che sono tornate ad avere la speranza, quella che tutti avevamo accantonato, grazie a quella dose che tanti raccomandano.

La prima volta che ci siamo bardati, coperti dalla testa ai piedi, eravamo completamente ignari della pericolosità di questo virus. Il saturimetro dava valori talmente bassi che si iniziava a supporre che l’apparecchio andasse sostituito. Quando Giovanni non ha iniziato più a rispondere alla terapia e quando l’ossigeno ha iniziato ad essere insufficiente, solo allora ci siamo resi conto che c’era qualcosa di troppo grande e completamente nuovo, confermato dalla sua perdita e quella di migliaia e migliaia di persone.

Ci sono notti in cui abbiamo avuto paura, perché calpestati dall’inquietudine degli ospedali pieni, i reparti con gente morente e le rianimazioni in collasso. E quando le persone hanno iniziato a stringerci con forza, chiedendo aiuto, è lì che abbiamo sgranato gli occhi perché l’ossigeno non bastava e la terapia non era efficiente.

Quando ho letto negli occhi di Matilde la speranza della rinascita grazie a questo passo in avanti, mi sono accorto che forse non tutto stava andando alla deriva.

Ogni giorno è triste vedere persone morire e portare con se bagagli infiniti di ricordi. E’ triste essere così impotenti e non riuscire a dare speranza, finire il turno ancora più stanchi del giorno prima, ma sempre più insoddisfatti ed è avvilente sudare e piangere sotto quella tuta impermeabile!

Ho visto persone chiedere e altre addirittura desiderare il vaccino e allora ho realizzato che quel fiore che segna la rinascita è proprio il simbolo giusto, perché davvero ci può risollevare.

Al di là delle statistiche, dei numeri e delle percentuali, la scienza non riesce ancora a riconoscere una soluzione efficace al cento per cento: Ma io, dopo aver visto la sofferenza, la solitudine la nostalgia, la paura, dopo aver conosciuto quanto è grande qualcosa di così astratto, da quando sono riuscito a vedere che si può uscire vincitori, testimone di piccoli traguardi e persone che potranno finalmente riabbracciarsi ho deciso che se c’è una minuscola luce in fondo al tunnel, significa che è quella la strada che vorrò seguire.

Da seguire per avere quel contatto che mi manca, quei sorrisi liberi da visi coperti, la mia divisa di tutti i colori, per riavere la solita spensieratezza, il solito lavoro fatto di successi e fallimenti, la solita gratitudine e il beffardo ricordo soltanto di questa triste pagina di storia.

Io in prima linea, con la voglia di rinascere, mi vaccino!”

Dott. Ciro Pozzuoli, infermiere Covid