La DOMENICA di DON FRANCO: “La preghiera per questi giorni di sofferenza”

22 Marzo 2020 - 15:00

22 marzo 2020– IV Domenica di Quaresima (A)

                                                                        L’UOMO: UN GIGANTE CIECO                                                                          

gruppo biblico השרשים הקדושים  

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La domenica “del cammino verso la fede”  Il cammino della fede è ben espresso dalle seguenti tappe: “Non credo … E’ un profeta … E’ da Dio … Credo nel Figlio dell’uomo”. Nelle catacombe romane, questo “segno” è dipinto sette volte, e sempre in riferimento al battesimo. Il segno (miracolo) descritto in questo brano è tra i più drammatici del quarto vangelo, per il violento contrasto tra verità-menzogna, tra luce-tenebre. tra coraggio-paura. Il dramma consiste nella progressiva illuminazione di chi è cieco, e nel progressivo accecamento di chi si crede nella luce. Il peccato dei farisei consiste nel considerarsi “vedenti” e invece sono ciechi e guide di ciechi; il cieco rappresenta l’uomo comune, che giudica le cose con il buon senso, senza i sofismi dei rabbini.

Questo racconto, lungo e minuzioso nei dettagli, converge tutto nell’atto di fede finale, che fa il cieco guarito quando si prostra davanti a Gesù: non una fede in Dio o nel Figlio di Dio, ma una fede nel Figlio dell’uomo (Gv 9, 35). L’espressione “Figlio dell’uomo” nei vangeli è usata solo da Gesù e da nessun altro. È una novità introdotta da Gesù! Si tratta di un’espressione semitica, “bar ’adam… figlio di Adamo! Adamo è lo stesso che uomo (Gen 4,25; 5,1.3; 1Cr 1,1; Tb 8,6; Sir 49,16), è l’umanità (Gb 14,1; Sal 8,5; 104,14). Dire “figlio di Adamo” è lo stesso che dire “l’uomo” (Is 51,12; 52,14; Sal 8,5; 45,3…). Quindi il vangelo di Giovanni racconta un percorso molto difficile, che ha come epilogo un atto di “fede nell’uomo”.

Non appena il cieco incomincia a vedere, incominciano anche le difficoltà: i vicini dubitano (Gv 9,8), i suoi genitori lo abbandonano (Gv 9, 20), i capi religiosi lo insultano (Gv 9,28) ed alla fine lo scomunicano (Gv 9,34). E’ un percorso di crescente solitudine: lo abbandonano la società, la famiglia, la religione. Bisogna soffrire tutto questo per credere veramente! Ma credere in cosa? In Dio? No! Nel Figlio di Dio? Neanche! Si tratta di credere nell’uomo. Questa è la cosa più difficile. Noi siamo disposti a porre la nostra fede nel potere, nell’onore, nel denaro, nella scienza, nell’esoterico ed in ciò che è strano. Crediamo nelle divinità, nei miracoli, nei riti, nei santi e nei guaritori. Il male più grave è che non crediamo nell’uomo. Per questo non lo rispettiamo, non lo trattiamo come merita, non lo amiamo, chiunque sia e comunque si comporti. Secondo il vangelo, non possiamo credere nel Dio di Gesù se non crediamo nell’uomo!

L’uomo: un gigante ma cieco!    Oggi è davanti a noi un fenomeno contraddittorio: mentre diventano più luminosi gli occhi della scienza, diventano invece più opachi gli occhi dell’uomo: “La terra, interamente illuminata dalla ragione, brilla all’insegna di trionfale sciagura” (Scuola di Francoforte). Sempre più distinti i nostri obiettivi scientifici, economici, politici; sempre meno distinti i valori dell’uomo, che diventa un mistero a se stesso: “L’uomo, uno zingaro sperduto in un universo gelido, che gli è totalmente indifferente” (J. Monod). La “luce di Cristo” può illuminare queste nostre tenebre. Prepararsi a fare Pasqua significa lasciarsi invadere da questa luce santa!

 Come l’acqua, anche la luce è uno dei simboli fondamentali della vita e della religione. Già nel racconto della Genesi, Dio, creando la luce e separandola dalle tenebre, mette ordine e distinzione nel “caos” primordiale, che diventa così “cosmos” abitabile. Una delle immagini più comuni per descrivere la condizione umana è quella della cecità. La Bibbia aveva già descritto l’uomo come “seduto nelle tenebre e nell’ombra della morte”. Qualcuno ha obiettato che si tratta di immagini riferite al tempo antico. Può darsi! A noi pare che la cecità faccia parte della condizione umana. A forme antiche di mali succedono oggi moduli nuovi di sofferenze: queste si rinnovano come le foglie di una pianta, ma il tronco resta. I supremi perché dell’esistenza esistono e resistono, come angosciose interpellanze conficcate nella carne dell’umanità. Perché vivo? Da dove vengo? Dove vado? Cosa mi aspetto? Cosa mi aspetta? In una parola: chi è l’uomo? Abbiamo costellato di missili gli spazi siderei, eppure l’uomo resta condannato al duro mestiere di vivere, l’uomo “geloso del suo pianto, sconfitto da domande ancora aperte” (S. Quasimodo). Abbiamo risolto il problema del “come” vivere, ma resta quello del “perché” vivere. Senza la soluzione di questo problema, l’uomo rischia di trasformarsi in un gigante cieco, come Polifemo, dalle immense potenzialità tecnologiche ma povero a livello epistemologico. Ci è utile ricordare anche il personaggio del romanzo di F. America: Karl Rossmann, un ragazzo di Praga costretto a emigrare negli Stati Uniti, viene a trovarsi prigioniero nell’ambigua realtà tecnologica di un mondo inesplorato, che al tempo stesso lo coinvolge e lo emargina. Non sa più dirigersi, perciò si disperde all’interno di un ingranaggio che lo trascinerà alla morte.

 Il cieco guarito: il santo patrono di tutti noi. Quando Shakespeare, Molière, Pirandello, leggevano questo episodio del “cieco nato”, certamente erano presi di ammirazione. Ci troviamo difatti davanti a una commedia piccola ma perfetta: un atto unico ma immortale, giocato ora sul dialogo a due, ora sulla sceneggiata corale, con episodi farseschi e improvvise aperture metafisiche. Gesù è il motore che mette e mantiene tutto in movimento. Ma anche il cieco guarito è un personaggio a tutto tondo; sembra essere uscito dalla penna non di un povero evangelista ma da quella di Dante o di Tolstoj. E’ coraggioso, perché difende Gesù di fronte ai suoi nemici. E’ dialettico, perché riesce a sbeffeggiare quei faziosi che escludono a priori il miracolo. Infine, di fronte a Gesù ritrovato, si apre tutto alla luce della fede. Dobbiamo pregarlo questo credente della prima generazione; potrebbe essere il santo patrono di tutti noi. Non siamo tutti, chi più e chi meno, ciechi? La nostra anima con quante diottrie ci vede? E se qualcuno contraddice la nostra fede, la sappiamo difendere con la convinzione e l’eleganza di questo povero giudeo?

L’uomo: misura di tutte le cose. Sembra che Gesù provasse gusto a portare novità nella Legge di Mosè e nel riposo del sabato. Ma era necessario, perché egli non era venuto a ripetere ma a perfezionare la Legge. Per esempio, di sabato, i suoi discepoli raccolgono delle spighe per nutrirsi; sempre di sabato, Gesù vede alla piscina un paralitico e lo guarisce; ancora di sabato, Gesù sfida i farisei nella loro sinagoga: un uomo con la mano rattrappita viene guarito, dopo la provocatoria domanda: “E’ lecito in giorno di sabato fare del bene o del male?”; infine, nel vangelo di oggi, Gesù, sempre di sabato, restituisce la vista a un cieco nato. I farisei, custodi dell’ortodossia ebraica, conclusero che Gesù violava il sabato, che era un indemoniato, e che andava tolto di mezzo. Misura di tutte le cose per loro era il sabato. Erano ciechi, come anche forse noi, quando ci limitiamo alla burocrazia della legge, che invece è e resta sempre funzionale e strumentale all’uomo, all’amore, alla vita. Le forme di cecità sono tante! Che dire, per esempio, dei genitori del cieco guarito? Si sono ritrovati un figlio guarito; quanti motivi per dire grazie, per annunziare il Signore! Invece, quando la verità li pone davanti ad una scelta coraggiosa, si nascondono nell’estraneità: “Ha l’età, chiedetelo a lui!”. Ma anche i discepoli erano nella cecità, vedevano un Dio terribile: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?”. E’ una grave responsabilità trasmettere un’immagine sbagliata di Dio. I genitori e i catechisti non lo devono dimenticare! Maria, salus populi, ci protegga da ogni male! Buona vita a tutti!

In questi giorni di sofferenza, silenzio, paura, vi invito a pregare il salmo 80. E’ stato composto circa 2500 anni fa ma sembra scritto oggi, per noi. Può aiutarci a resettare la nostra vita, a fare le scelte giuste, a riscoprire le piccole gioie, a pregare in maniera diversa…

O Dio, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi!

Tu, pastore d’Israele, ascolta, risveglia la tua potenza e vieni a salvarci.

Signore, fino a quando fremerai di sdegno contro il tuo popolo?

Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza.

Signore, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna,

proteggi quello che la tua destra ha piantato.

Da te non ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

O Dio, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi!