LA DOMENICA DI DON GALEONE. Il percorso di Gesù verso Gerusalemme e il percorso di ogni cristiano: portare la croce e non montarsi mai la testa

8 Settembre 2019 - 10:26

 

8 SETTEMRE 2019    XXIII Domenica del T.O.  (C)

LA FEDE ESIGE UNA SCELTA RADICALE!

 a cura del gruppo biblico ebraico-cristiano

השרשים  הקדושים

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1. La domenica della croce di Cristo. Il Vangelo di Luca descrive il viaggio di Cristo verso
Gerusalemme, città santa, terra di martirio e di gloria. Luca vuole presentare l’intera vita cristiana
come un andare con Gesù e come Gesù verso la croce e la risurrezione. E’ il tema della sequela
Christi. Da buon regista, Luca organizza tutto il materiale attorno a questo leit motiv, autentico filo
d’Arianna nel suo Vangelo. Abbiamo due massime (Se uno viene a me e non odia … Chi non porta
la propria croce), commentate da due esempi (Chi vuole costruire una torre … Chi sta per fare una
guerra); sono presenti anche in Matteo, ma più sfumate; Luca è più radicale con quella sua frase:
portare ogni giorno la propria croce. Di fronte ai grandi numeri, alle folle oceaniche, Gesù non
sembra rallegrarsi; parla dei suoi discepoli come di un piccolo gregge (Lc 12,32), di un po’ di sale
(Mt 5,13), di una manciata di lievito (Mt 13,33), di un granello di senape (Mt 13,31). Egli rimane
stupito al vedere che molta gente andava con lui (Lc 14,25), gli viene il dubbio che lo seguano per
altri motivi e allora chiarisce, fa tre richieste molto dure, che si concludono con lo stesso ritornello:
non può essere mio discepolo (Lc 14,25). Sembra quasi che voglia allontanare più che attirare! Ed
ora alcune precisazioni.

2. Se uno viene a me e non disprezza perfino la propria vita (Εἴ τις ἔρχεται πρός με καὶ οὐ μισεῖ
καὶ τὴν ψυχὴν ἑαυτοῦ. Luca scrive ai numerosi convertiti della sua comunità che provavano
simpatia per Gesù ma erano tentati di edulcorare la sequela Christi. Anche noi non possiamo
vivere felici senza avere una buona immagine di noi stessi. Ce lo insegnano la psicologia e la
psicanalisi. Per essere felici dobbiamo superare ogni conflitto interiore, il nostro comportamento
dev’essere gratificante, soprattutto non dobbiamo avere sensi di colpa. E’ la legge della
sopravvivenza. Inutile, dannoso avere rimorsi. Guardandoci allo specchio, vogliamo vedere
l’immagine di un vincitore, non importa quanti morti o feriti abbiamo lasciato sul campo. Ci
insegnano da ogni cattedra ad amarci, nonostante i nostri vizi e peccati, che non si chiamano più
così, ma Ego, cioè Io. Non sopportiamo il dubbio, la sconfitta. Grazie ai manuali del successo
facciamo apprendistato per il suicidio. Siamo diventati il nostro solo e ultimo dio. Per questa
piccola divinità, l’uomo spreca le sue migliori energie. Gesù ci invita a odiare questo falso e ridicolo
io, a ribaltare i falsi valori del mondo. A mettere al primo posto Dio e i valori del suo regno.

3. … E non odia il padre (… καὶ οὐ μισεῖ τὸν πατέρα). Il testo qui utilizzato dal Vangelo di Luca è
più forte e duro di quello che immaginiamo. Perché nella loro lingua originale i sinottici usano il
verbo greco miséo, che esige da noi l’odiare persino la propria famiglia e sé stessi a causa di Gesù.
Questo è possibile? Si può esigere un simile comportamento? Il Vangelo non parla di mettere dopo
i parenti, ma di odiarli (H. Giesen). Possiamo immaginare che Gesù ci ponga il dilemma di scegliere
tra l’amore o l’odio verso i nostri genitori o i nostri figli? Non si tratta di scegliere tra l’amore a Dio
e l’odio verso l’umano, ma di scegliere tra la nostra umanità disumanizzata o la umanità
pienamente realizzata. Può essere seguace di Gesù solo chi è pienamente umano. Quando Gesù
parla di odio, si riferisce ai tagli netti che è necessario fare quando si tratta di restare fedeli al
vangelo. Odiare = avere il coraggio di rompere anche i legami dei parenti, quando diventano una
impedimento. Francesco di Assisi sarebbe rimasto un giovane qualunque dell’Assisi-bene se non
avesse fatto la sua scelta coraggiosa! Il Vangelo non intende squalificare i rapporti di sangue, ma
aprire un orizzonte che va al di là del gruppo di appartenenza. Sappiamo che i vincoli di sangue
gravano sulla nostra mente, fino ad offuscarla. Noi pensiamo al mondo attraverso gli schemi del
gruppo familiare, del gruppo etnico in cui viviamo, della religione nella quale crediamo. Il sangue
colora l’intelletto! La novità del Cristo è la rottura di questi vincoli, la loro relativizzazione. Gesù, gli
apostoli, i santi … furono perseguitati, perché si opponevano alla presunzione che un gruppo o una
religione fossero un assoluto. Di assoluto esiste solo Dio! E’ una lotta difficile, perché in questi
schemi, peraltro così ricchi di suggestioni e di tenerezza, siamo imprigionati fin dalla nascita. Non è
importante nascere in un paese cristiano, come nella nostra Italia, ma diventare, scegliere,
rischiare per il Vangelo. Oggi merita il nome di cristiano solo chi lo sceglie!

4. Chi non porta la propria croce (ὅστις οὐ βαστάζει τὸν σταυρὸν ἑαυτοῦ). Le parole di Gesù,
che nel loro rigore sono state interpretate come un invito alla pazienza o riservate ai religiosi che
emettono i voti … in realtà sono rivolte a tutti i credenti. Prendere la croce significa scegliere
Gesù; la croce non simboleggia la coscienza infelice, ma un progetto di vita. Che la vita, secondo
Gesù, sia un progetto, appare dal brano del Vangelo con quelle due immagini del costruttore
(prima di costruire una torre, calcola bene le spese), e del re (prima di fare guerra, conta i suoi
soldati). Anche il cristiano, prima di intraprendere la sequela Christi, deve sapere a cosa va
incontro, per non tornare più indietro.

5. La Parola di Dio non è una parola che si possa pronunciare da qualsiasi cattedra, come una
qualunque verità scientifica: passa attraverso la testimonianza. Paolo non andò nei suoi viaggi a
fare il predicatore di professione; non apparteneva all’ordine dei predicatori ma dei testimoni; non
andò come padre né come maestro, meno ancora come padrone; si presentò, uomo fra gli uomini,
preoccupandosi di non essere di peso ad alcuno, lavorando in pace con le sue mani (At 18,3). Fu il
primo prete operaio. Possiamo immaginare cosa avveniva nella bottega di Paolo, nelle lunghe ore
al tavolo di lavoro, mentre taglia e cuce le pelli per fare tende (1Ts 2, 9). Seduti nella sua bottega
troviamo i suoi compagni di lavoro o qualche visitatore, clienti e forse qualche curioso che aveva
sentito parlare di questo filosofo tessitore di tende appena arrivato in città. In ogni caso sono tutti
là ad ascoltare e a discutere con lui, che esorta i presenti ad abbandonare gli idoli e a servire il Dio
dei viventi. Per Paolo, il missionario, quindi, il pulpito della sinagoga non bastava, ma usciva anche
in piazza ed entrava nella sua bottega. Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un
dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo! (1 Cor 9,16).

6. Non dobbiamo stupirci che i vescovi, successori degli apostoli, vivano come gli altri, come Cristo
e Paolo, che non cercarono distinzioni, e furono sempre in polemica contro la religiosa ipocrisia, i
turiboli maleodoranti. Se la comunità cristiana è una comunità fraterna, voi capite quante
impalcature devono cadere. In genere, noi ci difendiamo dal radicalismo del Vangelo con lo
spiritualismo, senza comprendere che l’essere figli di Dio deve tradursi in forme visibili dl
fraternità. L’Annuario pontificio contiene ancora titoli a non finire, croce e delizia dei carrieristi
religiosi! Nella società civile, sono stati compiuti passi grandiosi nella direzione dell’uguaglianza,
libertà, fraternità; nello stato di diritto, quanti privilegi (meglio, pravilegi!) sono caduti; all’interno
della chiesa invece sopravvivono. La chiesa, in un passo del Concilio, riconosce che il mondo ha
molto da insegnarci. Il credente porta nei crocicchi della storia non una predica ma la
testimonianza esistenziale del Vangelo. Predicatore della fraternità, altrimenti il Vangelo diventa
ideologia, e la chiesa si confonde con le classi dominanti. Il credente parla del Vangelo, ma dentro
la storia e non dall’alto di una cattedra o durante una cerimonia sacra. Il cristiano si unisce a
quanti promuovono tutto l’uomo, qualunque sia il loro colore politico e il loro credo religioso. Noi
spesso predichiamo sul versante nero della paura umana, ove si allunga l’ombra dell’apocalittico
drago rosso (Ap 12,1). Predichiamo invece sul versante della fioritura del mondo, altrimenti il
Vangelo diventa uno strumento ideologico per imbonire gli uomini con le tecniche manipolatorie
della paura ultraterrena. E sarebbe grave responsabilità, perché il sonno della ragione genera i
mostri. BUONA VITA!