La Domenica di Don Galeone. La fede è legata alla riconoscenza e si esprime con un desiderio di lode, nonché in un’azione di grazie

9 Ottobre 2022 - 08:57

9 ottobre 2022 ✶ XXVIII Domenica T.O. (C)

Una fede capace di dire: Grazie!

Prima lettura   Naaman disse: Ecco, ora so che c’è un solo Dio su tutta la terra (2Re 5, 14). Seconda lettura   Se con Cristo perseveriamo, con lui anche regneremo (2Tm 2, 8). Terza lettura   Solo questo straniero samaritano è tornato a ringraziare! (Lc 17, 11).

Vangelo
(Lc 17,11-19)   Si diceva al tempo di Gesù: “Quattro categorie di persone sono equiparate a un morto: il povero, il lebbroso, il cieco e colui che è senza figli”. I lebbrosi non potevano avvicinarsi ai villaggi e i luoghi in cui abitavano, erano considerati impuri, come i cimiteri. Alcuni rabbini hanno incitato a lapidare il lebbroso incontrato lungo la strada: “Torna al tuo posto e non contaminare le altre persone!”. Tutte le malattie erano ritenute un castigo per i peccati, ma la lebbra era il simbolo stesso del peccato. Dio se ne serviva – si diceva – per colpire soprattutto gli invidiosi, gli arroganti, i ladri, gli omicidi, i falsari e gli incestuosi. La guarigione dalla lebbra era un miracolo paragonabile alla risurrezione di un morto. I dieci lebbrosi si sono fermati a distanza e, da lontano, hanno gridato: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!” (v. 13). Si noti bene: non gli chiedono la guarigione, ma solo che senta compassione. Forse si aspettano soltanto l’elemosina!

C’è qualcosa di singolare in questo miracolo: la guarigione non avviene immediatamente. La lebbra scompare in seguito, quando i malati sono lungo il cammino. Vedendosi curato, uno dei dieci lebbrosi torna indietro e, trovato il Maestro, gli si getta ai piedi per ringraziarlo. È un samaritano! Gesù si meraviglia che solo costui, uno straniero, abbia sentito il bisogno di rendere gloria a Dio. Lo solleva e gli dice: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”. Questo è il fatto. Qual è il messaggio? Concentriamoci su alcuni dettagli significativi:

notiamo anzitutto che non si parla di uno, ma di dieci lebbrosi; il numero dieci nella Bibbia ha un valore simbolico: indica la totalità; i lebbrosi del Vangelo rappresentano dunque tutto il popolo, l’intera umanità lontana da Dio. Tutti – vuole dirci Luca – abbiamo bisogno di incontrare Gesù;

secondo particolare: la lebbra mette insieme giudei e samaritani, unisce cioè persone che, quando sono in buona salute, si disprezzano; la comune disgrazia li ha resi amici e solidali ;

non riduciamo il messaggio del Vangelo di oggi a una lezione di galateo. Gesù rimane sorpreso: un samaritano – eretico, miscredente – ha avuto un’intuizione teologica che nove giudei, educati nella fede e conoscitori delle Scritture, non hanno avuto;

è stato il primo a intuire che non è vero che Dio sta lontano dai lebbrosi, che li sfugge, che li rigetta. Ha intuito che cosa doveva dire ai sacerdoti burocrati: “Fatela finita con la religione che esclude, che giudica, che condanna le persone impure!”;

dobbiamo riflettere sull’efficacia della parola di Gesù. I lebbrosi lo invocano da lontano (vv. 11- 12). Non possono avvicinarsi a lui. Riuscirà egli a percepire il loro grido disperato? Potrà fare qualcosa in loro favore nonostante la distanza? Questi dubbi angustiano non solo i dieci lebbrosi, ma anche i cristiani delle comunità di Luca, che non hanno avuto la fortuna di «avvicinarsi» materialmente al Maestro. Quando Gesù camminava lungo le strade della Palestina, ognuno poteva avvicinarlo, toccarlo, parlargli … ma ora che egli è «lontano», si interessa ancora della nostra vita? È capace di salvare anche «a distanza»? La risposta che Luca dà ai suoi cristiani e a noi è semplice: non c’è distanza e non c’è situazione disperata che egli, anche «da lontano», non possa risolvere;

la lebbra: nell’immaginario collettivo, essa è la maledizione divina; perciò, stare con i lebbrosi, curare i lebbrosi è autentico eroismo! Francesco, ricordiamolo, cambiò vita dopo avere incontrato e abbracciato un lebbroso, e i primi francescani dovevano superare la stessa prova del fondatore; un giorno Francesco trattò male un lebbroso, e come penitenza volle mangiare nel suo stesso piatto. Francesco, prima di chiamare il sole “fratello”, chiamava fratello il “lebbroso” !

Siamo così arrivati al punto più difficile del racconto: uno solo è tornato a ringraziare. Eppure, gli altri nove avevano obbedito a Gesù, che aveva ordinato di andare dai sacerdoti! Chi ha disobbedito non è stato forse il samaritano? Diciamolo subito: sicuramente anche gli altri nove saranno poi tornati a ringraziare. Ma essi sono prima andati dai sacerdoti per sbrigare le «formalità» della guarigione, poi sono corsi dalle loro famiglie, e infine sono tornati da Gesù. Gli altri nove non erano cattivi, non hanno capito la novità: a Dio non si arriva attraverso le pratiche religiose antiche. Il samaritano ha capito subito, che la salvezza di Dio giunge agli uomini attraverso Gesù.

✶   I lebbrosi probabilmente sono giudei, uno è sicuramente samaritano; se fossero stati sani, certamente non si sarebbero messi insieme. Spesso ci vuole il dolore per smontare l’orgoglio e farci sentire tutti fratelli! “Gesù maestro, abbi pietà!”. È una preghiera bellissima, non c’è presunzione, ma solo l’umile abbandono di chi non ha più speranze, e si affida al Signore. E attende! Gesù risponde in modo insolito. Non guarisce subito i lebbrosi, ma ordina loro di presentarsi ai sacerdoti, li mette alla prova e i lebbrosi superano la prova, ma la loro fede non si apre alla riconoscenza. Un solo lebbroso guarito torna indietro a dire grazie, e al lebbroso riconoscente Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato!”. Qui ci vuole condurre il racconto: non serve a niente avere la salute, se la salute la viviamo male; la vera salute non è quella del corpo; la vera salute, nella fede, si chiama salvezza.

✶   Il decimo lebbroso. Chissà cosa gli sarà accaduto dopo la guarigione! Dove sarà andato, come sarà vissuto, si sarà ricordato il giorno dopo, un anno dopo che era sano per un miracolo di Dio? Oppure si sarà detto: “Godi adesso, finalmente!”. Nulla ci è detto: si sa soltanto che era uno straniero, un samaritano, e che la sua fede lo ha salvato. Ma fede in che cosa più degli altri nove? Anche gli altri nove obbedirono e si avviarono dal sacerdote come Gesù aveva ordinato a tutti. Dunque, tutti credettero di poter essere sanati. E lo furono! Ma non tornarono a “rendere gloria a Dio”. È dunque così difficile riconoscere l’intervento di Dio nella nostra vita? Sembra proprio di sì, se nove su dieci accolsero il miracolo con indifferenza. Ecco l’errore: accettare la vita senza meraviglia, non stupirsi più, non saper riconoscere la mano di Dio nelle grandi e nelle piccole cose. Siamo portati a sottolineare un “qualcosa” che ci manca, mentre non siamo capaci di gioire per il “tanto” che già possediamo.

✶  Grazie: una parola rara, in via di estinzione. Oggi i nostri rapporti sono fondati sull’utile, sul contratto, sul “do ut des”; questa mentalità utilitaristica ed egocentrica snatura anche la religione, ci fa smarrire il senso del gratuito, dell’eucaristia appunto, che è “rendimento di grazie”. Con Dio e con i santi abbiamo una mentalità sacro-mercantile, contrattuale. Al pari dei numeri di emergenza, abbiamo un lungo elenco di santi dell’SOS. Oggetti smarriti? Sant’Antonio. Casi impossibili? Santa Rita? Pericoli di viaggio? San Cristoforo. Malattie di gola? San Biagio. Difficoltà scolastiche? San Giuseppe da Copertino. Amori difficili? San Valentino … Eppure, ringraziare significa ricevere ancora doni: il samaritano pregando ricevette la salute, ma ringraziando ebbe in dono la fede. Proviamo a pregare con fede: “Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato”, di avermi dato il dono della vita, della fede, della speranza. Diceva santa Teresa alle sue consorelle: “Tutto è grazia”, e quindi dobbiamo sempre ringraziare!

✶  La pratica religiosa, con i suoi rituali, produce l’effetto di sentirci persone per bene, agisce come tranquillante della coscienza. Ma ha anche il pericolo di disumanizzare l’essere umano. Chi adempie la pratica religiosa, si sentirà tranquillo. Per questo sono esistiti e continuano ad esistere uomini molto religiosi ma anche molto disumani, che arrivano perfino ad uccidere con la coscienza del dovere compiuto. L’insegnamento dell’episodio – quello dei dieci lebbrosi curati – è chiaro: la religione, fedelmente osservata, può indurire il cuore e disumanizzare le persone. Gli osservanti religiosi hanno perso il senso elementare della gratitudine, mentre il samaritano, l’uomo senza religione (o della religione «sbagliata») fa quello che è umano, quello che è normale: ringraziare. Capita che negli ambienti religiosi abbondano le osservanze e manca l’umanità; abbonda il Diritto Canonico e mancano i Diritti Umani. Non si tratta, però, di sopprimere la pratica religiosa o di abolire la religione. Si tratta di modificare tutto questo. Per non disumanizzarci, è necessario rifare ciò che Gesù ci ha insegnato e ciò che è delineato nel Vangelo: abbiamo bisogno di una religione e di una religiosità che ci rendano più umani. BUONA VITA!