La Domenica di don Galeone: “Molte idee di libertà, uguaglianza, fraternità, anche se laiche, hanno la loro matrice nel cristianesimo”

13 Settembre 2020 - 10:44

13 settembre 2020 – XXIV Domenica (T.O.)

IL PERDONO E’ UNA COSA SERIA!

Gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

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Prima lettura: Ricordati della tua fine e smetti di odiare (Sir 27,30). Seconda lettura: Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore (Rm 14,7). Terza lettura: Perdonare fino a settanta volte sette (Mt 18,21).

La domenica “del perdono ricevuto e trasmesso”    Pietro chiede al Signore quante volte si deve perdonare, e si sente rispondere settanta volte sette, cioè sempre (vv. 21-22). In questo contesto, Gesù racconta una parabola, in cui tutto è infinitamente grande (come il debito di vari miliardi) e tutto è infinitamente piccolo (come il debito di pochi centesimi). Si tratta di un dramma sempre in atto. Chi ottiene una sanatoria completa, strozza poi un dipendente, che gli deve pochi soldini! Chi sta in alto trasgredisce con protervia la legge, e poi provoca un casus belli per le lievi inadempienze di un dipendente. Un coniuge tradisce gravemente l’altro, e poi giunge anche ad ucciderlo per una inezia ingrandita dalla gelosia! Con Dio però le cose vanno diversamente: è buono fino a caricarsi sulle spalle tutte le nostre malefatte, ma non tollera il sopruso di chi, peccatore grave, non perdona i piccoli peccati degli altri. Se ricordassimo quella frase del Padre nostro: “Perdona

a noi come anche noi perdoniamo agli altri”! E’ una preghiera, ma può essere anche una condanna!

Il perdono è una cosa seria!   Una concezione antica sostiene che chi sbaglia non merita perdono, anche se buone erano le sue intenzioni. Non c’è rimedio alla colpa, non c’è perdono al peccato. La tradizione giudaico-cristiana, invece, dà importanza all’intenzione: se il colpevole riconosce la sua colpa, va perdonato. E’ uno dei maggiori progressi compiuti dall’umanità. Ma perdonare non è facile! Ci possono essere due tipi di perdono. Il primo, come “rinuncia a punire”, ma non si dimentica quanto è avvenuto; a volte sentiamo: “Lo perdono, ma non voglio più vederlo”. Il secondo come “annullo del male”; questo lo fa una madre quando perdona il figlio; è il perdono dell’amore; si tratta di un perdono difficile, possibile solo a Dio e in parte ai santi. La nostra società ha dimenticato che il perdono è una cosa seria, come serio è il rimorso. Presi da frettolosa superficialità, chiamiamo “pentiti” anche gli “opportunisti” che collaborano con la giustizia. Mi viene alla memoria l’osservazione dell’ebreo russo Vladimir Jankélevitc, quando gli venne fatta la proposta di perdonare i colpevoli della Shoàh: “Ma ci hanno mai chiesto il perdono? Non si sentono colpevoli. Perché dovrei perdonare?”.  

Perdonati da Dio, perdoniamo ai fratelli …   Un debitore deve circa dieci miliardi, e il padrone gli concede non una proroga, ma condona tutto il debito! Lezione trasparente: l’uomo, davanti a Dio, è un debitore insolvibile; se Dio non interviene, nessuno sarà salvo! La salvezza è grazia, possiamo solo “essere salvati”. L’altro debitore deve solo poche decine di lire: i nostri debiti, le nostre offese reciproche sono piccola cosa rispetto alle offese contro Dio. Il giudaismo conosceva già la legge del perdono delle offese, ma era una conquista recente, che si era imposta solo grazie all’individuazione di un tariffario ben preciso. Perdonare, sì, ma quante volte? I rabbini insegnavano che Dio perdona tre volte; le scuole rabbiniche precisavano che si doveva perdonare tante volte alla moglie, tante volte ai figli, tante volte agli amici … Il “tariffario del perdono” variava da scuola a scuola. Anche Pietro chiede a Gesù quale sia il suo tariffario. Pietro, a contatto con Gesù, aveva capito che le misure allora in uso non bastavano più, e abbozza una risposta: “Perdonare fino a sette volte?”. Sette è più di tre, e inoltre è un bel numero simbolico! “Non ti dico fino a sette …”, e qui Pietro avrà tirato un sospiro di sollievo: Gesù stava abbassando il tariffario, ma il sorriso di compiacimento gli si spegne sulle labbra: “… ma fino a settanta volte sette!”. La risposta di Gesù è stata fulminante. Gesù scompiglia le nostre cifre ragionevoli, non c’è un’ultima volta, è finito il tempo dei conti. Ecco la buona novella: perdonare sempre! Il meglio che possiamo fare è di essere generosi verso chi ci ha fatto del male. Ma non basta. Spesso siamo feroci anche con chi ci ha fatto solo del bene. Ai lupi spietati come noi, Gesù non dice: “Via, siate più buoni!”. Tiene invece due discorsi opposti e sconvolgenti. Da un lato minaccia il castigo eterno e dall’altro ci spinge verso la santità e il perdono. Cure drastiche quelle di Gesù! Il suo Vangelo sarà tagliente come scure, bruciante come il sale, discriminante come la luce, vitale come il seme … ma non un innocuo vaccino o una tiepida camomilla o una dolcificante vaniglia!

Il perdono è sempre una virtù?   Perdonare le offese, amare i nemici: è una delle maggiori caratteristiche del Vangelo. E tanti cristiani hanno preso sul serio questo comando di Gesù, da santo Stefano fino ai martiri di oggi. Il Vangelo ha avuto una grande importanza nell’educazione dei popoli dell’Occidente, e molte idee di libertà, uguaglianza, fraternità, anche se laiche, hanno la loro matrice nel cristianesimo. Ma la storia della Chiesa è piena anche di esempi negativi: guerre “sante”, vendette di religione, conquiste coloniali, battesimi forzati, roghi e inquisizione, neocolonialismo e industria della guerra. Davanti a queste colpe gravi, che offendono non solo il singolo ma la comunità, ci chiediamo: il perdono è sempre una virtù? Fanno male quelle offese che appartengono alla minuscola trama della vita intersoggettiva; ma fanno molto più male le grandi offese, quelle contro le classi sociali, i gruppi etnici, le nazioni intere. Come parlare di perdono agli ebrei verso i loro aguzzini tedeschi? Come parlare di perdono ai negri defraudati della loro civiltà dai conquistadores? Come parlare di perdono alle tante minoranze etniche massacrate dal tiranno? Come parlare di giustizia se tante opere d’arte sono state trafugate e si trovano in terra straniera, come la Gioconda in Francia, le metope del Partenone a Londra, gli obelischi della Libia a Roma? Come parlare di giustizia se tanti bambini sono vittime della pedofilia e tante donne sono violentate nel corpo e nello spirito? Parlare di perdono come virtù privata, senza rapporti con la giustizia, provoca quanto è già avvenuto in passato: i cristiani parlavano di pace e preparavano la guerra, predicavano il perdono e organizzavano le crociate.

Alcune sottolineature   Quando ci viene fatta un’ingiustizia, come comportarci? Spesso ricorriamo la regolamento dei conti, ma così facendo il male peggiora. Lungo i secoli sono state trovate diverse soluzione: a) reagire al male con il male; l’esempio più noto è quello di Lamech, figlio di Qain, che davanti alle due mogli Adàh e Tzillàh si vantava: “Sette volte ho vendicato Qain, ma Lamech settanta volte sette” (Gn 4,23); b) un passo in avanti è rappresentato dalla famosa “lex talionis”: “Occhio per occhio” (Es 21,24), che non è un invito alla vendetta ma al giusto risarcimento; c) il punto più alto dell’AT è rappresentato dalle parole di Levitico: “Tu non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo come te stesso” (Lv 19,17-18). Gesù va oltre: dalla vendetta al risarcimento, dal risarcimento al perdono.

10.000 talenti era una cifra enorme: un talento corrispondeva a 36 kg d’oro; moltiplicato per 10.000 vengono fuori 36.000 kg d’oro; impensabile ed impossibile una restituzione! A diecimila talenti ammontava la somma che Roma con Pompeo ottenne dalla Giudea, recentemente conquistata, verso l’anno 60 a.C. (Giuseppe Flavio). Erode Antipa ottenne duecento talenti dalla Galilea e dalla Perea, Archelao seicento talenti dalla vendita dell’Idumea, Giudea e Samaria (Giuseppe Flavio). Quindi, la figura proposta dalla parabola evoca l’azione di Roma e riflette nozioni proverbiali sulla ricchezza dei re. Per questo è stupefacente la generosità del «signore/re». Come è stupefacente la bassezza e la miseria del servo che quasi arriva a uccidere un disgraziato che gli doveva una piccola quantità di denaro. Gli ebrei – e anche noi come loro – si sentivano sempre in debito con Dio; le opere buone non compensavano quelle cattive e perciò il debito con Dio aumentava di anno in anno. Capita anche oggi. Solo i farisei (e i cristiani perfetti!) pensavano di avere i conti a posto con Dio. Una illusione, come dichiara l’apostolo Paolo: “Tutti hanno peccato” (Rm 3,23). Noi non possiamo salvarci con le nostre opere buone: possiamo solo essere salvati grazie alla bontà di Dio!

In questa parabola tutto è esagerato, quasi incredibile. Come incredibile è la bassezza di spirito che stiamo vedendo e vivendo nella durissima situazione della pandemia attuale. Non si è mai vista tanta cupidigia nei ricchi; è questa la causa di quello che stiamo soffrendo. E, finché la Chiesa non incomincia a prendere decisioni esemplari, capaci di scuotere il mondo, questa situazione non cambia. Specialmente nei Paesi del Sud dell’Europa, che sono proprio i Paesi più cattolici. L’aspetto più urgente non è il modificare le decisioni economiche, ma la conversione dei cuori ambiziosi di coloro che controllano il capitale finanziario. La chiave non sta nell’«economia», ma nell’«etica».

L’ultima scena (w.31-35) con quelle parole “così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi…” va compresa bene: il Signore non paga con la stessa moneta (occhio per occhio!): una simile spiegazione contraddice tutto il messaggio della parabola. E allora? I predicatori del tempo di Gesù, per scuotere gli uditori, ricorrevano a immagini drammatiche. Lo facciamo anche noi oggi. Per non tradire il messaggio di Gesù, vanno eliminate dalla parabola tutti quei castighi infernali, tipici del linguaggio semitico di 2.000 anni fa. Presentare Dio come un giudice, un giustiziere, un vendicatore … è semplicemente blasfemo. Buona vita!