La Domenica di don Galeone. “Non moltiplicate le parole, Dio sa già ciò di cui avete bisogno”

16 Ottobre 2022 - 11:47

Oggi la liturgia ci pone al centro della riflessione la preghiera di domanda. Noi saremmo portati a interpretare la preghiera di domanda come avviene tra persone umane, cioè la sollecitazione a far intervenire qualcuno potente secondo i nostri bisogni. Questo va in contrasto con la frase del Vangelo secondo Matteo, in cui Gesù dice: “Non moltiplicate le parole, Dio sa già ciò di cui avete bisogno.”

16 ottobre 2022 ✤ XXIX Domenica tempo ordinario (C)

Pregare è fare la sua volontà!

Prima lettura   Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte (Es 17, 8). Seconda lettura Sia completo l’uomo di Dio e ben preparato ad ogni opera buona (2 Tm 3, 14). Terza lettura   Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui (Lc 18, 1).

La domenica “della preghiera”    Un saggio dell’Antico Testamento riassume così l’esperienza della sua vita: «Sono stato fanciullo e ora sono vecchio, ma non ho mai visto il giusto abbandonato!» (Sal 37,25). Belle parole, ma ce la sentiremmo di sottoscriverle senza avanzare qualche riserva? Due domeniche fa abbiamo sentito Abacuc lamentarsi con Dio. Nella Bibbia si trovano stupende invocazioni a Dio per chiedere il suo intervento quando sulla terra la vita diventa intollerabile. Il salmista implora: «Signore, dèstati, svègliati, vieni in mia difesa, per la mia causa!» (Sal 35,22). Nell’Apocalisse i martiri innalzano al Signore il loro grido: «Fino a quando, Signore, non farai giustizia?» (Ap 6,10).

Pregare sembra facile! Chi non prega quando ne ha bisogno? Basta avere una generica educazione cattolica, un rimasuglio di fede, ed eccoci a pregare nell’ora della paura, della necessità. Siamo tutti cristiani, diceva il filosofo B. Croce! Anche la vedova della parabola era pressata da un suo problema con la giustizia. Mai viste tante candele accese davanti ai santi, come nel periodo di esami, di concorsi, di malattia! Non è forse lecito invocare chi ci è amico? Non è forse umano? E che cosa siamo noi se non uomini, cioè un misto di debolezza e di forza, di meschinità e di grandezza? Ben vengano, quindi, anche le candele e gli ex-voto. Ma esiste anche una preghiera che i mistici paragonano al respiro, al battito del cuore, quella che rende la vita un continuo atto di ringraziamento. Nietzsche ha scritto che pregare è vergognoso. Per A. Carrel invece “Pregare non è più vergognoso di quanto non sia vergognoso bere o respirare. L’uomo ha bisogno di Dio come ha bisogno di acqua e di ossigeno”. Pregare è riconoscere i propri limiti logici e ontologici, significa che la liberazione totale e definitiva non dipende dall’uomo, dalle astuzie della ragione umana: l’uomo non può salvare se stesso!

Prima lettura (Es 17, 8)   Gli amaleciti erano una tribù nomade nel deserto del Sinai. Pochi popoli sono stati odiati dagli israeliti quanto loro. Avevano commesso un crimine imperdonabile. Gli israeliti, che erano in cammino verso la Terra Promessa, dovevano attraversare il loro territorio. Stanchi per il viaggio, chiedevano solo un po’ d’acqua ma gli amaleciti, invece di aiutarli, li assalirono (Dt 25,17). La lettura di oggi si riferisce a uno dei primi scontri avvenuti con questa tribù. Dice il testo che Mosè ordinò a Giosuè di attaccarli, mentre egli, assieme ad Aronne e a Hur, sarebbe salito sul monte per invocare l’aiuto di Dio (w. 12-13). Accadde allora che, mentre Mosè stava con le mani alzate in preghiera, Giosuè vinceva, ma non appena egli le lasciava cadere per la stanchezza, gli amaleciti avevano la meglio (v. 11). Allora Aronne e Hur posero Mosè seduto su di una pietra ed essi, uno a destra e l’altro a sinistra, le tenevano sollevate. Rimasero così fino a sera e Israele sbaragliò gli amaleciti. L’episodio narrato è importante perché ha un messaggio teologico: ci insegna che chi vuole raggiungere obiettivi superiori alle sue forze, deve pregare… senza stancarsi. Le braccia vanno mantenute alzate… fino a sera, cioè, fino al termine della vita!

Dal Vangelo (Lc 18,1-8)   Ci troviamo davanti ad una parabola sconcertante. Per capire come si deve pregare, Gesù ricorre ad una vedova, e Dio viene paragonato a un giudice disonesto. Anzitutto un elogio alla vedova, alle donne, a tutte quelle donne che si riconoscono nella “vedova molesta”. Sono le donne che accendono la speranza del mondo; donne perseveranti, determinate, con quella intelligenza della vita che le contraddistingue, che deriva dalla sapienza del cuore, che la maternità fisica e spirituale trasmette. La speranza e la sopravvivenza stessa dell’umanità dipendono dalla loro generosità, dalla loro sete di verità e di giustizia. Come la vedova, che nell’umiltà della sua condizione, giganteggia per la sua fragilità onnipotente, e si impone al giudice disonesto. Chi sostiene che il Vangelo è misogino, è in mala fede!

Esaminiamo i due personaggi:
> il giudice è un tipaccio senza religione e senza umanità, è la rappresentazione del potere arrogante, tante volte denunciato dai profeti. Su questa figura si potrebbe ricamare più di una riflessione. Il giurista laico Piero Calamandrei si lamentava che il Crocifisso fosse nelle aule giudiziarie alle spalle dei giudici e davanti solo ai giudicati, e scriveva: “Dovrebbe essere collocato proprio in faccia ai giudici, ben visibile nella parete di fronte, perché lo considerino con umiltà mentre giudicano, e non dimentichino mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente”.

> La vedova è l’altro personaggio della scena. In passato era la persona più esposta al sopruso, tant’è vero che Dio stesso è chiamato nell’Antico Testamento il “difensore delle vedove” ormai prive della tutela del marito. Ma la vedova della parabola ha una caratteristica: non può pagarsi un avvocato, ma non si rassegna; la sua perseveranza non si infrange davanti alla porta chiusa, al rifiuto annoiato, alla reazione stizzita del giudice; a ben riflettere la vedova deve lottare su due fronti, il contendente e il magistrato, contro la prepotenza e contro l’inerzia. Non si arrende, comprende che anche il magistrato invincibile ha il suo tallone di Achille: non vuole seccature, e lo vince non sul terreno della bontà ma dell’egoismo. La debolezza vince la prepotenza.

Vediamo ora di cogliere il senso e il messaggio della parabola:
> Come si fa a pregare sempre? La preghiera non va identificata con la monotona ripetizione di formule, che annoiano anche Dio, se non sono espressione di un autentico sentimento del cuore (cf. Am 5,23). Gesù ha richiamato i discepoli a non fare come i pagani, che credono di venire ascoltati a forza di parole (Mt 6,7). Pregare sempre significa non prendere alcuna decisione senza aver prima consultato Lui.

> Siamo negli anni 80 d.C. e in Asia Minore è iniziata una persecuzione: Domiziano pretende che tutti lo adorino come un dio. I cristiani non possono – come dice Ap 13 – inchinarsi davanti alla «bestia» (Domiziano) e per questo subiscono violenza. Ora risulta chiaro chi è la vedova della parabola: è la chiesa di Luca, è la comunità che attende la sua venuta, e che ogni giorno, con insistenza, implora: «Vieni Signore Gesù! את אנרמ» (Ap 22,20). A questa invocazione il Signore risponde: «Sì, farò loro giustizia e molto presto!».

La più comune preghiera è quella di “domanda”. Cosa significa? Non è certo pretendere che Dio faccia la nostra volontà. Pregare non è una formula magica. Manifestare a Dio i bisogni e i desideri significa sottoporli alla sua luce, vedere se sono legittimi o no, per purificarli. La preghiera di domanda esemplare è quella di Cristo: “Padre, allontana da me questo calice di dolore, però non la mia ma la tua volontà sia fatta!”. Il credente non vuole piegare Dio alla sua volontà. Egli sa quello che è veramente bene per noi. Nella sua volontà è la nostra pace! La preghiera di domanda, quando è autentica, diventa impegno per cominciare a fare quello che chiediamo. Pregare per la pace, spinge a diventare uomini di pace; pregare per chi soffre, diventa impegno ad aiutare chi soffre. E anche se non siamo esauditi, la preghiera non è mai inutile! BUONA VITA!