La Domenica di Don Galeone. Oggi, una parabola di Gesù per il nostro tempo
25 Aprile 2021 - 09:00

IV Domenica di Pasqua – 25 aprile 2021
Gesù risorto si manifesta nei pastori della chiesa
Prima lettura: Solo in Gesù c’è salvezza (At 4,8). Seconda lettura: Siamo realmente figli di Dio! (1Gv 3,1). Terza lettura: Il buon pastore offre la vita per le pecore (Gv 10,11).
Il Signore è il mio pastore! ebraico Israele ha sempre avuto nostalgia del deserto, della vita nomade, e ha sempre allevato pecore e capre. Ha fissato la saggezza del beduino nel libro dei Proverbi, 27,23-27: “Preòccupati del tuo gregge, abbi cura delle tue mandrie, perché non sono perenni le ricchezze, né un tesoro si trasmette di generazione in generazione […]. Gli agnelli ti danno le vesti e i capretti il prezzo per comprare un campo, le capre latte abbondante per il cibo e il vitto della tua famiglia”. Anche il vangelo di Giovanni fa ricorso a tre simboli importanti: quello del pastore, della porta, delle pecore. Gesù è il buon pastore; en passant, ricordiamo che nell’originale greco abbiamo Ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός: Io sono il bel pastore. Nello stile orientale bellezza e bontà formano un tutt’uno. Uno dei Salmi più belli così descrive il rapporto tra Dio e il fedele: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla” (Sal 23,1). In seguito il titolo di pastore viene dato anche a quelli che rappresentano Dio in terra: i re, i sacerdoti, i capi. Ma qui il simbolo evoca, oltre l’immagine della sicurezza, anche quella dello sfruttamento; appare così la figura del mercenario, contro cui il profeta Ezechiele scrive una terribile requisitoria (Ez 34,1).
Conosco le mie pecore Una nota del pastore è quella della conoscenza: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me!”. Già sappiamo che nella Bibbia il verbo “ידע conoscere” implica mille sfumature, che coinvolgono sensi e ragione, sessualità e affetto, volontà e intelligenza. In una società pastorale, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico; si sviluppa, invece, un rapporto quasi personale; giornate passate insieme, in luoghi solitari, il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora, e la pecora riconosce, tra tante, la voce del “suo” pastore. Sappiamo che il Signore ci conosce bene, ma di questo abbiamo più timore che gioia; dal catechismo sappiamo che Dio vede tutto, e pensiamo quasi di essere spiati e condannati, invece di pensare che ci segue per aiutarci. E’ questo l’unico lavoro degno di un padre e di un Dio; è questo il primo articolo della nostra fede: “Credo in Dio, Padre onnipotente”, cioè sempre pronto a perdonare, a dare fiducia, ad accogliere ogni figlio dissoluto! Noi abbiamo paura di conoscere ed essere conosciuti; anche nelle migliori famiglie è raro conoscersi veramente; pensiamo che sia pericoloso! Chi oserebbe dire: “Mia moglie conosce me come io conosco mia moglie?”. I genitori vogliono conoscere tutto dei figli, ed è anche giusto, e se anche i figli conoscessero tutto del padre e della madre? Bisogna veramente amare per desiderare di mostrarsi come siamo, con le nostre luci e le nostre ombre. Buona vita!
Parabole di Gesù per il nostro tempo.
Un uomo salì su un autobus, molto affollato. Era triste. Poi sentì una voce profonda: “Bella giornata, vero?”. A causa della folla non riusciva a vedere l’uomo, ma lo sentiva descrivere il paesaggio: la sinagoga, il parco, il cimitero, la caserma dei pompieri… Tutti i passeggeri cominciarono a guardare fuori dal finestrino. L’entusiasmo divenne contagioso e tutti si misero a sorridere per la prima volta nella giornata. Arrivati alla fermata, prima di scendere, tutti diedero un’occhiata alla guida: una figura grassottella con la barba nera, gli occhiali da sole, con in mano un bastone bianco. Era cieco!
Morale: Dio, mio Padre, nella sua saggezza, a volte manda un cieco per aiutarvi a vedere: anche se le cose vanno male, il mondo e la vita continuano ad essere belli!