LA FOTO AVERSA SACCHEGGIATA. Le ruspe di Della Gatta alzano palazzi in centro storico. Si venderanno case a 400mila euro l’una. Tutto illegale. Se poi non succede nulla, i motivi sono extra legali

21 Giugno 2023 - 21:33

Ritorniamo per la terza volta, avendo ricevuto informazioni ancora più precise, su quello che si può definire emblematicamente lo sconcio di tuti quanti gli sconci di una genia incontrastata di speculatori edilizi, di palazzinari, che non si ferma letteralmente davanti a nulla. Il sequestro dei nuovi appartamenti di Yari Cecere, e i motivi che lo hanno determinato sono letteralmente nulla rispetto a quello che si sta consumando dove un tempo c’era un opificio in un immobile della famiglia Pozzi, un’area poi acquistata dall’imprenditore di San Cipriano d’Aversa, già presidente dell’unione industriali di Caserta, Nino Della Gatta

AVERSA(Gianluigi Guarino) Del cantiere e dei palazzi che in via Santa Marta sta costruendo la società che fa capo all’imprenditore di San Cipriano d’Aversa Nino Della Gatta, già presidente dell’Unione Industriali di Caserta, ci siamo già occupati, esprimendo tutte le nostre perplessità su un intervento pesantissimo, sul tanto cemento in utilizzo con l’obiettivo di costruire palazzi residenziali e tanti, ma proprio tanti appartamenti, edificati ex novo nel cuore del centro storico della città normanna.

Dunque, le nuove case si inseriscono all’interno della zona A, così come questa è prevista, normata e regolata dal decreto ministeriale del 1968, che ha dato la stura all’applicazione concreta, nei territori, dei cosiddetti Piani Regolatori Generali, nati con una legge dell’anno prima, 1967.

Avendone già scritto, evitiamo di raccontare le puntate precedenti, a cui si può accedere tranquillamente cercando “Santa Marta” nella nostra area archivio, cliccando lente di ingrandimento che si trova nella parte superiore della nostra homepage oppure scrivendo “Santa Marta Casertace” nei motori di ricerca.

Oggi ci vogliamo concentrare su un paio di aspetti che connotano, a nostro avviso in maniera decisiva, questa vicenda.

Stiamo parlando di un intervento attuato grazie a un pronunciamento del Tar Campania, a cui è stato servito su un piatto d’argento dal solito dirigente dell’Ufficio Tecnico Raffaele Serpico, un diniego al permesso di costruire opposto fuori dai termini previsti che la legge fissa in 180 giorni.

Mezzo minuto dopo che il Tar, senza minimamente entrare nel merito della questione e limitandosi ad accogliere il ricorso solo per l’aspetto del termine temporale, legato al fatto che Serpico, manco a dirlo, ha violato, le ruspe di Della Gatta si sono messe in movimento.

Non tre giorni dopo la sentenza del Tar, ma durante quello stesso pomeriggio.

Tra l’ultimo articolo scritto e quello di oggi abbiamo appreso e verificato che il cantiere è stato aperto dove un tempo c’era un calzaturificio, ospitato in un immobile di proprietà della famiglia Pozzi, appartenente allo stesso filone di potere economico di Della Gatta e che ha da anni come riferimento politico Stefano Graziano, vicino al quale opera, si muove il consigliere regionale Giovanni Zannini, che con Graziano è stato il coautore dell’arcinoto ribaltone al Comune di Aversa.

Della Gatta, con la sua società ha comprato quel terreno, nel quale non c’era più traccia significativa dell’antico opificio distrutto da un incendio diversi anni fa.

Ora, cerchiamo di semplificare e di non raccontare questa trama urbanistica come facciamo di solito, cioè utilizzando precisione millimetrica con la conseguenza di adoperare formule complesse e comprensibili ai soli addetti ai lavori.

Tu porti le ruspe e i mezzi di un cantiere in una zona A per ricostruire su un immobile dismesso o per costruirne uno totalmente ex novo, che sviluppi la medesima volumetria di quello preesistente, nel rispetto integrale della sua destinazione d’uso, quest’ultima una roba delicatissima che può essere maneggiata e modificata eventualmente, ma comunque nel rispetto dei tanti limiti invalicabili tipici delle zone A, solo ed esclusivamente da una delibera del consiglio comunale.

A quanto ci risulta, il consiglio comunale di Aversa non ha mai modificato la destinazione d’uso di quell’area della zona A che per decenni ha ospitato l’attività artigianal-produttiva.

Per cui, senza girarci troppo intorno, sempre tu lì non ci puoi costruire palazzi contenenti appartamenti residenziali che, poi, ancora tu vendi a 350/400mila euro cadauno.

Questa si chiama giungla e non era consentita neanche un secolo fa. Veniamo poi al discorso finale della volumetria.

La legge regionale 19 del 2009 inserisce nell’ordinamento una novità che veniva da lontano, cioè dal famoso Piano Casa lanciato dal governo Berlusconi. Per effetto di questa legge, veniva ammessa la crescita di una volumetria in zona A con un 35% in più rispetto alla superficie e alla cubatura preesistenti.

Ripetiamo, questo è un discorso puramente accademico, perché, nella vicenda di Santa Marta, la partita è chiusa in partenza, perchè sempre l’appena citata legge regionale parla assolutamente chiaro sull’obbligo di rispetto della destinazione d’uso, modificabile, come detto prima, solo con l’intervento deliberativo del consiglio comunale.

I signori consiglieri regionali che, a suo tempo, nell’ultimo anno dei due mandati di Antonio Bassolino, approvarono la legge 19, lo fecero probabilmente con il proverbiale fegato in braccio.

Fosse dipeso tutto da loro, avrebbero scritto un solo articolo nel quale, liberi tutti, da quel momento si sarebbe potuto abbattere anche il Duomo, il castello, Aragonese, per farci palazzi e appartamenti. Ed è proprio per questo senso di inappagato, di insoddisfatto che quello che poteva essere scritto con chiarezza, e cioè che l’aumento di volumetria del 35% non fosse applicabile nelle zone A, fu scritto lo stesso ma ci dovevi arrivare per deduzione, mettendo in relazione due articoli, il 5 e il 3.

Una legge fatta al contrario, visto che l’articolo 3 contiene – pur essendo 3 un numero inferiore a 5 – requisiti perentori e limitazioni all’applicabilità di quello successivo.

E dall’articolo 3 capisci che nel 2009 tu non potevi aumentare di un solo metro cubo la superficie occupata da un immobile in zona A. Ci arrivavi per deduzione però la prescrizione diveniva chiara e dopo l’attività di decriptaggio , il concetto diventava pacifico.

Nel 2011, al timone della Regione era già arrivato da 1 anno Stefano Caldoro, evidentemente ancora più sensibile del suo predecessore Bassolino, ai lamenti e alle istanze dei palazzinari.

Per cui proprio in quell’anno, come si diceva nel 2011, la Regione approva la legge 5, la quale rompe un principio fondamentale e cioè che ogni opera di ristrutturazione fatta nei centri storici non si sarebbe dovuta tradurre in aumenti di volumetria.

E così viene modificato l’articolo 3 della legge precedente, la 19 del 2009, e l’intangibilità della volumetria finisce per riguardare tutti gli immobili esistenti nelle zone A eccetto quelli costruiti negli ultimi 50 anni e/o quelli che, sempre in questo arco temporale, sono stati sottoposti ad una non meglio precisata ristrutturazione.

Che poi è proprio lì che si annidano le papocchie operate in combutta da improvvisati Ctu, nominati dai privati come periti di parte, pronti a scrivere perizie spesso false e “naturalmente” benedette, timbrate e certificate negli uffici tecnici dei nostri comuni luoghi in cui si annidano fenomeni di corruzione e in cui si consumano reati contro la pubblica amministrazione con numeri da record mondiale.

Quindi, se oggi impazziamo e diciamo che non esiste più il vincolo di destinazione d’uso, l’esplosione di cemento di Della Gatta, sarebbe comunque illegale, visto che violerebbe di gran lunga il limite del 35% di un aumento di volumetria.

E allora, ricapitolando quella è una zona che ha un vincolo di destinazione d’uso indiscutibile e mai modificato dal consiglio comunale di Aversa e quindi il “solito tu” non potrebbe costruire le case, gli appartamenti, che al contrario vi sta costruendo grazie al “distratto” Raffaele Serpico che, pare non aspettasse altro che il pronunciamento del Tar rispetto al quale lui e il Comune di Aversa non hanno mosso un solo dito e ne hanno determinato nuove iniziative per cercare la consumazione di uno sconcio. Secondo, l’opificio che c’era lì sviluppava comunque una volumetria esponenzialmente inferiore a quella mostruosa dei 4 palazzi in costruzione. Inoltre, terzo punto, l’accesso all’istituto dell’aumento della volumetria è reso impossibile, anche alla luce della legge regionale 5 del 2011 perchè quell’opificio è stato costruito ben prima di 50 anni fa e non è stato mai ristrutturato in quanto distrutto da un incendio. Ricorre, dunque, in questa operazione, una profondità di illegalità che rende complicato, da parte nostra che pure la sappiamo lunga su queste materie, la costruzione di discorsi ipotetici, di pura scuola, che divengono in forma e in sostanza letteralmente inammissibili.

Se ad Aversa viene consentito tutto ciò, allora è chiaro che, in questo modo, si favorisce la creazione e l’alimentazione a ciclo continuo di una economia tossica, una montagna di soldi che finiscono nelle tasche di palazzinari senza scrupoli e che, in quota parte, vengono poi utilizzati anche per orientare le scelte politiche elettorali nella direzione di chi agevole porcherie del genere.

Pensate un po’ che un po’ di persone, quando Serpico, la cui posizione venne in seguito archiviata, fu indagato nella vicenda delle gare d’appalto per la raccolta dei rifiuti orientate e truccate da Carlo Savoia, ci dissero che si trattava di una persona amministrativamente irreprensibile.

Alla luce di quello che abbiamo visto, studiato, valutato, soprattutto negli ultimi due anni, rispetto all’operato di Raffaele Serpico, possiamo affermare dia ver fatto bene a non fidarci di questi giudizi. Ormai è chiaro, infatti, che i parametri dei confini che discriminano, in questo territorio, una persona amministrativamente irreprensibile da una che non lo è, sono totalmente differenti dai nostri.