LA NOTA. Peppe Pagano e la sua signora Mirella Letizia gestiscono, secondo il collega Mario De Michele, ben 22 beni confiscati. Invece di minacciar querele, discutiamone
26 Marzo 2019 - 19:37
CASERTA – (Gianluigi Guarino) Ogni tanto, anche i fiori nascono nel deserto. E nel deserto del sedicente giornalismo casertano, il più omissivo e conformista che esista sulla faccia della terra, succedono cose sorprendenti rispetto alle quali questo giornale non può non compiacersi, nel momento in cui intravede, seppur in lontananza, uno spiraglio di luce.
Il collega Mario De Michele ci induce a fare una cosa totalmente estranea al tessuto connettivo e all’attività di CasertaCe: far pubblicità ad un altro sito. Ma da parte nostra, non c’è mai stato un pregiudizio nei confronti di alcuno. Noi citeremmo volentieri gli articoli pubblicati su altre testate digitali. Semplicemente, non ce ne sono. Per cui, quando ne troviamo uno, no problem, siamo contenti di promuoverlo, perchè la concorrenza è una cosa, la discussione sui valori, per noi, è una cosa più importante. De Michele, sul suo sito Campanianotizie, mette il dito in una piaga che, fino ad oggi, solo CasertaCe aveva descritto in tutte le sue ferite emblematiche, in tutte le sue ipocrisie, nei suoi personalismi, opportunismi e fariseismi assortiti.
Dunque, quando Mario De Michele scrive dei sepolcri imbiancati, gli possiamo solo dar ragione. Non crediamo che Mario abbia qualcosa di personale nei confronti di Giuseppe Pagano e di sua moglie Mirella Letizia. Se fosse così, sarebbe un vero peccato, perchè indebolirebbe, anzi vanificherebbe, una ricostruzione giornalistica scritta in maniera indubbiamente pregevole e anche con grande densità di dati, relativi sia all’identità di alcune società, sia ad un reticolato di relazioni, che non convincono fino in fondo.
Noi diamo per scontato che quella realizzata da Mario De Michele sia un’inchiesta giornalistica fine a se stessa, o almeno realizzata solo con la finalità, lodevolmente ortodossa, di aprire gli occhi all’opinione pubblica sul fenomeno del professionismo degli anti camorristi, diffuso e strutturato in maniera così solida ed accurata da far impallidire finanche la categoria dei “professionisti dell’antimafia”, raccontati da Leonardo Sciascia in un celeberrimo fondo, pubblicato dal Corriere della Sera.
D’altronde, il lavoro di De Michele è tutt’altro che raffazzonato e denota una conoscenza approfondita di fatti e circostanze.
Vedete, noi, quando in passato, abbiamo scritto di Peppe Pagano, ci siamo solo limitati a far cenno alla sua parentela con noti camorristi di San Cipriano, cioè dello stesso comune in cui, con grande senso degli affari, peraltro diffusamente intriso nel dna delle intelligenze economiche di quell’area, il Peppe Pagano si è inventato il suo ristorante di successo, l’ormai rinomato NCO, che sta per nuova cucina organizzando. Ma la citazione semplice delle sue parentele non ha mai rappresentato, per noi, un fatto strutturale a fondamento dei nostri ragionamenti intorno alla biografia imprenditoriali del signor Peppe Pagano.
Pur pubblicando, cioè, il nome di Arturo Pagano, camorrista doc e zio del suddetto ristoratore, non avremmo potuto mai, per cultura e spirito liberale, considerare questo un dato che, a priori, rendeva non genuina l’attività anti camorra di Peppe Pagano.
E nemmeno ci siamo messi lì a sottilizzare e ad alzare il ditino sulla questione del sostegno elettorale, garantito da Peppe Pagano, sulla carta uomo di centrosinistra, alla lista del candidato sindaco, poi pluri condannato Enrico Martinelli, attraverso l’appoggio al proprio cugino Gennaro Di Bonito, a sua volta cugino di Ernesto De Luca, in pratica uno dei pretoriani di Antonio Iovine detto o’ninno, comandante incontrastato della camorra di San Cipriano e non solo, divenuto da qualche anno collaboratore di giustizia.
Un liberale non può, infatti, mettere su carta un’affermazione se questa non è supportata da una serie di elementi ampiamente documentati e specularmente argomentati. In poche parole, non basta avere un punto di vista personale, frutto di una sensazione, di qualcosa che si sa, per riversarlo sulla tastiera di un computer. Per cui, fosse stato anche il fratello di Sandokan o dello stesso Antonio Iovine, per noi Peppe Pagano e la moglie Mirella Letizia, campionessa anche lei della legalità e comodamente seduta da anni nella giunta comunale di Casal di Principe, del sindaco dell'”anti camorra rivelata” Renato Natale, erano e sono restati cittadini degni del rispetto che merita ogni persona sulla quale non gravano indagini giudiziarie o anche pesanti citazioni all’interno di ordinanze o anche un numero cospicuo di quegli elementi documentali che legittimano un giornalista bravo, intellettualmente onesto, ad esprimere anche una considerazione, un giudizio di valore. Insomma, giù le mani dallo schermo della cosiddetta “prova contraria”.
Questo è un discorso. Ma la questione cambia se, l’idea che ci siamo tenuti per noi quale punto di vista personale, sulle troppe attività economiche che hanno fatto diventare Pagano e la moglie una sorta di holding della gestione dei beni confiscati ai clan, viene rafforzata, corroborata da una serie di informazioni che Mario De Michele ci dà nel suo articolo. Una per tutte: alle due società, Nuova Cooperazione Organizzata ed Eureka Onlus, perchè di società si tratta, al di la della gentilezza e della tenerezza della forma giuridica di cooperativa, sarebbero riconducibili, sempre secondo la ricostruzione di Campanianotizie, ben 22 beni confiscati. In poche parole, Pagano e la Letizia sarebbero i motori operativi del comitato don Peppe Diana, in grande spolvero nei giorni scorsi, con le celebrazioni del 25esimo anniversario dell’omicidio del sacerdote di Casal di Principe.
Ad indurci a pubblicare questo articolo, è stata la reazione tipica di chi soffre di una sorta di sindrome dell’accerchiamento, sospetto, come se si trattasse di un nervo scoperto, in quanto questo suscita reazioni spropositate anche quando l’accerchiamento è, diciamocela tutta, un pò sfigato, venendo realizzato da uno o due fanti folli e irresponsabili, che sfidano il senso comune e la vulgata che innalza peana sconsideratamente acritici alle agenzie dell’anti camorra militante.
De Michele ha pubblicato dei dati. Non l’ha fatto utilizzando il fioretto, perchè a questo non è obbligato da nessuna legge e da nessuna struttura giurisprudenziale, riguardanti il reato di diffamazione a mezzo stampa. Il tono di un articolo è frutto del carattere, della sensibilità, del momento emotivo di chi lo scrive. Ma non può mai diventare elemento costitutivo del reato.
E invece, sempre ad agitare questa querela come spauracchio che finisce per apparire una sorta di minaccia preventiva, cioè finalizzata ad ottenere l’obiettivo di fermare la campagna di informazione di un giornalista.
Serio e democratico sarebbe stato, al contrario, da parte del comitato don Peppe Diana, confutare, riga per riga, le tesi esposte dal collega Mario De Michele. Nel post che pubblicano nella loro pagina facebook e che riprendiamo nella sua versione integrale in calce a questo articolo, il comitato invece, scrive: “In riferimento ad alcuni articoli pubblicati on line dal sito Campanianotizie, secondo modalità che diffamano, al fine di ripristinare la verità largamente compromessa da ricostruzioni false e tendenziose, il Comitato don Diana e Libera Prov.Caserta, hanno deciso di dare mandato ai propri legali per tutelare la propria immagine, i propri soci, storia e percorso di riscatto. Non accettiamo che ragioni ed intenzioni, a noi sconosciute, possano mettere in ombra il cammino di sacrificio fatto fino a questo momento, nell’utilizzo dei beni confiscati concretizzando economia sociale e alternative umane invise alla criminalità organizzata. Uguale provvedimento sarà assunto anche per quanti non animati dalla verità vogliono privare i giovani della speranza del cambiamento”.
Ora, al di la dei soliti pistolotti, ormai lisi, consumati da una consuetudine retorica in grado di suscitare al più uno sbadiglio, l’unica cosa, a nostro avviso, importante, scritta in questa replica, è la seguente: quelle pubblicati da Mario De Michele sarebbero “ricostruzioni false e tendenziose“. Ora, al netto della denuncia di tendenziosità attraverso la quale quelli del comitato don Diana pescano nel torbido, cadendo nella stessa colpa che imputano al giornalista, creando un’accusa non argomentata e apoditticamente inaccettabile, resta la verità che sarebbe stata compromessa da “ricostruzioni false“.
Per cui, quello che ha scritto De Michele sui 22 beni confiscati alla camorra gestiti dalle società dei coniugi Pagano-Letizia, quello che ha riportato sulle parentele del fondatore di Nuova Cucina Organizzata, sarebbero falsità. Ma siccome nessuna di queste falsità sfocia, a nostro avviso, in una qualificazione di infamia alle persone, visto che la continenza, almeno sul piano formale, è salva, quelli del comitato don Diana elencassero quali sono le bugie contenute nell’articolo di De Michele, ci mettiamo noi a disposizione per arrivare ad una comprensione della posizione del comitato, senza ricorrere a questa stronzata della querela.
Noi stiamo a disposizione. Ovviamente, se non ci arriverà risposta, magari contatteremo l’amico Gianni Solino, uno dei componenti di punta del comitato don Diana, per sollecitare, pubblicheremo, perchè noi non possiamo dimenticare l’eredità testimoniale non violenta di Marco Pannella, l’articolo di Campanianotizie nella sua versione integrale. A quel punto, quelli del comitato don Diana, oltre a Mario De Michele, saranno costretti a querelare anche il sottoscritto.
Ma siamo sicuri che il buon senso trionferà e se proprio queste confutazioni di merito, i componenti del comitato don Diana non le vorranno spedire, come sarebbe ortodosso fare a Campanianotizie, Mario De Michele non ce ne vorrà se ci renderemo, noi di CasertaCe, disponibili a completare, a declinare nella sua interezza, un confronto di idee e di tesi che non riguarda la disposizione dei mobili nella camera da letto dei coniugi Pagano-Letizia, ma l’utilizzo di ingentissime risorse, confiscate dallo stato alla criminalità organizzata e messe a disposizione, allo scopo di creare una sorta di contrasto cosmico, un esempio di utilizzo totalmente contrario di questi beni rispetto a ciò per cui li utilizzavano i camorristi, cioè molto spesso per far soldi, di chi deve esprimere plasticamente l’identità volontaristica, no profit senza se e senza ma, del proprio esercizio di gestione.