L’EDITORIALE. Panaro su don Michele Barone: “Gli chiesi di parlare con Zagaria per farmi dare dei soldi”. I ritorni di fiamma dei pentiti e gli eventi residuali che non convincono

31 Luglio 2018 - 11:16

 (di Gianluigi Guarino) – Sarebbe interessante compiere uno studio sull’incidenza delle “onde mediatiche” sul comportamento dei collaboratori di giustizia.

Confessiamo la nostra ignoranza: non sappiamo quale sia la procedura precisa che segna il lavoro dei magistrati durante il periodo canonico, stabilito dalla legge, pari a 6 mesi, in cui i pentiti devono raccontare tutto quello che sanno.

E’ vero che ciò avverrà sicuramente in base allo strumento regolatore delle domande che a loro vengono poste, però è anche vero che certi fatti rilevanti, che sembrano non incidere per anni all’interno delle fasi istruttorie o di indagine che dir si voglia, affiorano improvvisamente nei processi, durante i dibattimenti, come elementi aggiuntivi al quadro accusatorio di questo o di quell’altro imputato.

Ciò è successo recentemente con la testimonianzia, in un dibattimento, di Michele Barone collaboratore di giustizia, il quale, ci consentiamo una divagazione colorita, “ha fatto una chiavica” il suo omonimo nonchè cugino diretto, il sacerdote para esorcista, faccendiere e a quanto pare irresistibile conquistatore di donne.

Già in quella occasione, le dichiarazioni dell’ex braccio destro di Michele Zagaria, consegnavano don Michele Barone ad una dimensione diversa, che, presumibilmente, andrà al di là del processo già di per se grave che lo vede impeganto a Santa Maria Capua Vetere.

Da quelle dichiarazioni in poi, questo prete-manager, l’uomo dei pellegrinaggi a luci rosse, troppo coperto per anni da certi ambienti della curia della Diocesi di Aversa, di cui il vescovo Spinillo, come abbiamo scritto più volte, è chiaramente succube, un affare dei magistrati dei reati comuni, è diventato “un affare” dei magistrati della DDA.

E allora non può stupire se in queste ore, ad ulteriore puntello delle dichiarazioni di Michele Barone, arrivino quelle di un altro pentito importante, stavolta dell’area criminale degli Schiavone, Nicola Panaro. Siccome quelli di Sandokan non è che potessero accedere al cospetto di “capastorta” con molta facilità, il Panaro, stando a quello che racconta oggi che, non ha raccontato nei suoi remoti 6 mesi delle fondamentali dichiarazioni ,avrebbe chiesto proprio a don Michele Barone di intercedere presso Michele Zagaria (povero Arcangelo, in quello zona ha raccattato il peggio del peggio) affinchè potesse ricevere dei soldi. Il fatto specifico conta, nella nostra trattazione, fino ad un certo punto. Conta, senz’latro, come spunto di una riflessione: ciò che è giusto, secondo noi, ma riteniamo che anche i magistrati della DDA, sempre sostenutissimi con entusiasmo disinteressanto da questo giornale, possano essere d’accordo sul fatto che le indubbie e specialissime competenze che hanno nei loro bagagli, culturale, professionale e di esperienze, debbano essere felicemente illuminate e valorizzate dallo sforzo costantemente finalizzatto, come ha detto di recente il presidente della repubblica Mattarella, a tenere a bada l’umanissima debolezza (tutto sommato ci buttiamo la zappa sui piedi ma noi liberali siamo gente strana) di cedere alla tentazione di agganciare esageratamente l’azione penale al trend mediatico.

Perchè questo significherebbe attestare il fatto che la funzione inquirente, eroicamente svolta dai magistrati in questi ultimi anni, si alimenta nel tempo presente della ricerca di situazioni residuali che da anni ed anni di indagini, nelle centinaia di migliaia, forse di milioni di pagine, di interrogatori dei pentiti, non erano mai sorprendentemente affiorate.